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lunedì 29 novembre 2021

Sagra delle olive

Data Evento: Seconda domenica di ottobre

È la festa che attira più gente al paese, organizzata dall'associazione ARCI di Sannicandro di Bari.


Vengono offerti prodotti tipici locali: olive dolci, dell'ottimo pane, focaccia, vino di annata, pomodori secchi conservati in olio di oliva, frutta locale di stagione, olive in salamoia e olio extra vergine d'oliva di ottima qualità.

Inoltre vengono organizzate mostre di pittura, visite guidate al castello Normanno-Svevo, mostra mercato di piante coltivate in vivaio, esposizioni di macchine ed attrezzature per l'agricoltura, mostre dell'artigianato locale e convegni sui temi dell'agricoltura. Infine, tanta musica con artisti famosi in campo nazionale. 


Regina della rassegna: l’Oliva Termite, prodotto pregiato dell’olivicultura pugliese, riconoscibile per la caratteristica forma tondeggiante e le particolari proprietà organolettiche, quali il sapore, la fragranza, la sua polpa consistente e il suo colore da verde a violaceo nero.


L’Oliva Termite si raccoglie manualmente, non ancora matura, e va avviata entro 48 ore alla lavorazione in salamoia e alla conservazione con sale, aceto, olio extra vergine di oliva, spezie, erbe ed estratti naturali. Dolce al palato se consumata al naturale, mentre si esalta in un retrogusto leggermente amarognolo se conservata in salamoia. Ideale per accompagnare gli aperitivi, il suo utilizzo è ideale in cucina nella preparazione di focacce, panzerotti, condimenti per primi piatti e secondi a base di pesce. 


Castello Normanno Svevo di Sannicandro di Bari


Il Castello Normanno-Svevo è una fortificazione che sorge nella zona medievale di Sannicandro di Bari.

La sua storia documentata è soprattutto legata al mondo normanno ed inizia nel 1119, con l'attestazione di Emma d'Altavilla, che all'interno del presidio di prima dominazione normanna fa costruire la cappella palatina di San Nicola di Bari, nell'angolo di nord-ovest. Un ulteriore documento del 1134, periodo regnicolo, assegna le funzioni di Castellano ad un certo Guido da Venosa. È il momento di costruzione del Palazzo, delle quattro torri centrali rompitratta a rinforzarne le cortine, del nuovo portale rivolto a levante e del fossato con ponte levatoio. 

Nel 1800, in un lato di questo Castello ed attaccato alle sue mura, vi era l'antico fosso dove defluivano le acque delle diverse strade interne, in particolare quelle che venivano dalla strada dell'Ospedale. Questo fosso un tempo a cielo aperto, fu ricoperto da una volta. In esso esistevano canali di scolo attraverso i quali le acque confluivano, con due bocche, per poterle recuperare come da cisterne. I liquami che vi si raccoglievano per l'intero anno, putridi e malsani, emanavano esalazioni "mefitiche", e in estate si mettevano in fermentazione. Le esalazioni erano così micidiali che sarebbero state in grado di far mancare la vita all'istante, respirando vicino alle bocche. Perciò nonostante la quota elevata del Comune, gli abitanti erano soggetti a malattie infettive endemiche.

Nel marzo del 1816 gli Amministratori chiesero che questo inconveniente fosse eliminato e l'ingegner Gimma, con un consigliere di Intendenza, esaminò l'abitato per trovare la soluzione. Il Castello di Sannicandro di Bari sorge nella zona medievale del Paese, tra le caratteristiche case a scalinata esterna. Il fossato, risalente al periodo svevo, è stato colmato e trasformato in strada nel 1836. 

Il Castello è composto di due parti distinte messe l'una nell'altra, costruite in epoche diverse, quella Normanna e quella Sveva. Precedentemente, nello stesso sito, insisteva una struttura difensiva quadrilatera con quattro torri d'angolo a pianta circolare, di attribuzione bizantina, per la serie di monete coniate a Bisanzio e reperite all'interno delle mura di trincea sottostanti alle alzate normanne. Il recupero negli scavi archeologici di un tari aureo con legenda cufica di Gisulfo I e di monete degli imperatori d'Oriente dal IX all'XI secolo confermano questa realtà storica. 

L'importanza strategica del sito era rilevante, al centro di un sistema viario che realizzava i tragitti più brevi e più comodi da Bari verso i Centri Urbani più importanti dell'intera Area, quali Salerno e Matera, grazie alla cosiddetta "Via Vecchia Altamura o Via delle Murge o delle Crociate". È ormai acclarato che la vita storica del Castello di Sannicandro di Bari inizia nel 1119, con la prima documentazione che lo riguarda, quella di Emma d'Altavilla, figlia del Gran Conte Ruggero di Sicilia e sorella del Re Ruggero II. Nel "Catalogus Baronum", nelle edizioni del 1150 e del 1168, il Maniero è censito per 10 cavalieri alla pesante e per 20 in caso di guerra. Una piazzaforte formidabile dunque, con funzioni di sentinella sul territorio e soprattutto sulla città di Bari, che non aveva ancora realizzato il dominio regnicolo normanno nel suo "animus" levantino-bizantinofilo, di piena autonomia mercantile. 

Nel 1168 Custode del Castello è Guglielmo De Tot. Definito "Magister" in un articolo di Pasquale Cordasco relativo ai falsi medioevali, titolo reperito, grazie alla lampada di Wood sul tergo di una copia della pergamena di donazione del Castello di Gioia del Colle, da parte di Riccardo Siniscalco, alla Basilica di San Nicola di Bari. Per tutto il periodo normanno la storia castellare è abbastanza chiara e documentata, ma nel periodo svevo le carte improvvisamente tacciono e la struttura castellare scompare dalla memoria delle vicende storico-sociali. Eppure la fase di ampliamento dell'intero complesso è certamente da attribuire al periodo svevo-federiciano. Non si trovano riscontri del Castello nei documenti imperiali, né si può pensare che l'opera di ampliamento possa aver avuto come committente un Signore locale. 

"L'intera impiantistica, 1168-1212, a partire da Guglielmo De Tot fu realizzata con una spesa notevolissima e con l'utilizzo di maestranze specifiche Cistercensi... Un impegno economico così rilevante poteva essere sostenuto da un unico altro soggetto diverso da Federico II: un ordine cavalleresco". Un solo documento d'epoca sveva, un falso in forma di originale, datato 1225, attribuisce la giurisdizione delle Chiese sannicandresi all'Arcivescovo Andrea III con le relative decime, che da quest'ultimo verrebbero confermate al Monastero di San Michele Arcangelo di Montescaglioso.  I documenti ricompaiono stranamente nel periodo angioino, con una serie di Custodi del Castello e conduttori del Feudo. A partire dal dicembre 1269 abbiamo; Iverio De Mignac; Giovanni De Confluentia; Guido De Arcellis;; Egidio Da Capua; Vincenzo Picardi; Roberto De Saccavilla; Anselmo De Caprosia.

Nel 1272 Guillaume de Beaujeu, all'epoca Precettore Templare di Puglia, chiede a suo cugino Carlo I d'Angiò la restituzione delle terre Templari in Sannicandro di Bari, in quel tempo detenute illecitamente dal custode angioino del Castello Giovanni di Confluentia. In due documenti, sempre angioini del 1277 e del 1279 si parla del Castello di Sannicandro di Bari come di "Palatii nostrii" e di "Palatii regii", a ribadire la titolarità ai re d'Angiò del Castello e del Feudo. Alla fine delle Crociate la funzione del Castello è esaurita e Carlo II d'Angiò lo dona alla Basilica di San Nicola di Bari. La donazione del Re angioino chiude l'epopea castellare, esattamente da dove era cominciata, da San Nicola di Bari. Dal 1304 la gestione del Feudo è direttamente sostenuta dai Monaci, salvo un breve periodo tra il 1300 e il 1400. 

Quando, a seguito dei torbidi, con la discesa nel Regno di Luigi d'Ungheria e la fuga in Provenza della Regina Giovanna I, il Castello sembrerebbe assegnato ai Grimaldi di Monaco. Lo scudo araldico quattrocentesco fusato sul portale di levante proverebbe la veridicità di una tale segnalazione. Ma mancano altri elementi probatori. Con l'avvento del Regno d'Italia e a partire dal 1863, come attestato dalla data incisa sulla chiave d'arco di un portale d'ingresso, si dà inizio ai lavori di stravolgimento dell'intero impianto, con la trasformazione del Maniero in una serie di soprani e sottani da affittare a privati per abitazioni ed esercizi commerciali.

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