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mercoledì 1 dicembre 2021

Quarantana

Il Martedì Grasso è l'ultimo giorno di Carnevale. Il re del Carnevale, da noi si chiama "Aronz", dopo i bagordi e i peccati di gola carnevaleschi è costretto a passare la mano a "Quarantana" sua moglie, che il Mercoledì delle Ceneri avvia i 40 giorni della Quaresima fino al triduo pasquale. 

Morto, Carnevale viene trasportato in processione per le vie del paese, accompagnato all'estrema dimora dalla moglie Quarantana e dai parenti tutti che lo piangono disperati. 


Un tempo il corteo partiva dalla casina di Fiorese, sulla via di Bitetto, dove i protagonisti e le confraternite si radunavano. La scena simula in tutto la cerimonia di un vero e proprio funerale religioso cristiano con la partecipazione di una maschera che indossa paramenti da sacerdote, "Colin" che benedice il popolo intingendo acqua da “uarnàul”, e delle confraternite in sai di tela di sacco e incappucciati, con ceri e corone. 

Aronz ha il capo poggiato sulla carrizz, le prefiche che attorniano Quarantana (sua moglie) lo seguono e ne tessono le lodi elevando al cielo, di tanto in tanto, grida strazianti che segnano il passaggio dalla comunità terrena a quella celeste o infernale. 


Un tempo il corteo era seguito da maschere a cavallo o a torso di mule. I giovani dell'epoca, in gran parte agricoltori, da giorni avevano prenotato presso i rispettivi padroni il cavallo o la mula da montare e a dire il vero nessun proprietario si rifiutava di concedere in prestito il proprio animale. Al quadrupede venivano dipinti gli zoccoli, i fiocchi alla criniera e alla coda non dovevano mancare, una coppola era posta a copertura della testa e una mantella sulla groppa. Così bardati gli animali, alle tremolanti luci dei lampioni a gas, sfilavano in processione con i loro cavalieri che si erano mascherati ad arte per l'occasione con lunghe mantelle nere, grossi berretti calati sugli occhi, stivali fino all'altezza delle ginocchia; così sembravano al buio ma all'osservatore attento apparivano per quello che erano: calzari di sacchi vecchi avviluppati intorno ai piedi e agli stinchi e tenuti su da sfilacciate cordicine "i z'culèdd'r". Con baffi e barbe nere, tinti grazie alla fuliggine raschiata dentro i fuochi, le maschere a cavallo seguivano "Aronz" che all'epoca, anteriore al periodo di "Giorg la carrizz", aveva come protagonista "Savèrje u ng gnjer" netturbino presso la ditta Pistilli. Quando il corteo arrivava all'inizio dell'abitato, all'altezza del suolo su cui oggi sorge la scuola elementare "Don Bosco", gli spazzini che lo precedevano davano fiato alle trombe a cornetto, chiamando a stuolo i bambini e le donne fuori dalle case. 

Il rito della morte era così sancito dalla massima pubblicità, come avveniva per l'altra grande festa contadina: il matrimonio. Tutte le maschere del corteo piangevano la morte di "Aronz". 


Il corteo sfilava per le vie del paese; è interessante notare che all'epoca di "Savèrje u ng'gnjer" la "carrizz" veniva fermata all'altezza del municipio dove si doveva, puntualmente ogni anno, rispettare un breve cerimoniale: Quarantana, anchere tutte, dopo una pausa di silenzio, durante la quale soffrivano all'unisono: "Savèrje scangjell'ue ad Aronz" (Saverio cancella Oronzo). Il Saverio a cui si riferivano era don Saverio “du mn'cipie” ufficiale d'anagrafe presso il Comune di Sannicandro che doveva cancellare Oronzo dall'elenco dei vivi. La drammatizzazione era perfetta perché eseguita a soggetto da parte di maschere, spazzini e contadini con più di un bicchiere di nero primitivo nello stomaco che con grande spontaneità rendevano reale, crudele e ironico nello stesso tempo, tutta la scena. 


A Sannicandro sin dall'alba del Mercoledì delle Ceneri le dirimpettaie appendevano la pupattola ai balconi delle case: l'intero rito-spettacolo di passaggio la voleva testimone degli avvenimenti, quando il corteo funebre si scioglieva dopo il bruciamento di "Aronz", Quarantana doveva esaltare la vittoria della morte con la sua triste immagine. La "carrizz" veniva portata al suo naturale deposito in via Bari presso la ditta Pistilli, mentre le compagnie di contadini e spazzini si ricomponevano per recarsi in luoghi privati o nelle cantine a consumare il banchetto a base di agnellone, baccalà fritto e calzone con la cipolla. Alla fine di queste generose mangiate, soprattutto i giovani, scorazzavano per le vie del paese rovesciando i "ramair" contenitori d'occasione dei liquami casalinghi tenuti sull'uscio fuori dalle case. 

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