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Beni Culturali

Il Comune di Acquaviva delle Fonti si trova nell’entroterra pugliese. Sorge in provincia di Bari, a un’altitudine di circa 300 metri sul livello del mare, a una distanza ravvicinata sia dalla costa adriatica sia dalla costa ionica. Il suo nome deriva dalla grande falda acquifera che scorre nel suo sottosuolo.

Le teorie più accreditate relative alle origini di Acquavivafarebbero risalire i primi insediamenti al IV –V secolo nei pressi della collina di Salentino, nelle vicinanze dell’abitato attuale. Gli scavi effettuati nel 1976 portarono alla luce diverse abitazioni, vicino alle quali furono ritrovati scheletri umani, testimonianza del fatto che il luogo fosse abitato stabilmente. Gli abitanti di questo primo centro furono indotti a spostarsi a valle, probabilmente a causa di qualche devastazione o attirati dalla fertilità dei terreni e dalla ricchezza delle acque sorgive.


Distrutta dai barbari durante il medioevo, Acquaviva venne poi liberata dall’Imperatore Ludovico II dal dominio di Longobardi e Saraceni.


Successivamente divenne dominio normanno, poi passò agli svevi, agli angioini e agli aragonesi. Dopo la dominazione di Napoleone, tornò ai Borboni e, nel 1861, entrò a far parte del Regno d’Italia.

NUMERO TELEFONO COMUNE DI ACQUAVIVA:

Centralino telefonico del comune: (+39) 080 3065111

Polizia Municipale: (+39) 080 761014

Da visitare, nel borgo di Acquaviva, è sicuramente la cattedrale, chiesa parrocchiale intitolata a Sant’Eustachio. È una delle quattro basiliche palatine della Puglia. La sua costruzione fu terminata nel 1594 e la chiesa venne consacrata nel 1623. Al suo interno, colorato e arioso, attirano lo sguardo i numerosi archi, le volte a vela e la cripta.

Piazza dei Martiri, Acquaviva delle Fonti

 

Telefono: (+39) 080 769742

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Suggestiva è anche la Torre dell’Orologio che, nel suo aspetto attuale, è il risultato di un’opera di ristrutturazione realizzata tra il 1824 e il 1825. La costruzione della Torre, voluta dal duca d’Atri Andrea Matteo Acquaviva, risale però ai primi anni del Cinquecento come confermato dallo stemma del duca datato 1559 ancora presente sulla campana più grande.

Piazza dei Martiri.

 

(Nella Sezione Palazzi)

Tra le architetture che caratterizzano la città, spicca il Palazzo De Mari-Alberotanza, realizzato per volere del principe Carlo De Mari alla fine del XVII secolo. Il palazzo, che nella sua costruzione inglobò un torrione dell’ex castello normanno, è opera dell’architetto genovese Riccobuono. Sulla facciata principale è presente una triplice balconata e un elegante portone di ingresso. Il palazzo si compone di oltre 100 ambienti e si caratterizza per una corte interna con loggiato al primo piano e per lo stemma araldico dei principi De Mari.

Piazza dei Martiri.

 

(Nella Sezione Palazzi)

La Cassarmonica di Acquaviva delle Fonti domina la centralissima Piazza Vittorio Emanuele II che ospita Palazzo De Mari, sede del Municipio, e che si trova a pochi metri dalla Cattedrale di Sant’Eustacchio.

L’opera venne realizzata con il contributo della cittadinanza nel 1907 per onorare il Gran Concerto Bandistico della città, premiato con numerosi successi in diverse zone d'Italia. La cassarmonica venne realizzata in cemento armato, composta da una grande cupola sorretta da otto colonne. Sui capitelli delle colonne è possibile ammirare le riproduzioni dei profili dei più grandi musicisti pugliesi. Al di sopra, invece, venne posizionata una grande scultura che raffigura Santa Cecilia e i musici. Una grande scritta in caratteri romani domina il fascione e riporta l’anno di conclusione dei lavori, il 1930, e la scritta latina Laetare et disce ovvero, rallegratevi ed imparate.

Piazza Vittorio Emanuele II, Acquaviva delle Fonti

ADELFIA

Storia di Canneto 
Sebbene alcuni reperti attestino la presenza presso Canneto di insediamenti umani e di una necropoli della vicina Celiae risalente all'età messapica, per la storiografia ufficiale Canneto nasce nella seconda metà dell'XI secolo.   Secondo quanto riportato dalla storiografia settecentesca curata dal marchese di Canneto don Cataldo de Nicolai, nel corso della campagna militare condotta da Roberto il Guiscardo e finalizzata alla conquista della città di Bari (1067-1071), il messinese Giosuè Galtieri insieme ad alcuni compagni trovò un canneto dal quale poté approvvigionarsi di grandi quantità di canne, con le quali furono costruite più di 200 capanne necessarie all'esercito nel suo assedio alla città. Quando Bari capitolò, Roberto, che ne divenne duca, ricompensò Giosuè Galtieri per i servigi resi infeudandolo dell'area, Cannitum, nella quale aveva reperito il materiale di costruzione.   Galtieri sposò la tarantina Beatrice Curcelli. Una loro figlia, Stella Beatrice, sposò il napoletano Alfonso Barbiano, che ottenne così la baronia di Canneto e vi costruì il palazzo baronale. Nel 1186 venne costruita la cappella della Madonna della Stella, ex voto per l'insperata guarigione di Stella Beatrice. Ultima famiglia a detenere la signoria di Canneto fu quella dei Nicolai, cui apparteneva don Cataldo, primo autore delle memorie storiche dei due borghi limitrofi.  

Storia di Montrone 

Secondo quanto asserito nel Settecento da don Cataldo de Nicolai, Montrone sorse nel 982, il commerciante bizantino Roni Sensech, in fuga da Bari sotto l'incalzare delle truppe longobarde, si stabilì su un'altura poco vicina, che si presentava particolarmente adatta al pascolo e al commercio del bestiame. Nacque così il villaggio di Mons Roni. Tra i suoi primi abitanti, vi era un sacerdote bizantino che in una delle tre grotte della luogo dipinse una Natività. In corrispondenza di quella grotta nel 1086 fu edificata la cappella detta Madonna del Principio, consacrata poi dall'arcivescovo di Bari Ursone. nel 1167 Guglielmo II il Buono riconobbe l'università di Montrone e la diede in feudo a Goffredo Tortomanni, cui succedette Pasquale de Palma. Nel 1276, Rodolfo de Colant, luogotenente di Carlo I d'Angiò, vendette il feudo alla famiglia Sparano di Bari, che nel 1339 lo cedette al notabile napoletano Gualtieri Galeoti. I suoi successori lo alienarono in favore di Gualtiero di Aspruch nel 1380. Nel 1390, divenne possesso del notabile barese Nicolò Dottula che dotò il borgo di un castello turrito, nucleo dell'attuale palazzo marchesale, e ne mantenne il possesso fino al 1417. Il nuovo feudatario, Nicolò Fusco di Ravello, nel 1423 vendette Montrone al nocerino Niccolò Offieri. I suoi discendenti lo alienarono nel 1481 in favore del conte di Conversano Giulio Antonio Acquaviva. Dal 1519 al 1629 il feudo fu posseduto dalla famiglia Galeoti. Successivamente andò al principe di Valenzano Aurelio Furietti, prima che ne entrasse in possesso la famiglia bolognese dei Bianchi (1698), che nel 1790 cambiò il proprio nome per via dotale in Bianchi Dottula.   Il 5 aprile 1799, in seguito all'uccisione del trombettiere dell'esercito napoleonico, di passaggio in Terra di Bari, ad opera di un montronese di fede borbonica, furono uccisi 83 cittadini, inclusi quelli che si erano rifugiati nella cappella della Madonna del Principio. Con il ritorno dei Borbone fu innalzata una croce a memoria dell'eccidio.  

Nascita di Adelfia
I comuni di Montrone e Canneto, non distanti l'uno dall'altro, mantennero la propria autonomia amministrativa sino al 29 settembre 1927, quando il decreto n. 1903 firmato da Vittorio Emanuele III ne sancì l'unione sotto il nome di Adelfia dal greco "Adelphos" che significa fratelli. Nonostante la prossimità dei due centri, vi erano spiccate differenze nelle popolazioni - ad esempio sotto il profilo delle tradizioni e del dialetto - che per alcuni decenni si sono tradotte in un forte campanilismo che ha reso difficoltosa la nascita di un'identità cittadina unitaria.  

NUMERO TELEFONO COMUNE DI ADELFIA:

Telefono: (+39) 080 4598571

Adelfia

Architetture Religiose (Nella Sezione Luoghi di Culto)

Chiesa di Santa Maria del Principio a Montrone (1086).

Chiesa della Madonna della Stella a Canneto (1186).

Chiesa Madre di Montrone, intitolata a san Nicola di Bari, venne ricostruita attorno al 1711 e consacrata nel 1726; il campanile fu innalzato del 1744 al 1747.

Nel 1833 il pittore molfettese Saverio Calò ne affrescò gli interni; nel 1926 il barese Bernardo Caprioli eseguì la decorazione in oro zecchino della parte superiore della chiesa. Vi è contenuta la statua del patrono di Montrone e compatrono di Adelfia, san Trifone martire, opera dell'andriese Riccardo Brudaglio (1783).

 

Chiesa Matrice di Canneto, dedicata all'Immacolata, fu costruita, consacrata e ampliata tra il 1761 e il 1763. Custodisce le reliquie di san Vittoriano martire, patrono di Canneto e compatrono di Adelfia.

 

Architetture Civili (Nella Sezione Palazzi)

Palazzo Marchesale di Montrone: costruito nel 1396 dal feudatario Niccolò Dottula, fu ampliato nel 1519 dal patrizio napoletano Giambattista Galeoti e decorato con affreschi di scuola napoletana, rifinito nella struttura attuale nel 1790 dal marchese di Montrone Luigi Bianchi Dottula.

 

Casina don Cataldo (Castello dei Fascina) a Canneto (XVII secolo), fu costruita dal Nicolai lungo la strada per Bitritto.

 

Palazzo Angiuli in via Valenzano a Montrone (fine XIX secolo), affrescato. Nella cappella interna, dedicata all'Immacolata Concezione, si celebra annualmente un concerto ed una messa pro Terra Santa con il patrocinio dell'Ordine del Santo Sepolcro.

 

Palazzo Angiuli in c.so Umberto a Montrone (inizio XX secolo), affrescato.

Villa Gigia (Villa Monteleone) a Canneto (XIX secolo).

 

AD COERCENDAM MULIERUM PROCACITATEM FRANCISCUS PAULLUS NICOLAI HUIUSCE TERRAE MARCHIO III ANNO DOMINI MDCCLXI presumibilmente un antico carcere delle donne adultere o solo un locale posto a monito per frenare la possibile avvenenza delle donne o mera correzione di atti delittuosi o ancora elemento educativo, resta ad oggi una suggestivo angolo di storia.

 

Architetture militari (Nella Sezione Palazzi)

Torre normanna di Canneto: costruita da Alfonso Balbiano negli anni dal 1147 al 1153, è alta 19 metri e composta di 4 piani; termina con un coronamento aggettante di archetti pensili su mensole. È stata dichiarata monumento nazionale nel 1920, insieme all'adiacente palazzo marchesale di Canneto.

 

 

Alberobello nasce tra il ‘400 ed il ‘500 ad opera di alcuni contadini mandati sul luogo dai Conti di Conversano, all’epoca proprietari del territorio. La legge vigente, a quei tempi, nel Regno di Napoli, in particolare la Prammatica de Baronibus, sottoponeva ogni nuovo insediamento urbano ad un’autorizzazione regia, che si otteneva previo pagamento dei tributi dovuti. Per evitare il balzello, i Conti di Conversano imposero ai contadini, mandati a colonizzare quello che allora era un bosco di querce, di costruire solo costruzioni precarie, che non avessero i caratteri della stabilità delle dimore ordinarie. Di qui i trulli, costruiti in pietra a secco, per facilitarne la demolizione, in modo tale che in caso di ispezione regia non si scorgessero i tratti di un insediamento urbano, evidentemente abusivo. Questa storia di precarietà si è trasformata gradualmente in una storia di civiltà, la civiltà della pietra a secco.
Nel 1797 poi, un gruppo di coraggiosi Alberobellesi, stanco della precaria condizione, si recò a Taranto per chiedere ausilio al re Ferdinando IV di Borbone che inviò il Decreto con il quale questo piccolo villaggio divenne libero da ogni richiesta tributaria.

Il paesaggio agrario è caratterizzato da una folta vegetazione di mandorli ed ulivi tipica del terreno carsico mentre, dalle rocce calcaree stratificate, viene estratto il materiale utilizzato per la copertura dei trulli. Le dimore a trullo infatti sono dominate dall’uso esterno della pietra a sfoglie, le “chiancole” che rivestono il cono e creano il meraviglioso centro urbano, unico al mondo, che oggi tutti vengono ad ammirare. 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI ALBEROBELLO:

Telefono: (+39) 080 4321200

Il Museo del Territorio, ex Casa Pezzolla

 

Piazza XXVII Maggio. Alberobello (BA)

Telefono: (+39) 380 4111273

 

(Nella Sezione Musei)

I Trulli

La nascita dei primi trulli risale all’epoca preistorica. Già in questo periodo, infatti, erano presenti nella Valle d’Itria degli insediamenti e iniziarono a diffondersi i tholos, tipiche costruzioni a volta usate per seppellire i defunti. 

Tuttavia i trulli più antichi che troviamo oggi ad Alberobello risalgono al XIV secolo: fu in quel periodo che ciò che appariva, ormai, come una terra disabitata venne assegnata al primo Conte di Conversano da Roberto d’Angiò, principe di Taranto e poi re di Napoli dal 1309 al 1343. L’appezzamento di terra costituiva il premio del nobile rampollo angioino per i servigi resi durante le Crociate. 
La zona venne quindi popolata di nuovo, spostando interi insediamenti dai feudi vicini come quello di Noci. 

 

 

Alberobello

 


Secondo alcune ricerche, tuttavia, già verso l’anno Mille sorsero degli insediamenti rurali da entrambe le parti del fiume che adesso scorre sotterraneo. Le abitazioni a poco a poco si accorparono fino a formare dei veri e propri villaggi, in seguito soprannominati Aja Piccola e Monti. 

La costruzione a secco, senza malta, dei trulli, venne imposta ai nuovi coloni di modo che le loro abitazioni potessero essere smantellate in fretta: un metodo efficace per evitare le tasse sui nuovi insediamenti imposte dal Regno di Napoli e di certo anche buon deterrente per i proprietari riottosi. La maggior parte degli storici tuttavia concorda che questa tecnica edilizia fosse dovuta, innanzitutto, alle condizioni geografiche del luogo, che abbondava della pietra calcarea utilizzata nelle costruzioni.

A metà del XVI secolo l’area di Monti era già occupata da una quarantina di trulli ma fu solo intorno al 1620 che Alberobello acquisì la fisionomia di un insediamento indipendente dalla vicina Noci, arrivando a contare circa 3500 persone verso la fine del XVIII secolo. Nel 1797 il villaggio ottenne dal Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone il titolo di città reale. Il nome attuale deriva dal latino medievale della Regione, “silva arboris belli”. 

Trullo Sovrano

 

Situato a nord del paese, alle spalle della Chiesa dei Santi Medici Cosma e Damiano, rappresenta il più avanzato esempio di trullo disposto su due piani. La maestosa cupola conica, alta circa 14 metri, si erge imponente al centro di un gruppo costituito da dodici coni.


Costruito nella prima metà del settecento per conto della famiglia benestante del sacerdote Cataldo Perta. Questo nome è citato in un importante documento notarile del 15 aprile 1797, proprio il maestro murario, rimasto ignoto, pur rispettando fedelmente gli antichi vincoli imposti dalle disposizioni del conte Giangirolamo Acquaviva (XVII secolo), adotta soluzioni costruttive uniche che fanno di questo edificio la più avanzata e mirabile interpretazione dell'architettura a trullo.

Il Trullo Sovrano è, dunque, un edificio di transizione che preannuncia il mutamento generale della tecnica di costruzione dei trulli.

Piazza Sacramento, 10 Alberobello

 

Il termine "Trullo Sovrano" è stato coniato dal Notarnicola, sostituendo l'antico toponimo Corte Papa Cataldo, che si riferiva all'intero vicinato. Questo deriverebbe dal nome del proprietario il sacerdote Cataldo Perta. Questo nome è stato citato in un importante documento notarile del 15 aprile 1797, proprio in relazione ad alcune modifiche apportate alla casa, non conformi alle prescrizioni dettate dai feudatari, che a quanto sembra esercitavano un controllo sulle abitazioni. Il succedersi degli avvenimenti ha impedito che le imposizioni del Feudatario avessero corso e pertanto la facciata del Trullo Sovrano si può con sicurezza datare al 1797 o al massimo al precedente anno.

Chiesa Trullo, Chiesa di Sant’Antonio

Dopo aver ammirato la suggestiva foresta di trulli, quasi a coronamento dell'area storica denominata Rione Monte, sorge la Chiesa di Sant'Antonio. 

Il luogo sacro, costruito in quattordici mesi tra il 1926 il 1927, mostra i segni della forte devozione popolare degli abitanti di Alberobello. 
Sorto grazie alla convinta azione di Don Antonio Lippolis, per contrastare la diffusione del protestantesimo, l'edificio di culto è stato progettato dall’ingegnere Signorile Bianchi e realizzato dal maestro d'arte Martino De Leonardis, seguendo le indicazioni fornite da un apposito Comitato istituito per salvaguardare l'integrità della zona monumentale. 

Via Monte Pertica, Alberobello

Telefono: (+39) 080 4324416

 

In pietra calcarea e costruita con la tecnica tipica dei trulli (di cui riproduce la volta conica), questa chiesa si propone come punto di collegamento e mediazione tra passato e presente, antico e moderno.
L'imponente facciata tripartita è dominata da un rosone e da tre timpani con archetti pensili, che ricordano le decorazioni delle chiese romaniche pugliesi. Sul lato destro si erge una alta torre campanaria (18,90 metri) e a sinistra il seminario, inizialmente soggiorno estivo dei giovani chierici della Diocesi, è stato in seguito trasformato in struttura ricettiva per turisti.

L'interno è ad aula unica, con pianta a croce greca sormontata da una cupola alta 20 metri circa. L'abside maggiore è stato interamente affrescato nel XX secolo con la raffigurazione dell’Albero della vita, arricchita dal maestoso Crocifisso opera del maestro Adolfo Rollo.

I Trulli Siamesi

Il trullo Siamese è forse tra i più antichi trulli di Alberobello, se è vera l'iscrizione epigrafica del portale che riporta la data 1400, oltre al resaturo eseguito dai fratelli Mataresse nel 1997. A prescindere dalla veridicità della data che lascia nel dubbio molti storici, sta di fatto che la struttura ne avvale la storicità remota. In realtà, la struttura compatta e possente della muratura potrebbe storicamente confermare questa origine, in quanto i trulli più antichi di solito presentano un perimetro circolare e murature molte robuste. Infatti la pianta è quasi ellittica e il trullo è costruito su una roccia sporgente, circoscritto da un contrafforte di grossi macigni.

Il trullo dispone di due cupole unite centralmente, su di una spicca in alto un piccolo abbaino mentre sull'altra campeggia il simbolo dipinto con latte di calce del sole. All'interno c'è un solo focolare collocato affianco all'uscio e non vi è nessuna finestra.

Il trullo ha due prospetti che si affacciano su due stradine diverse (uno su via Monte Nero e l'altro alle spalle su via Monte Pasubio). Alberobello

 

Questa stranezza è legata alla vicenda di due fratelli che abitavano insieme nel trullo e che si innamorarono della stessa donna. L'aneddoto racconta che la donna era stata promessa in sposa al primogenito, ma finì per innamorarsi del fratello più piccolo con il quale si involò. I tre iniziarono a vivere sotto lo stesso tetto, ma la convivenza divenuta insostenibile spinse il fratello maggiore, che si avvalse del diritto di primo genitura, a scacciare i due amanti. Il fratello minore non accettò questa regola, anzi protestò e fece valere il suo diritto di eredità e perciò, alla fine, pensò bene di dividere il trullo a metà e di creare un secondo uscio indipendente sul retro.

 

Il trullo è stato restaurato nel 1997 e attualmente ospita un negozietto di souvenir.

 

Il centro storico di Altamura si presenta con una forte identità: con i suoi 3.199 abitanti, ha una storia e caratteristiche proprie che permettono di considerarlo un piccolo borgo all'interno della città.
Altamura sorge in provincia di Bari, nell'entroterra, e fa parte del Gal Terre di Murgia. Più di 12.000 ettari del suo territorio sono inclusi nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia, nel quale si trova una delle più grandi doline della Murgia, il Pulo di Altamura.

 

I famosissimi ritrovamenti fossili dell'Uomo di Altamura sono testimonianza della presenza umana in questo territorio già 40.000 anni prima di Cristo.

In un tempo molto più recente, intorno al 500 a.C., vennero costruite le mura megalitiche che diedero il nome alla città (Alte-Mura). A questo periodo seguirono molte dominazioni e conquiste, che videro una conclusione solo con l'arrivo, nel 1232, di Federico II, il cui regno diede il via alla rinascita della città, che si ripopolò di genti arabe, greche ed ebree e si dotò della sua famosa cattedrale. E' in questo periodo storico che la città assume il suo aspetto caratteristico con i "claustri", piccole piazzette circondate di viuzze.

Successivamente Altamura subì diverse signorie e visse un periodo particolarmente florido tra il 1500 e il 1700. Nel 1748 fu istituita l'Università degli Studi che partecipò a diffondere ideali di uguaglianza e libertà promossi a quel tempo dalla Rivoluzione Francese. Conquistata da questo nuovo spirito, la cittadinanza, quando la città fu assediata nel 1799 dall'esercito della Santa Sede, si mobilitò in una lunga resistenza, evento per il quale gli storici del Novecento iniziarono a chiamare la città "Leonessa della Puglia".

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI ALTAMURA:

Telefono: (+39) 080 3141014

(+39) 080 3165111

Cattedrale di Altamura

La cattedrale d'Altamura, una delle poche costruzioni sacre volute da Federico, non fu vista ultimata da lui. La prima pietra fu posta nel 1232 contemporaneamente alla fondazione della città; la costruzione della chiesa andò molto a rilento e solo nel Trecento, a più di cinquant’anni dalla morte dell’Imperatore, poté fregiarsi del magnifico portale, uno dei più belli di Puglia. Egli la concepì come un " unicum " architettonico, al pari di Castel del Monte.

 

Ne fece un "Unicum" anche dal punto di vista giuridico perché la rese libera da ogni giurisdizione vescovile; la tolse, infatti, al potere del vescovo della vicina Gravina e la mise alle sue dirette dipendenze, come una cappella palatina, ossia appartenente al Palazzo Reale. Purtroppo l’impianto originario di questa basilica a tre navate, con solenni matronei, è quasi del tutto irriconoscibile a causa dei numerosi rimaneggiamenti subiti alla fine del XIV sec., nel XV sec. e nei decenni successivi, e nel XIX sec.

           Corso Federico II di Svevia, 77 Altamura

           Telefono: (+39) 080 3117032

 

 

L’impronta federiciana è riconoscibile nel fianco destro, dove si aprono sette arcate ed un portale voluto da Roberto D’Angiò. Non resta molto dell’edificio medievale che, secondo gli studiosi, doveva avere una facciata anche sul lato opposto, con l’abside incassata nello spessore del muro, sul quale oggi si apre la facciata principale. All’esterno è da ammirare il portale, fiancheggiato da due leoni cinquecenteschi con il timpano impreziosito da una statua di Cristo benedicente. Sull'architrave è raffigurata l'ultima cena con il Cristo che è baciato da San Giovanni; sulla tavola pani e pesci e nella lunetta la Madonna seduta con il Bambino. Inferiormente la scena dell’Annunciazione, realizzata in due altorilievi posti a fronte, uno a sinistra, con l’angelo in ginocchio, e l’altro a destra, con la Vergine che piega il capo al divino annuncio e si copre il petto con le braccia incrociate. I due grandi campanili si alzano come braccia, in mezzo un magnifico rosone a 15 raggi con la ghiera riccamente scolpita.

Santuario della Madonna del Buon Cammino

Situato sulla strada che una volta conduceva a Bari, risale al 1747. Venne fatto costruire dal canonico Giambattista Nicolai al posto di una piccola nicchia che rappresentava un segno di protezione per i viandanti, lungo il cammino che attraversava le strade della Murgia, strade spesso solitarie e insidiose.

           Via Mena, Altamura

           Telefono: (+39) 080 3145922

Altre importanti chiese della città sono la chiesa della Madonna del Rosario, del Sacro Cuore, di San Giovanni Bosco, di Santa Maria della Consolazione, di San Nicola e della Santissima Trinità.

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Di notevole interesse antropologico è il Museo Etnografico della civiltà contadina, dove sono esposti oggetti relativi all'artigianato, all'agricoltura, alla pastorizia e alla viticoltura, insieme a reperti di abbigliamento tradizionale e giochi antichi, il tutto risalente al periodo compreso tra la fine del 1800 e il 1930. (Nella Sezione Musei)

L'A.B.M.C. (Archivio Biblioteca Museo Civico) vanta una collezione di 13 incunaboli, 434 cinquecentine, 140 pergamene, circa 90.000 pagine di manoscritti, nonché un importante archivio fotografico e di disegni architettonici dell'800 e del '900. (Nella Sezione Biblioteche)

Uomo di Altamura

Si tratta degli unici resti di scheletro umano intero del Paleolitico, appartenuti a un Homo neanderthalensis vissuto tra i 180.000 ed i 130.000 anni fa, un caso eccezionale sia dal punto di vista geologico sia da quello archeologico, integro nella struttura scheletrica e in ottimo stato di conservazione. 

L’Uomo di Altamura era probabilmente un maschio adulto di 160-165 centimetri di altezza che, durante una battuta di caccia, cadde in uno dei tanti pozzi carsici presenti nella zona. Le fratture e le ferite riportate gli impedirono di uscire dalla grotta, che da quel momento divenne la sua tomba per sempre, a 8 metri di profondità. Con il passare dei millenni, le sue ossa vennero letteralmente inglobate nelle concrezioni calcaree fino alla scoperta, avvenuta nel 1993 da parte di un gruppo di speleologi.

 Lo straordinario reperto archeologico fu individuato dal CARS - Centro altamurano ricerche speleologiche all’interno della Grotta di Lamalunga, a circa 3 Km da Altamura,  caratterizzata da un sistema di cavità carsiche e stretti cunicoli. Vi si accede attraverso un inghiottitoio profondo circa dieci metri superato il quale, dopo un percorso di circa sessanta metri, ci si imbatte nello splendido scheletro fossile.  

Nel 2017 è stata presentata al pubblico ed esposta nel Museo Nazionale di Altamura, una perfetta ricostruzione dell’uomo di Altamura, cominciata eseguendo una riproduzione digitale del cranio con dati morfologici raccolti mediante l’utilizzo dello scanner laser e della fotogrammetria, per poi arrivare a un modello in scala di impressionante impatto, opera dei fratelli Kennis, già noti per aver ridato vita a Öetzi, l’uomo del Similaun, conservato nel Museo Archeologico di Bolzano.

 

           Altamura

La rete museale dedicata all'Uomo di Altamura si articola nelle tre sedi del Museo Nazionale Archeologico di Altamura, la Masseria Lamalunga e il Palazzo Baldassarre.
per contatti e

E-Mail: rete@uomodialtamura.it

 

PALAZZO BALDASSARRE

Centro Storico, 
Via F.lli Baldassarre, angolo via Griffi
Telefono: (+39) 340 2645147
E-Mail: rete@uomodialtamura.it

 

Giorni e Orario apertura:
Da Marzo a Maggio:
Dalle ore 09:00  alle ore 13:00; e dalle ore 15:00 alle ore 19:00


Da Giugno a  Settembre
Dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore 17:00 alle ore 21:00


Da Ottobre a Febbraio
Dalle ore 10:00 alle ore 13:00;e dalle ore 15:00 alle ore 20:00
Lunedì Chiuso.

 

CENTRO VISITE LAMALUNGA

Strada Provinciale 157 Altamura - Quasano, km.1,9
Telefono: (+39) 339 6144164
E-Mail:  rete@uomodialtamura.it

 

Giorni e Orario apertura:
Lunedì Chiuso
Da Marzo a Maggio

Dalle ore 09:00 alle ore 18:00

Da Giugno a Settembre

Dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle 17:00 alle 21:00


Da ottobre a Febbraio

Dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore 14:00 alle ore 18:00

 

Visita guidata
Intero: 4€
Ridotto 2€ (Scolaresche, Minori 6-13)

Comitive: 3€ (Minimo 10 persone)

Gratuità: docenti in servizio/accompagnatori, guide, titolari di agenzie di viaggio, minori di 5 anni

 

Strada Provinciale 157 Altamura - Quasano, km 1,9

Telefono: (+39) 339 6144164

 

Biglietti cumulativi 

Visita guidata
Centro Visite + Baldassarre
Intero 5€
Ridotto 3€ (Solo scolaresche, bambini 6-13)

 

Attività extra visite guidate ed escursioni 
(da prenotare contattando rete@uomodialtamura.it o (+39) 339 6144164)

 

Lamalunga o Baldassarre + Belvedere del Pulo (Minimo 10 persone): biglietto + 3€

Lamalunga o Baldassarre + Grotta della Capra o Grotta Prima (Minimo 10 Persone): Biglietto + 3€

Lamalunga o Baldassarre + Belvedere del Pulo + Grotta della Capra (Minimo 10 Persone): Biglietto + 4€

Visite guidate al Museo Archeologico 3€ (Minimo 10 Persone)

Laboratori didattici per gruppi e scolaresche da concordare


Mappa Centro Visite

All'interno del territorio del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, a 3 km dall'abitato di Altamura, il Centro Visite di Lamalunga, gestito dal Comune di Altamura, sviluppa il discorso espositivo/didattico intorno al fenomeno del carsismo per approfondire la conoscenza dell’ambiente dell’Alta Murgia e della speleologia, per inquadrare e illustrare le tematiche e le attività che hanno condotto alla scoperta della grotta dove è conservato lo scheletro fossile. Una selezione di minerali e fossili illustra la storia della terra, con particolare riguardo per la geologia del territorio e si possono osservare da vicino le speciali attrezzature con cui gli esperti esplorano le cavità carsiche, traendo informazioni importanti per la conoscenza della natura. Nella Stanza dei pipistrelli si può vivere l’esperienza della ecolocazione, cioè orientarsi e individuare gli ostacoli tramite l’emissione di ultrasuoni.

Il percorso di visita, che comprende l’utilizzo di sussidi audiovisivi, può essere integrato con specifiche attività didattiche, destinate precipuamente a un’utenza scolastica.

Partendo dal centro visite allestito presso la Masseria, sono possibili escursioni per raggiungere l’imbocco della Grotta dell’Uomo, la Grotta della Capra, il Pulo, il parco della Mena.

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI ALTAMURA
Via Santeramo in Colle, 88
Telefono: (+39) 080 314 6409

Dal Lunedì al Venerdì dalle ore 8:00 alle ore 19:45
Sabato e Domenica dalle ore 8:00 alle ore 13:45

Lunedì Chiuso

Biglietti

È possibile acquistare il biglietto per 1 solo sito della Rete museale oppure un biglietto "integrato", valido per un sito della Rete museale (Palazzo Baldassare o il Centro Lamalunga) e per altri 2 o 3 siti del territorio, a scelta tra musei, cattedrale, grotte, masserie e forni.

Con il biglietto integrato riceverete in regalo una pagnotta del celebre pane di Altamura DOP.

 

DOVE ACQUISTARE
Biglietto singolo 

•https://uomodialtamura.it/go/14/biglietti.aspx
• Presso uno dei siti della Rete museale Uomo di Altamura

- Palazzo Baldassarre 

- Centro Lamalunga  

- Info Point

Biglietto integrato

•https://uomodialtamura.it/go/14/biglietti.aspx
• Presso uno dei punti vendita sul territorio:

- Palazzo Baldassarre  

- Centro Lamalunga  

- Info Point

- Museo Diocesano Matronei - Via Arco del Duomo, n. 1

- Forno F.lli Di Gesù  - Via E. Pimentel, 15  

   

 BIGLIETTO PER 1 SITO:
• Intero € 4.00
• Ridotto € 2.00 (scolaresche e minori 6-13 anni)

Gratuito per: minori di 5 anni, diversamente abili, docenti accompagnatori, guide turistiche,  titolari agenzie di viaggio 

 

BIGLIETTO INTEGRATO 2 SITI
(2 siti + Pagnotta di Pane di Altamura DOP in regalo!)
• Intero € 7.00 
• Ridotto € 3.00 (scuola dell'obbligo e minori 6-13 anni)

Il biglietto include:

- ingresso e visita guidata a Palazzo Baldassare oppure al Centro Lamalunga
- ingresso e visita guidata presso un altro sito a scelta fra musei, centro storico, cattedrale, grotte, masserie e forni. (ELENCO DEI SITI IN FONDO ALLA PAGINA)
- mezzo chilo di Pane di Altamura DOP da ritirare in uno dei forni convenzionati.

 

BIGLIETTO INTEGRATO 3 SITI
(3 siti + Pagnotta di Pane di Altamura DOP in regalo!)
• Intero € 9.00 
• Ridotto € 4.00 (scuola dell'obbligo e minori 6-13 anni)

Il biglietto include:

- ingresso e visita guidata a Palazzo Baldassare oppure al Centro Lamalunga
- ingresso e visita guidata presso altri due siti a scelta fra musei, centro storico, cattedrale, grotte, masserie e forni. (ELENCO DEI SITI IN FONDO ALLA PAGINA)
- mezzo chilo di Pane di Altamura DOP da ritirare in uno dei forni convenzionati.

 

BIGLIETTO DEGUSTAZIONE
€ 5.00
organizzato dal Consorzio Pane di Altamura Dop e dal Consorzio “Taste and Tour in Masseria”

Comitive (minimo 10 persone): € 3.00


BIGLIETTO GRATUITO

Per docenti accompagnatori, guide turistiche, minori 5 anni, diversamente abili, titolari agenzie di viaggio.
Nota: Il biglietto gratuito non dà diritto al regalo della pagnotta di Pane di Altamura DOP.

INFO E CONTATTI

Per qualsiasi informazione o chiarimento su biglietti, acquisti e visite chiamate i nostri numeri (+39) 080 8910777 e (+39) 320 0466133  E-Mail: segreteria@uomodialtamura.it

Archivio Biblioteca Museo Civico (A.B.M.C.)

L'idea di creare in Altamura un'importante istituzione culturale fu manifestata dal conte Celio Sabini in una lettera del 6 settembre 1946 indirizzata al prof. Francesco Lospalluto, docente di Latino e Greco presso il locale Liceo Ginnasio "Cagnazzi" e direttore onorario della Biblioteca Comunale di Altamura con la quale accompagnava un cospicuo dono di 1122 volumi e 562 fascicoli.

Il nobile mecenate auspicava la costituzione in Altamura di un Archivio Biblioteca Museo Civico” con lo scopo di:

Raccogliere i documenti, le pubblicazioni, i ricordi, le opere d’arte d’interesse nazionale ed in particolare pugliese e, più propriamente, altamurano e, quindi, avente attinenza con le famiglie e con i singoli di Altamura, onde evitare che, con il ramificarsi di alcune famiglie, con l’esodo di altre e con l’estinguersi di altre ancora, i documenti, le pubblicazioni, i ricordi e le opere d’arte da queste possedute, vadano fuori di Altamura e, infine, dispersi.

Tentare di ricuperare e riportare ad Altamura i documenti … d’interesse altamurano e che risultino già dispersi.

Costituire e mantenere una raccolta completa e viva, che parli della vita di Altamura nei secoli, perché sia di esempio e di sprone a nuove opere e di incitamento a studi e a pubblicazioni.

Dotare Altamura, centro di studi e di cultura dell’Italia Meridionale, ancor più che delle Puglie, di una biblioteca la più ricca ed aggiornata che sia possibile, ad uso di studiosi e di studenti»

L’idea si concretizzò nella sera del 4 novembre 1948.

Nella riunione tenutasi presso la Biblioteca Comunale cui convennero numerosi cittadini fu approvata la proposta avanzata dal conte Celio Sabini di fondare l’Archivio Biblioteca Museo Civico (A.B.M.C.) e veniva costituito un comitato per procedere alla legalizzazione del nascente Ente con atto rogato dal notaio Ferdinando Schifini in data 19 ottobre 1949.

L’A.B.M.C. si arricchì in poco tempo di volumi, documenti, reperti archeologici e museali, dipinti versati da numerosi privati ma anche dal Comune di Altamura che divenne socio perpetuo e con il quale l’A.B.M.C. stipulò nel 1951 una convenzione.

 

L’A.B.M.C. ha ottenuto il 6 dicembre 1963 dal Presidente della Repubblica il riconoscimento di Ente morale e il 12 giugno 1985 quello di Ente di interesse locale da parte della Regione Puglia.

Dal 1954 pubblica la rivista storica “Altamura”. 

 

L’Archivio

Il nucleo originario dell'archivio era composto da quello storico comunale, custodito fin dalla fine dell'Ottocento presso il locale Museo civico.
La raccolta dei documenti si è notevolmente arricchita per il continuo apporto di donatori privati, di enti pubblici e, naturalmente, attraverso i frequenti acquisti fatti dall'Ente.
L'archivio accoglie il fondo pergamenaceo del Comune di Altamura (tra cui il documento più antico è il decreto di confinazione del territorio altamurano emanato da Federico II di Svevia nel 1243), quello della famiglia Sabini e migliaia di documenti cartacei, provenienti da raccolte private o dal mercato antiquario.
Tra i documenti storici che riguardano la città e la storia della Terra di Bari vanno menzionati il Libro Rosso o libro dei privilegi concessi dall'imperatore Carlo V d'Asburgo (1536), le platee dei beni dei monasteri soppressi (XVIII sec.), numerosissimi documenti cartacei di interesse storico locale, diversi spartiti di alcune composizioni del musicista altamurano Saverio Mercadante, tra cui l'Inno a Sant'Irene, molte opere manoscritte di altri musicisti della famiglia Festa.
All'archivio documentario si affiancano anche una importante fototeca storica, che testimonia gli eventi pubblici e privati di Altamura e dei suoi cittadini ed una ricca raccolta di piante topografiche, progetti di edifici pubblici realizzati da alcuni tra i più stimati tecnici altamurani vissuti nel XIX secolo.
Gran parte del materiale, però, non è schedato ed è consultabile solamente attraverso un registro d'inventario.

 

           Piazza Zanardelli, 30 Altamura

           Telefono: (+39) 080 3111708

La Biblioteca

La biblioteca dell'Ente costituisce per numero di volumi e specificità delle raccolte una delle più ricche della Regione.
Il nucleo originale deriva dal patrimonio della ex Biblioteca Comunale nella quale erano confluite anche le dotazioni bibliografiche del Regio Liceo Ginnasio "Cagnazzi" e del Monte a Moltiplico, un'istituzione cittadina sorta con l'obiettivo di amministrare il denaro e le proprietà raccolte per la erezione a vescovado della chiesa arcipretile della città e finita poi, nel XVIII secolo, a sostenere il Regio Studio o Università degli Studi e successivamente il Seminario e le Scuole superiori.
La dotazione iniziale di libri si è nel corso di oltre mezzo secolo più che raddoppiata in seguito a donazioni ed acquisti ed oggi la biblioteca può vantare circa 90.000 volumi di vario argomento, con una ricca scelta di titoli di storia locale e regionale.
La Biblioteca conserva un discreto numero di edizioni antiche, rare e di pregio tra cui
18 incunaboli
434 cinquecentine
e parecchi volumi pubblicati nel XVII e XVIII secolo. 
Possiede, inoltre, un'emeroteca piuttosto ricca e varia: numerose sono le testate di fine Ottocento e dei primi decenni del secolo successivo, molte delle quali testimoniano una fiorente editoria locale di stampo satirico-politico.
Vengono acquistate o ricevute in dono o per scambio oltre 115 periodici, raggiungendo così un totale di circa 1000 testate.

Il Museo Civico

Come per l'Archivio, anche gran parte del materiale museale custodito dall'A.B.M.C. proviene dal patrimonio conservato nell'ottocentesco Museo civico di Altamura che fu sciolto nel 1909. Tutti gli oggetti furono conservati presso i locali del Liceo Classico "Cagnazzi" e salvo alcune eccezioni (come il primo fondo pergamenaceo e il polittico quattrocentesco del Vivarini che furono affidati rispettivamente all'Archivio di Stato di Bari e alla Soprintendenza di Bari) ceduti nel 1949 dal Comune all'Ente in occasione della stipula della convenzione.
Fino alla creazione del Museo Archeologico Statale di Altamura, l'A.B.M.C. conservava anche il patrimonio archeologico del vecchio museo, accresciuto notevolmente negli anni successivi in seguito a numerosi scavi effettuati sia nell'ambito della città che nel suo territorio e alle donazioni di privati.
Attualmente, tra i numerosi reperti storici, il museo dell'ente può vantare diversi dipinti, oggetti vari (medaglie, monete, cimeli risorgimentali e delle guerre mondiali), mobili antichi, materiale lapideo, statue, busti bronzei ed altro.
Appartengono al Museo Civico ottocentesco:


- i dipinti antichi
- la serie dei ritratti dei re del Regno di Sicilia e Napoli
- mobili antichi
- medaglie e oggetti vari

Acquisizioni per donazione e deposito:
- dipinti degli artisti altamurani Raffaele e Tina Laudati
- i tre cannoni della reistenza della città di Altamura al cardinale Ruffo nel 1799
- dipinti vari
- statue
- una vera di pozzo in pietra bianca
- una vasca battesimale in pietra
- busti in bronzo
- oggetti appartenuti al musicista altamurano Saverio Mercadante.

Giorni e Orario apertura:

Dal Lunedì al Venerdì dalle ore 09:00 alle ore 13:00; e dalle ore 16:00 alle ore 19:00

 B

Si dice che a Bari “nessuno è straniero” e del resto come potrebbe essere diversamente, visto che in 4000 anni di storia il capoluogo pugliese è stato governato dai popoli più disparati: dagli ostrogoti ai longobardi, passando per i bizantini e i saraceni. Guidati dalle preziose pubblicazioni “Bari Bizantina” di Nino Lavermicocca e “Bari nella storia” di Vito Antonio Melchiorre, cercheremo di illustrare in breve tutte le varie dominazioni subite dai baresi.  

Premessa: la nascita di Bari (2000 a.C.) – I primi insediamenti sul territorio barese sono fatti risalire a 2000 anni avanti Cristo. Un villaggio si estendeva per 300 metri nella zona di piazza San Pietro, a Bari Vecchia, lì dove ora sorge un’area archeologica.

Illirici, Peucezi e antichi Greci (dal 1600 a.C. al 326 a.C.) – Nel 1600 a.C. ecco i primi arrivi di stranieri. A sbarcare a Bari furono gli Illiri, provenienti dalla penisola balcanica. Assunsero il nome di Peucezi e si stabilirono anche loro nella zona di piazza San Pietro. Poi dal 1150 a.C. questa civiltà fu “inglobata” nella nascente Magna Grecia, di cui Bari diventò una colonia. Greci che dominarono la “città” fino all'avvento dei Romani.

 

I Romani (dal 326 a.C. al 476 d.C.) – E’ il 326 a.C. quando i baresi chiedono aiuto ai Romani per difendersi dalle invasioni sempre più pressanti dei Sanniti, popolazione proveniente dall’Appennino. Fra trattative pacifiche e azioni militari Bari entra così a far parte della Repubblica Romana, riuscendo a ottenere il titolo di municipium: può eleggere i propri rappresentanti al governo della città e avere leggi proprie, ma deve pagare le tasse all'Urbe e partecipare alla vita militare della “Capitale”. Tra le testimonianze ancora visibili di questo periodo storico ci sono le colonne posizionate sul lungomare nelle vicinanze del Fortino e l’antico pavimento che si trova in piazza del Ferrarese.

Gli ostrogoti (dal 476 al 554) –  Il 476 l’Impero Romano d'Occidente crolla e la Penisola si sgretola. La popolazione dei Goti, barbari discesi dalla Svezia e stanziatisi in territorio germanico, ha al suo interno varie tribù, tra cui gli Ostrogoti. Saranno loro, sotto il comando del re Teodorico a conquistare l’Italia e la Puglia. Gli ostrogoti rimarranno a Bari fino al 554 quando saranno sconfitti dai Bizantini guidati da Giustiniano. In città vi è ancora testimonianza di quel periodo e della guerra: un'iscrizione inserita nel pavimento a mosaico nella Cattedrale paleocristiana (al di sotto della Cattedrale odierna) con la quale un certo Timoteo dichiara di pagare di tasca propria il restauro e l’abbellimento del mosaico distrutto.

I Bizantini (dal 554 al 668) –  La prima Bari Bizantina (una seconda nascerà nell’876) assume un carattere “provinciale”, visto che in Puglia i greci preferiscono stabilire il proprio presidio militare e amministrativo a Otranto e Siponto. Non restano nemmeno segni evidenti di quel periodo storico, a causa delle distruzioni che la città subirà nel corso dei Secoli.

I Longobardi (dal 668 all’847) - I Longobardi, popolo germanico originario del basso corso del fiume Elba, penetrano in Puglia sottraendo a Bisanzio molte località costiere tra cui Bari, che conquistano nel 668. Un loro lascito importante sono le cosiddette Consuetudines Barenses: un testo di leggi che sarà utilizzato in quasi tutto il Mezzogiorno e tramandato anche nei secoli successivi quasi invariato, fino ad arrivare all’Ottocento quando sarà sostituito dal più famoso Code Napoléon. Bari sotto i Longobardi riveste un ruolo da protagonista divenendo uno dei “gastaldati” (circoscrizioni) maggiori del regno. Alcuni storici fanno risalire la sede di questa alta carica al “Portico dei Pellegrini” antistante la Basilica di San Nicola. Una tesi non confermata, anche se la struttura rimanda all’architettura longobarda presente ad esempio a Benevento. Si tratta di un palazzo con una laubia (loggia) al piano terra e una saal, di uso comune, al primo piano.

 

I Saraceni (dall’847 all’872) - Bari nell'847 viene invasa dai Saraceni, arabi di razza berbera provenienti dall’Egitto. Sotto l'emirato di Sawdan Bari diviene porta esclusiva verso l'Oriente: i baresi affinano le doti di commercianti, adottano abbigliamenti e tessuti orientali, imparano l'arte del ricamo e della coltivazione del cotone. Nella Basilica di San Nicola è forse presente l’unica testimonianza di quel periodo: su un pavimento a mosaico dove sembra ripetersi il monogramma cufico di Allah (“Allah è grande”). Ma la presenza araba la si ritrova anche nel linguaggio: in cognomi come Morisco o in termini dialettali tra cui felusce usato per indicare il denaro.

Il ritorno dei Longobardi (dall’872 all’876) - L'emirato di Bari non dura molto, solo 25 anni: sia per discordie interne, ma soprattutto per il vincente assedio da parte di Ludovico, Imperatore del Sacro Romano Impero, che conquista la città nell’876. Bari torna a essere così un podere dei Longobardi, che nel frattempo erano entrati alle dipendenze dell'Impero.

Il ritorno dei Bizantini (dall’876 al 1071) – I Longobardi vengono nuovamente sconfitti dai Bizantini nell’876. E questa volta i greci fanno della città un loro avamposto, elevandola a Catepanato, massima epressione politica dell’Impero. Rimandiamo a un altro articolo più approfondito la storia della Bari Bizantina, i cui resti sono ancora oggi visibili ad esempio con la chiesa della Vallisa (del IX secolo) e con quella di San Gregorio (eretta nel 1015).  Bari in quel periodo dovette far fronte a numerose incursioni: una delle più famose sarà quella del 1002 ad opera dei Saraceni che posero sotto assedio la città, poi salvata grazie all’aiuto di Venezia. La festa della Vidua Vidue ricorda proprio la liberazione di Bari.

I Normanni (dal 1071 al 1189)  - I Normanni, popolo scandinavo stabilitosi in Normandia, regione al nord della Francia, furono portati in città dai signori di Bari, pagati per scatenare una guerra contro i Bizantini. L’obiettivo fu raggiunto e Roberto il Guiscardo conquistò Bari nel 1071. È di questo periodo la traslazione delle reliquie di San Nicola da Myra a Bari, nel 1087. Furono prese in consegna dall'abate Elia e collocate nel monastero di San Benedetto, finché non si decise di costruire una nuova chiesa per il santol’attuale Basilica. Durante la dominazione normanna Bari viene però rasa al suolo. Nel 1156 il re Guglielmo il Malo per punire i baresi che si erano ribellati devastandogli il Castello incendia tutto lasciando in piedi solo gli edifici sacri. I baresi sono così costretti a lasciare la città, che verrà ricostruita solo a partire dal 1160 con l’ascesa al trono del figlio del “Malo”: Guglielmo “il Buono”.  


Gli Svevi (dal 1189 al 1268) - La linea maschile della dinastia degli Altavilla, i Normanni che governavano il Meridione, si estingue. L’unica erede, Costanza d'Altavilla, sposa Enrico VI e così Bari passa sotto lo scettro della germanica dinastia Sveva degli Hohenstaufen, da cui discende Federico II. L’imperatore sarà tra il 1233 e il 1240 l’artefice del restauro e della fortificazione del Castello: l’attuale portale federiciano, il vestibolo, la loggia, i bastioni e le mura interne sono tutti risalenti a quel periodo. Gli Svevi lasciano Bari quando il conte francese Carlo I d'Angiò conquista l'Italia meridionale, compresa Bari, nel 1268.

 

Gli Angioini (dal 1268 al 1442) – Durante il governo degli Angioini Bari passa un periodo oscuro, continuamente minacciata e conquistata da uno o l'altro dei componenti della stessa famiglia Angiò e relegata a dover consegnare il suo fiorente commercio nelle mani di Veneziani, Fiorentini e stranieri in genere. Simbolo della presenza degli angioini è l'Arco posto ad accesso di Piazza San Nicola, aperto da Carlo II.  Poi sotto la regina Giovanna II d'Angiò diviene duca di Bari il principe di Taranto: Giovanni Antonio del Balzo Orsino.

Gli Aragonesi e gli Sforza (dal 1442 al 1557) – Il regno di Napoli nel 1442 viene conquistato da Alfonso V d'Aragona, casata proveniente da una regione della Spagna orientale. Salendo al trono il re conferma la signoria di Bari a Giovanni Antonio Orsini del Balzo, fortemente odiato dai baresi al punto che alla sua morte nel 1463 i baresi distruggono il fortino da lui costruito nel 1440. Nel 1464 Bari passa agli Sforza, casata milanese che aveva aiutato gli aragonesi nella guerra di successione. Nel 1501 Isabella d’Aragona, moglie di Galezzo Maria Sforza, diventa duchessa di Bari che governerà fino al 1524, cercando di abbellirla e aiutarla a uscire dal buio periodo angioino. Particolare è il suo tentativo di rendere Bari un'isola creando un canale navigabile e collegando la città all'esterno per mezzo di ponti. L'opera non vide mai la luce perché la città venne travolta dall'alluvione dell'ottobre 1567: di essa rimane solo il toponimo di Marisabella, attribuito al punto in cui il canale navigabile aveva inizio. Fu lei poi a ricostruire il Fortino così come oggi lo vediamo. Alla sua morte il ducato passa alla figlia Bona Sforza, il cui mausoleo si trova nella Basilica di San Nicola.

Gli Spagnoli (dal 1557 al 1713) - Dopo la morte di Bona Sforza avvenuta nel 1557, Bari rientra nei possedimenti della corona spagnola, cui il regno di Napoli era ormai soggetto da decenni. La città, feudo non ereditario e quindi non appetibile, ritorna ad inabissarsi in un periodo oscuro fatto di soprusi, violenze e prevaricazioni. La popolazione viene lasciata in balìa dei turchi, saraceni e pirati che si aggiravano per le coste: entrando facilmente in città rapivano persone che poi vendevano al mercato degli schiavi o per i quali chiedevano un riscatto. Ci furono sommosse popolari, una delle quali coincise nel 1647 con quella di Masaniello a Napoli. Ma quello ciò che distrusse realmente la città fu la peste del 1656 che uccidendo 12mila anime ridusse a soli 6mila gli abitanti di Bari.

Gli Asburgo (dal 1713 al 1734) – Nel 1713 il Napoletano passa sotto gli Asburgo d'Austria e del loro imperatore Carlo VI. Anche questo non è un gran periodo per Bari: se Napoli iniziava a respirare l'aria dell'illuminismo e della gran cultura, le provincie acquisite, tra cui Bari, vengono lasciate al loro destino. 

 

I Borbone di Spagna (dal 1734 al 1798) - La guerra di successione polacca, dopo la pace di Vienna, porta sul trono di Napoli Carlo III Borbone di Spagna. Il re visita la città nel 1741 con la moglie Maria Amalia Walburga e dà il via a varie opere pubbliche.  All’ingresso del Fortino si trova una targa che ricorda la concessione dei lavori. Nel 1759 il regno passa al figlio Ferdinando IV che autorizza l’espansione della città al di là delle mura medievali. I lavori non verrano però portati avanti per gli stravolgimenti politici che di lì a poco trasformeranno l’Europa e l’Italia.

I Francesi (dal 1799 al 1815) - Nel 1799, durante la breve esistenza della Repubblica Napoletana, Bari si dà un governo provvisorio rivoluzionario. Nello stesso anno Ferdinando IV rioccupa il trono, ma il potere dei Borbone in Italia meridionale è ormai compromesso e nel 1805 l’Imperatore Napoleone li dichiara decaduti. ll Mezzogiorno viene occupato dal fratello Giuseppe Bonaparte, mentre i Borbone si rifugiano in Sicilia. Nel 1806 Giuseppe arriva a Bari come re di Napoli per poi lasciare il suo posto al cognato Gioacchino Murat, nel 1808.  Bari deve a quest’ultimo l’esser divenuta capitale dell'omonima terra sottraendo il privilegio a Trani. Murat il 25 aprile 1813 fa partire i lavori per il nuovo borgo extramurale, appunto il quartiere murattiano. La prima pietra viene posta all'incrocio tra gli odierni corso Cavour e corso Vittorio Emanuele II.

Il ritorno dei Borbone (dal 1815 al 1860) -  Dopo la caduta di Napoleone e del suo Impero, Bari torna ai Borbone di Spagna, ma il progresso della città voluto da Murat continua. Cominciano a sorgere i primi palazzi su corso Ferdinandeo (l’attuale corso Vittorio Emanuele) e nel 1817 viene edificato il mercato delle derrate alimentari (la Sala Murat), fino ad arrivare all’inaugurazione del teatro comunale Piccinni nel 1854.

Bari entra a far parte dell'Italia Unita (ottobre 1860) - Il 22 maggio 1860 Ferdinando II muore e lascia il regno al figlio Francesco II (che proprio a Bari aveva conosciuto sua moglie Maria Sofia Amalia). Ma il giovane re nell'ottobre 1860 viene deposto: Bari entra a far parte dell’Italia unita mettendo così fine 3 millenni di dominazioni straniere.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI BARI:

Telefono: (+39) 080 5771111

Basilica di San Nicola

Uno dei simboli della città di Bari, sorge nel cuore della città vecchia, in una larga piazza, dove, prima della sua costruzione, vi era il palazzo del catapano bizantino (distrutto durante una ribellione popolare). L'edificio fu eretto tra il 1087 ed il 1197, allo scopo di custodire le reliquie di san Nicola, trafugato da Myra da alcuni marinai nel 1087. La sua struttura è uno dei migliori esempi di architettura romanica pugliese.

Largo Abate Elia, 13 Bari

Telefono: (+39) 080 5737111

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

La cattedrale di San Sabino

Fu eretta tra XII e il XIII secolo, dopo la distruzione della città (avvenuta nel 1156) ad opera di Guglielmo I di Sicilia. Come la basilica, anche questa chiesa è uno dei migliori esempi di Romanico pugliese: ha una facciata semplice, e, come il resto del complesso, si caratterizza per la presenza di lesenearchibifore e monofore. In alto presenta un maestoso rosone dalla cornice variegata. I tre portali che immettono nell'interno sono datati all'XI secolo, ma sono stati rimaneggiati nel XVIII secolo.

Piazza dell'Odegitria, 1 Bari

Telefono: (+39) 080 5210605

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Palazzo dell'Acquedotto Pugliese

Nel 1924 l'Ente Acquedotto Pugliese si dotò di una sede centrale, affidando a Cesare Vitantonio Brunetti un edificio in Via Cognetti, a poca distanza dal mare. L'imponente candida facciata bugnata che corre attorno ai quattro lati dell'edificio dona l'aspetto inespugnabile di una fortezza. Tuttavia, varcato l'accesso, si possono ammirare gli splendidi interni scaturiti in ogni minimo particolare dalla fantasia liberty di Duilio Cambellotti: il tema dominante è quello dell'acqua, che viene proposto nei grandi affreschi della Sala del Consiglio, nei pavimenti, negli intarsi in legno e madreperla degli oltre 140 mobili originari.

Via Salvatore Cognetti, 33 Bari

Telefono: (+39) 338 5618934

 

 

(Nella Sezione Palazzi)

Palazzo Mincuzzi

Nel cuore del quartiere Murat, all'angolo tra l'elegante via Sparano, strada della moda e dello shopping barese, e via Putignani, Aldo Forcignano elaborò nel 1923 un progetto con soluzione d'angolo per l'edificio, che mantiene tuttora chiare destinazioni commerciali. La facciata è un coacervo di colonne, lesene bugnate, capitelli ionici e mascheroni tra i quali si sviluppano le molte finestre, tutte scolpite da Nicola Buono, scultore del vicino paese di Capurso. Gli interni, ricchi di decorazioni Liberty, sono dominati da un monumentale scalone e illuminati dalla cupola vetrata che sovrasta l'edificio.

Via Sparano da Bari, 98 Bari

 

 

(Nella Sezione Palazzi)

Palazzo Fizzarotti

Edificato su Corso Vittorio Emanuele II e radicalmente ampliato negli anni 1905-1907 da Ettore Bernich e Augusto Corradini, si presenta come un imponente edificio in stile eclettico. Molti degli stilemi del romanico pugliese vengono fusi con diverse tradizioni architettoniche. La facciata, composta da tre piani in stile veneziano sui quali si apre un leggero loggione colonnato, è un omaggio alla liberazione della città occupata dai Saraceni compiuta dalla Serenissima nel 1022. Gli interni, accessibili mediante un suggestivo androne marmoreo, ospitano diverse decorazioni che richiamano l'epoca federiciana, allegorie delle attività economiche della Puglia e simboli esoterici. L'edificio oggi è adibito ad uso residenziale, ma ospita anche la sede della Delegazione Regionale della Puglia della Gran Loggia d'Italia di Piazza del Gesù, oltre ad un centro polifunzionale con sale per esposizioni e numerosi studi professionali.

Corso Vittorio Emanuele, 193 Bari

Telefono: (+39) 080 5212988

 

Giorni e Orario apertura:

Dal Lunedì alla Domenica (Escluso il Sabato) dalle ore 09:00 alle ore 20:00

 

(Nella Sezione Palazzi)

Palazzo de Gemmis

Elegante palazzo ottocentesco dei Baroni de Gemmis, neoclassico. Sulla facciata è posta una lapide marmorea in ricordo di Giuseppe Garibaldi, accolto nel suo arrivo a Bari dal Barone patriota Nicola de Gemmis, primo Sindaco di Bari. Il Palazzo ospitò anche la raccolta del bibliofilo ing. Gennaro de Gemmis, fondatore della omonima biblioteca, la più ampia sulla storia della Puglia. Il Palazzo fu requisito per usi militari durante la Seconda Guerra Mondiale.

Bari

 

(Nella Sezione Palazzi)

Il Castello Normanno-Svevo 

E’ una fortezza costruita nel 1131 da Ruggero II di Sicilia. Nel 1156 Guglielmo I di Sicilia, lo distrusse quasi interamente e, subito dopo, Guido il Vasto, su commissione di Federico II di Svevia, si occupò della sua ricostruzione. Dopo gli interventi di Federico II, durante il XVI secolo, furono effettuati vari interventi per adeguarlo alle esigenze difensive dell'epoca. Il complesso è caratterizzato dalle torri quadrate che lo sovrastano e da un fossato largo e profondo.

Piazza Federico II di Svevia 4 Bari

 

Il Fortino di Sant'Antonio Abate

Situato sul lungomare Imperatore Augusto, di fronte al vecchio porto (ribattezzato Molo Sant’Antonio), il Fortino di Sant’Antonio Abate, insieme a quello di Santa Scolastica, è uno dei quattro baluardi che hanno scandito la cinta muraria barese fino al XIX secolo.
Rappresenta il punto più alto della città vecchia dal quale è possibile abbracciare con lo sguardo il tracciato delle mura medievali (a sinistra) bordato dal lungomare Imperatore Augusto e il profilo del lungomare risalente alla prima metà del ‘900 (a destra).
La sua origine è ricondotta al 1071, anno in cui il normanno Roberto il Guiscardo, durante l’assedio di Bari, fece costruire a guardia del porto una turris petrinea (torre di pietra). In genere edifici siffatti avevano fondamenta che poggiavano su scogliere, erano a diretto contatto con il mare e risultavano essere i punti più vulnerabili dell’intero sistema difensivo urbano, pertanto spesso erano dedicati a taumaturghi o santi, che garantissero protezione. In particolare il fortino è stato dedicato a Sant’Antonio Abate perché vi sono stati ritrovati i resti di una cappella che doveva accogliere la statua lignea a lui dedicata (Santo popolare per i suoi poteri taumaturgici contro le malattie da contagio e per la protezione offerta agli animali domestici). Nelle murature sono stati ritrovati resti di un’antica chiesa dell’XI-XII secolo (probabilmente “San Nicola sul porto”).

Lungomare Imperatore Augusto Bari

Telefono: (+39) 080 5773846

 

Il fortino ha avuto bisogno di diversi interventi di consolidamento. Nel corso del XV secolo fu riedificato completamente per volere di Isabella d’Aragona e della Universitas barese; nel XVI secolo gli fu restituito l’aspetto fortificato che, dopo un lungo periodo di abbandono, è stato recentemente ripristinato dal Comune e dalla Soprintendenza ai beni culturali.
Oggi è possibile accedere da via Venezia ai locali al primo piano e dal lungomare Imperatore Augusto ai locali al pianoterra, utilizzati dal Comune come sedi di mostre, dibattiti e incontri aperti al pubblico.

 


La Muraglia

La Muraglia è ciò che resta delle fortificazioni verso mare che proteggevano Bari dal XII al XIX secolo.
 
La passeggiata “a mare” lungo le antiche mura conduce al Complesso di Santa Scolastica, vicino all’accesso principale dell’area portuale.
 
Le antiche immagini della città rivelano che con la costruzione del lungomare negli anni ’30 sia venuta meno la suggestiva vista dalle mura, quasi a strapiombo sul mare.

Lungomare Augusto Imperatore Bari

 

 


 

 

 

Parco 2 Giugno

Nel quartiere Carrassi di Bari, il Parco 2 Giugno è un immenso polmone verde, il più grande parco pubblico della città situato proprio ai margini del centro.
 
All’ombra dei pini si trovano dei bagni pubblici, un campetto da basket e una pista di pattinaggio e un laghetto si apre nel cuore del parco, dove vivono alcune tartarughe d’acqua dolce.
 
Amata dagli sportivi, l’area è perfetta anche per pic-nic all’aria aperta e vi si organizzano molte iniziative, anche gratuite.

 

Largo 2 Giugno Bari

 

All’interno del Parco si trova la Biblioteca dei Ragazzi, ospitata nel centro Futura, cui si accede da viale della Resistenza. Le giostrine in legno e plastica sono ben tenute e molto amate dai piccoli.
 
Qui si organizzano anche numerose iniziative rivolte a bambini di diverse fasce d’età e il servizio bibliotecario è aperto alla pubblica fruizione delle famiglie.

 

Biblioteca Dei Ragazzi-e

Via della Resistenza, 178

Telefono: (+39) 080 9262102

Giorni e Orario apertura:

Martedì dalle ore 09:00 alle ore 13:00; e dalle ore 16:00 alle ore 19:00

Mercoledì dalle ore 09:00 alle ore 13:00

Giovedì dalle ore 09:00 alle ore 13:00; e dalle ore 16:00 alle ore 19:00

Venerdì dalle ore 10:00 alle ore 12:00

Sabato dalle ore 16:00 alle ore 19:00

Domenica dalle ore 10:00 alle ore 13:00

E-Mail: biblioteca@progettocitta.org

 

Biblioteche

Biblioteca Nazionale Sagarriga Visconti-Volpi;

Biblioteca Provinciale De Gemmis;

Biblioteca Comunale;

Biblioteca "Gaetano Ricchetti";

Biblioteca Multimediale Del Consiglio Regionale "Teca Del Mediterraneo";

Biblioteca Sportiva Regionale Del CONI;

Biblioteca Della Fondazione Gianfranco Dioguardi;

Biblioteche Dell'università Degli Studi E Del Politecnico Di Bari;

Biblioteca Di Quartiere "Don Bosco - Buona Cultura”

(Nella Sezione Biblioteche)

Pinacoteca di Bari “Corrado Giaquinto”

Dal marzo 1987 è esposta in Pinacoteca la Collezione Grieco, cinquanta prestigiosi dipinti italiani del secondo Ottocento (gli artisti maggiormente rappresentati sono i macchiaioli: Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Giuseppe Abbati, Cristiano Banti, Telemaco Signorini, Raffaello Sernesi, Giovanni Boldini, etc.) e del primo Novecento (Pellizza da Volpedo, Morbelli, Sironi, De Chirico, Carrà, De Pisis, Viani, Campigli, etc.).

Via Spalato n.19 - Lungomare Nazario Sauro,27 Bari

Telefono: (+39)  080 5412420

La Pinacoteca  “Corrado Giaquinto” è collocata al 4° piano dello storico Palazzo della Provincia di Bari. Vi si accede dall’ingresso principale, sul Lungomare Nazario Sauro, oppure dall’ingresso laterale su via Spalato.

 

(Nella Sezione Musei)

Museo Etnografico Africano

Il Museo venne istituito nel 1970 presso il Convento dei Frati Cappuccini ed espone il materiale raccolto dai Padri Missionari. Seguendo le varie stanze si possono trovare strumenti musicale e maschere provenienti dal Mozambico, lire dell'Etiopia e flauti. Sono esposte monete risalenti al periodo delle colonie portoghesi, ventagli realizzati con foglie di palma, oggetti d'avorio e di legno, tutto materiale che documenta, in parte, la cultura e le civiltà africane. Si segnala, inoltre, una sala in cui è stata ricreata un'abitazione caratteristica dei popoli del Mozambico.

·         Via Bellomo, 94 - Convento dei Frati Cappuccini, Bari

·         Telefono: (+39) 080 5610034

 

 

(Nella Sezione Musei)

 

 

 

 

Museo Diocesano - Sezione Bari

Museo d'arte cattolica con dipinti, sculture e manoscritti, i più antichi dei quali risalenti all'VIII secolo.

Via dei Dottula, Bari
Telefono: (+39) 080 5210064 

 

(Nella Sezione Musei)

Museo Nicolaiano di Bari

Raccoglie quei tesori storico artistici legati alla Basilica di San Nicola.

 

Largo Urbano II, Bari

Telefono: (+39) 080 5231429

 

(Nella Sezione Musei)

 

Gipsoteca del Castello Normanno Svevo

E’ allestita in alcune sale del maniero e custodisce una cospicua raccolta di calchi tratti dai più celebri monumenti di Puglia.

Piazza Federico II di Svevia, 4 Bari

Telefono: (+39) 0805286219

 

(Nella Sezione Musei)

 

Museo - Raccolta di Fisica

Il numeroso e vario patrimonio del Museo Civico di Bari comprende molti beni artistici e documentari ricevuti in donazione dalla famiglia Tanzi nel 1935. Ripropongono alcuni illustri componenti della famiglia venuta a Bari al seguito di Isabella Sforza d’Aragona.

Strada Saggers, 13 Bari

Telefono: +39 0805772362

 

(Nella Sezione Musei)

Altri Musei

      ·        Cittadella mediterranea della scienza;

      ·        Museo etnografico africano;

      ·        Gipsoteca del Castello Normanno Svevo;

      ·        Museo nicolaiano;

      ·        Museo della cattedrale;

      ·        Museo storico civico;

      ·        Museo del Sacrario militare;

      ·        Orto Botanico di Bari;

      ·        Museo di zoologia;

      ·        Museo di scienze della terra;

      ·        Museo raccolta di fisica;

      ·        Museo dell'acqua - Palazzo dell'Acquedotto Pugliese;

      ·        Museo della Fotografia del Politecnico di Bari;

      (Nella Sezione Musei)

 

Teatri

Teatro Petruzzelli

Il Teatro Petruzzelli è il più prestigioso contenitore culturale di Bari e della Puglia ed è il quarto teatro italiano per dimensioni, nonché il più grande teatro privato d’Europa.
Situato nel cuore della città, su corso Cavour, è poco distante dal Palazzo dell’Acquedotto Pugliese. Inaugurato nel 1903, nel 1991 fu distrutto da un incendio doloso, per poi essere ricostruito e tornare agli antichi splendori nel 2009.
Lo stile umbertino dell’edificio è in armonia con il resto del borgo murattiano, la parte nuova della città. Il Teatro può accogliere fino a 1.500 spettatori e la ricca programmazione artistica è affidata alla Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli. 

 

I lavori per il Teatro Petruzzelli iniziarono nel 1898 e terminarono nel 1903. L’inaugurazione risale al 14 febbraio dello stesso anno, con “Gli Ugonotti” di Giacomo Meyerbeer. Nel 1954 fu dichiarato Monumento di interesse storico e artistico e, nel 1973, Teatro di tradizione. Devastato da un incendio doloso nel 1991, è tornato agli antichi splendori il 4 ottobre 2009.

 

Corso Cavour, 12 Bari

Telefono: (+39) 080 9752810

 

Il Petruzzelli è un teatro di pianta all’italiana. La trabeazione presentava un fregio e un attico in cui era incastonato il gruppo in cemento di Pasquale Duretti “Apollo che incorona la Musica”. Nel 1899 al barese Raffaele Armenise fu commissionato il grande telone del sipario e, nel 1901, la decorazione pittorica della cupola. Dopo l’incendio, molti elementi sono stati magistralmente ricostruiti.

 

 

Listino Prezzi sul Sito Web Ufficiale:

www.fondazionepetruzzelli.it

 

Prezzi Ingresso:

5€ per gli adulti;

1€ per gli studenti, i bambini e i disabili;

Gratuito per gli accompagnatori del disabile.

Teatro Piccinni

Si affaccia sul centrale Corso Vittorio Emanuele II di Bari il Teatro comunale Piccinni, il più antico della città.
 
La sala, ricca di dorature e impreziosita dall’illuminazione d’atmosfera, ha una capienza di 850 posti distribuiti su quattro ordini ed è decorata con figurazioni di Luigi de Luise e Leopoldo Galluzzi. Il sipario presenta l’immagine del torneo dato a Bari da re Manfredi in onore dell’imperatore d’Oriente Baldoino.
 
Il progetto fu affidato nel 1836 ad Antonio Niccolini e l’inaugurazione si tenne nel 1854 con la rappresentazione del “Poliuto” di Gaetano Donizetti. All’anno seguente risale l’intitolazione al musicista barese Niccolò Piccinni.

Corso Vittorio Emanuele II, Bari

Telefono: (+39) 080 5212484

E-Mailtpp@teatropubblicopugliese.it

Teatro dell'Anonima, gestito dagli attori baresi Dante Marmone e Tiziana Schiavarelli, chiuso nel 2013 

TeatroTeam

Il Teatro Team svolge da 25 anni un ruolo pilota per tutta la regione, nell’ambito dello spettacolo. Articola la propria attività preminentemente nella fruizione quasi totale dei vari segmenti dello stesso. Infatti le Stagioni che si sono succedute nell’ultimo decennio, sono articolate in rassegne finalizzate a precisi indirizzi artistici.


Inoltre ad oggi la massima espressione nazionale ed internazionale della musica leggera (pop, jazz, etnica ecc.) è stata ospite del ns. Teatro. Politica evidentemente vincente in quanto il raggiungimento di prestigiosi traguardi di critica e di pubblico, ha conseguentemente ampliato l’utenza alle regioni limitrofe (Basilicata, Calabria, Molise e Campania)


Il Teatro dispone di 2056 posti suddivisi in 1350 in platea e 706 in galleria.

Via Prezzolini Bari

Botteghino: Piazza Umberto, 36

Telefono: (+39) 080  5210877

(+39) 080 5241504

Orario e Giorni apertura Botteghino:

Dal Lunedì al Sabato dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore 16:30 alle ore 19:30

E-Mail: teatroteam@teatroteam.it

Teatro Forma

La Fondazione Orfeo Mazzitelli nasce dal desiderio dei figli Dante e Maria Teresa di ricordare la figura del padre Orfeo, genitore esemplare e grande maestro di vita, pioniere per vocazione e uomo di grande coraggio, imprenditore illuminato e pilota capace di gesta eroiche. E' stato il primo al Sud (e tra i primi in Italia) a dar vita a una televisione privata, mirata a un'informazione locale e sempre al servizio del cittadino. Il Teatro F.OR.MA non poteva che omaggiarne le orme, dando vita non a un teatro qualunque, ma a un gioiello tecnologicamente e stilisticamente all'avanguardia, con una meticolosa e attenta cura dei particolari. Un contenitore culturale unico nel suo genere, un progetto estremamente estremamente suggestivo - la città delle onde - che argina la fuga dei giovani talenti e offre agli artisti pugliesi una possibilità di crescita personale, elevando Bari a città leader della cultura.

Via Giuseppe Fanelli, 206/1 Bari

Telefono: (+39) 080 5018161 

E-Mail:

biglietteria@teatroforma.org

Per informazioni inerenti la concessione del teatro, o per eventuali proposte artistiche amministrazione@teatroforma.org

 

Giorni e Orario Apertura:

Dal Lunedì al Venerdì dalle ore 10:00 alle ore 18:00; Il botteghino resterà aperto nei fine settimana (Sabato e Domenica) lì dove ci siano spettacoli in programma.

 

 

 

 

 

Teatro Kismet OperA

Il Kismet nasce a Bari nel 1981 come compagnia teatrale ragazzi per iniziativa di giovani attori provenienti da una scuola universitaria di formazione all’attore diretta da Carlo Formigoni; seguendo poi il suo “felice destino” – kismet in sanscrito – viene riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali Teatro Stabile d’ Innovazione.

Nel 1989 inaugura la sua casa teatrale scegliendo, volutamente un ex capannone industriale, luogo preposto a valorizzare un’idea di teatro come officina artistica, fucina di idee, luogo d’incontro, centro di cultura e di dialogo permanenti.

Nuovo Teatro Abeliano
Via Padre Massimiliano Kolbe 3, Japigia Bari
Telefono: (+39) 080 5427678

 

Teatro Kismet
Strada San Giorgio Martire 22/f  Bari
Telefono: (+39) 080 5797667

 

Biglietti:

http://www.teatridibari.it/botteghino/

Teatro Duse

Nasce per volontà di due artiste della musica: Mia Fanelli, in passato impegnata nel campo della musica leggera d’autore.
Ricavato nella struttura di un ex opificio dimesso da 10 anni , è stato ristrutturato e dotato di ogni requisito tecnico, logistico ed amministrativo.

Via Cotugno 21, Bari

Telefono: (+39) 080 5046979

E-Mail: info@duseteatrobari.it

Teatro-Cinema Royal

Corso Italia, 112 Bari

Telefono: (+39) 328 2549669

Teatro Purgatorio

Via Salvatore Pietrocola, 19 Bari

Telefono: (+39) 080 5796577

 

Per informazioni sulla programmazione del Teatro Purgatorio
telefonare al botteghino ai seguenti numeri telefonici

(+39) 080 5796577

(+39) 334 7776111

Piccolo Teatro di Bari

Strada II Borrelli, 43 Bari

Telefono: (+39) 080 5428953

Casa di Pulcinella

Nel 1988 il Granteatrino ha fondato la Casa di Pulcinella, un teatro stabile di burattini e marionette, dotato di una sala teatrale, di spazi per attività espositive e per i laboratori. A sottolineare la valenza internazionale del teatro di marionette, la Casa di Pulcinella è gemellata con la Maison de Polichinelle di Saintes in Francia.

Intorno al Teatro si è raccolto un nuovo pubblico, soprattutto di bambini, ragazzi, giovani, ma anche un nucleo artistico di scrittori, musicisti, scenografi che ha trovato nel teatro di figura un interessante terreno di confronto e di ricerca.

La Casa di Pulcinella, dalla sua nascita ha allevato intere generazioni all’amore per il teatro ed è entrata a far parte della formazione culturale di migliaia di bambini.

Dal 1989 il Teatro programma la rassegna invernale ‘La maschera e l’ombra’ che ha proposto al pubblico le migliori compagnie di teatro di figura italiane e straniere. 
‘Burattini sotto l'albero’ è il titolo di un altro appuntamento organizzato nel periodo natalizio, il 26 e il 27 dicembre.

Arena della Vittoria, 4 Bari

Telefono: (+39) 080 5344660
(+39) 080 5340686
E-Mail: teatro@casadipulcinella.it

 

 

 

 

 

Teatro Barium

 

 

 

 

Via P. Colletta, 6 Bari

Telefono: (+39) 080 5617264

E-Mail: manifatturatabacchi@libero.it

Giorni e Orario apertura:

Lunedì – Martedì – Mercoledì dalle ore 17:00 alle ore 21:00

Dal Giovedì alla Domenica dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore 17:00 alle ore 21:00

Teatro di Cagno

 

 

 

 

Corso Alcide de Gasperi, 320 Bari

Telefono: (+39) 080 5027439

(+39) 348 7632546

(+39) 334 7926917

 

Teatro Bravò

Str. Privata Stoppelli, 18 Bari

Telefono: (+39) 380 3433656 
E-Mail: teatrobravo@libero.it

Teatro Abeliano

 

 

 

 

Via Padre Massimiliano Kolbe, 3 Bari

Telefono: (+39) 080 5427678

E-Mail: botteghino@teatroabeliano.com

amministrazione@teatroabeliano.com

Teatro Palazzo

 

Corso Sidney Sonnino, 142/D Bari

Telefono: (+39) 080 9753364

Auditorium Diocesano Vallisa

Str. Vallisa, 11 Bari

Telefono: (+39) 080 5216279

E-Mail: info@vallisa.it

 

Il borgo di Bitetto, chiamato in dialetto barese Vetétte, è la “Città dell’Oliva Termite”: sorge in provincia di Bari, a circa 17 chilometri dal capoluogo e alle pendici dell’altopiano delle Murge.

 

Le prime fonti scritte di Bitetto risalgono al 959 d. C. ma le sue origini sembrano risalire a tempi molto più antichi, come testimoniano i corredi funerari ritrovati nel territorio circostante e datati IV secolo a. C.

Sede vescovile a partire dall’XI secolo, in epoca normanna parte del territorio appartenente al borgo venne accorpato alla nascente città di Altamura, dove molti abitanti di Bitetto andarono a stabilirsi. Con l’ascesa degli Angioini, poi, il paese divenne uno dei centri più sviluppati della zona.

Nel corso del 1300 Bitetto fu saccheggiata da truppe di ungheresi e ceduta prima agli Arcamone e poi, all’inizio del 1400, a Lorenzo de Attendolis. Queste dominazioni ebbero come conseguenza un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, ulteriormente provata dalla peste e dalla carestia che colpirono il paese nel corso del quindicesimo secolo, riducendo di molto il numero degli abitanti: il paese si riprese, dal punto di vista demografico, solo nel corso dell’Ottocento.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI BITETTO:

Telefono: (+39) 080 3829212

 

Chiesa di Santa Maria Assunta

 

Largo Chiesa, 1 Binetto

Telefono: (+39) 080 7839444

 

(Nella sezione Luoghi di Culto)

Tra le principali attrazioni che caratterizzano Bitetto troviamo le chiese. La Cattedrale di San Michele Arcangelo è il più importante monumento del Borgo. Edificata in stile romanico nel 1335 da Mastro Lillo da Barletta, presenta delle ricche statue in pietra e dei capitelli nel portale centrale. L’interno, suddiviso in tre navate, e il campanile risalgono al XVIII secolo.

Piazza del popolo Bitetto

Telefono: +39 0809921028

E-Mail: info@parrocchiabitetto.it

 

(Nella sezione Luoghi di Culto)

La Chiesa di Santa Maria La Veterana (o Vetere) ha origini antiche e le prime tracce della sua storia risalgono a un documento del 959, anche se altri documenti sembrano far risalire la sua edificazione tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300.

Piazzetta Santa Maria Bitetto

Telefono: (+39) 080 990609

 

(Nella sezione Luoghi di Culto)

La Chiesa di San Domenico si trova fuori dalle mura medievali e risale al periodo che va tra la fine dell’XI secolo e la metà del XII. Sede vescovile, Bitetto ospito i Frati Minori Osservanti nel Convento del beato Giacomo, risalente al 1432 che, attualmente, è la sede di formazione per i chierici di teologia. Simbolo del potere nobiliare il Palazzo baronale, o palazzo dei Noya, venne costruito nel 1773 a ridosso delle mura del Borgo.

Piazza Umberto I Bitetto

 

(Nella sezione Luoghi di Culto)

      ·        Chiesa Di Santa Maria La Veterana

      ·        Il Convento Del Beato Giacomo

      ·        Chiesa Di San Marco, Ormai Distrutta

      ·        Chiesa Di San Rocco

      ·        Chiesa Di San Rocco Vecchio, Abbandonata Nel XVIII Secolo

      ·        Chiesa Di Santa Maria Mater Domini

      ·        Chiesa E Monastero Di Santa Chiara, Soppresso Agli Inizi Del XIX Secolo A           Causa Dello Scarso Numero Di Monache

      ·        Chiesa Della Vergine Benedetta

      ·        Chiesa Di Maria Maddalena

      ·        Chiesa Di San Giuseppe

      ·        Cappella Della Madonna Delle Grazie

      ·        Chiesa Del Monte Di Pietà

 

(Nella sezione Luoghi di Culto)

Il Sedile è l’antica sede del Comune, ed era il punto di riferimento per tutto ciò che concerneva l’amministrazione, la giustizia e le attività economiche. Al suo interno erano conservate le unità di misura per il confronto con quelle usate dai forestieri. Qui inoltre risiedeva il Mastro Mercato, che regolava lo svolgimento di mercati, fiere e aste.

Bitetto

 

(Nella sezione Palazzi)

Il Palazzo del Barone

Situato a ridosso delle mura medievali e della Porta Piscina. Bitetto

 

(Nella sezione Palazzi)

La casa dei Cavalieri di Malta

Di questo monumento medievale, sito nel centro storico, si sa pochissimo: la stessa attribuzione all'Ordine dei Cavalieri di Malta proviene dalla tradizione locale. Studi recenti attestano, tuttavia, la presenza di numerosi possedimenti di quest'Ordine cavalleresco in Contrada Bavotta (nell'agro di Bitetto), dove i Melitensi erano tenutari di una masseria denominata "Calcara alla Bazia". La presenza, inoltre, di una vistosa croce ottagonale sulla soglia dell'antico 'hospitale' di S.Giacomo, a pochi metri dalla casa-torre, parrebbe confermare la tradizione popolare. Databile tra il XIII e il XIV secolo, la costruzione, in conci ambrati, è a due piani. All'esterno della facciata una scala rampante parte dalla strada fino ad arrivare all'ingresso del primo piano, sormontato da un architrave con cornice a denti di sega. Al secondo piano una bifora ogivale ravviva la parete spoglia. Ai lati della bifora, a livello del piano d'imposta dell'arco, fuoriescono due mensole decorate e forate. Il lato orientale presenta due ingressi ogivali al piano terra. L'intero edificio ha sul retro una corte di servizio, grazie al quale si scopre l'impianto "a Croce di Sant'Antonio|tau" della casa poiché, perpendicolarmente al corpo della fabbrica, si innesta un'ala occultata da edifici successivi, anch'essa a due piani.

Bitetto

 

Il Monumento ai Caduti

Il monumento, dedicato ai caduti bitettesi della Prima guerra mondiale, fu eretto nel 1923, opera dello scultore Tonini di Roma, grazie all'avvocato Domenico Abruzzese, ai cittadini, all'amministrazione comunale e alla comunità bitettese risiedente negli Stati Uniti d'America. Esso è costituito in pietra bianca con iscrizioni metalliche ed elementi statuari, tra cui spicca quello bronzeo della Vittoria Alata, che campeggia sulla sommità del monumento. Alle sue spalle è presente un cannone di bronzo, residuo bellico del 1918, tolto agli austriaci.

Piazza Umberto I Bitetto

Il Museo Della Devozione E Del Lavoro

 

Viale Beato, 1 Bitetto

Telefono: (+39) 080 9921063 
(+39) 080 9921034

 

(Nella Sezione Musei)

Mura

La muraglia era caratterizzata da imponenza e solidità, che avrebbero garantito la salvezza della città in caso di assedio. in tempi critici, le vie esterne erano vigilate da soldati posti di guardia su alcuni dei trentasei torrioni di forma rettangolare che insistevano sul perimetro della cerchia muraria, a quindici metri l'uno dall'altro, ma a due a due per custodire le porte di accesso. Esternamente appariva compatta e ininterrotta, senza alcuna apertura per non indebolirne le difese. Una prima muraglia viene attestata già dal 1099, epoca in cui vi era una turricella a oriente e una casa vecchia. La preesistenza di una cinta fortificata è confermata da Lorenzo Giustiniani, che scrisse nel 1797: "Sotto Carlo I [Bitetto] incominciò a riedificarsi nel luogo del castello fortificato d'intorno di torri e di mura, verso il 1266 e da quel tempo è rimasta sino al presente di piccola estensione".

Bitetto

Porte

Si poteva accedere alla città attraverso tre porte, abbattute nel XIX secolo durante il processo di espansione della città al di fuori del borgo antico. Esse erano aperte di giorno, dopo che la campana della Cattedrale aveva suonato il Mattutino, fino alle due di notte.

Bitetto

Porta Piscina

Si erigeva ad est, accogliendo i viaggiatori da Bari e da Modugno, ed era la porta più importante della città. Era l'onore del Comune e il vanto della famiglia De Angelis: Flaminio De Angelis, infatti, ottenuto il titolo di principe della città volle dimostrare la riconoscenza per i doni ricevuti col feudo rendendo più imponente e ampia la porta (1634). Sul portale anticamente si stagliavano tre stemmi: quello del Comune, quello di Filippo IV di Spagna (allora re di Napoli) e quello della famiglia De Angelis.

Bitetto

Porta Comunale

Posta a sud, veniva chiamata anche delle beccherie perché fuori di essa erano situati il macello e le due botteghe del fornello per cuocere la carne di proprietà comunale.

Bitetto

Porta della Maddalena

Era posta a ovest e prendeva il nome dalla cappella lì situata.

Bitetto

Osservatorio Faunistico Regionale

 

Via Generale Michele Palmiotti, 43 Bitetto

(Nella Sezione Musei)

 

Bitonto

Sull'ansa del solco carsico di superficie torrente Tiflis o lama Balice lungo una strada orientata Nord-Sud ( dall'approdo costiero di Palese-S.Spirito-Giovinazzo), si formò il primo insediamento antropico di Bitonto alcuni millenni prima di Cristo. Numerosi sono i depositi (dolmen e menhir) del Paleolitico e del Neolitico sulle vie Megra, Tauro, Cela, e Bazzarico. Con l'invasione illirica, in età del Ferro, genti provenienti dall'opposta sponda adriatica costituiscono in Puglia l'area etnica degli Japigi ( Apuli dell'età classica) con i clan dei Dauni ( odierna Capitanata-prov. di Foggia), Peucezi o Pediculi (abitanti delle colline in prov. di Bari), Messapi (Salento).

Centro importante a struttura paganica dei Peucezi fu Butuntum (bitonto) al pari di Metapontum, Hidruntum, Tarentum, Sipontum. Investiti dalle influenze culturali della Magna Grecia i "Popoli Bitontini" conservarono intatta sino all'invasione romana la propria indipendenza.

 Pur socia di Roma nel III sec. a.C. , coniava monete proprie con le immagini di Atena, peculiare dea, e la legenda in greco "Bytontinon". La zona acropolare doveva raccogliersi intorno al tempio di Minerva sullo spalto del Tyflis, mentre quella residenziale necropolare era disposta sull'asse della via Minucia poi Traiana  (Roma-Benevento-Canosa-Ruvo-Bitonto-Bari-Brindisi), con divaricazione per Ceglie-Norba-Egnatia.

Bitonto fu municipio in età repubblicana ed imperiale, annotata come stazione di sosta sull'itinerario classico investito nel terzo secolo dalla penetrazione cristiana (pellegrino di Bordeaux, itinerario di Paolino da Nola, anonimo Ravennate). Con la decadenza della struttura amministrativa curiale romana, emerge quella paleocristiana, come appare dai recenti scavi sottopavimentali della Cattedrale. Goti, Longobardi, Slavi e Saraceni lasciarono la loro improntanegli usi, costumi e tendenze artistiche. il 975 d.c. il catapano Zaccaria al seguito di milizie di Bisanzio, sconfisse a Bitonto i saraceni e uccise il loro capo Ismaele. L'esoso governo bizantino creò malcontento, tanto che all'alba del mille, la città di Bitonto aderì alla lega dei Comuni di Puglia, capitanata da Melo ed Argiro. Fu in questo periodo che numerosi abitanti del contado e dei casali si rifugiarono in città dando vita ad una vera fioritura artistica e civile. Il 1098 Guglielmo d'Altavilla si definisce "Dominator civitatis Botonti" e instaura una sorta di contea feudale. Riacquistata l'autonomia con i normanni di Sicilia ( Ruggiero II, Guglielmo I e II), Bitonto divenne centro importante e si avviò la costruzione della nuova cattedrale sulle vestigia di quella paleocristiana e alto medievale. Artefice di questo straordinario sviluppo fu il concittadino Maggiore che ascese alla suprema carica di regio giustiziere dopo il 1156 con la conquista e il saccheggio di Bari da parte di Guglielmo il "Malo". Con Federico II (1194-1250) Bitonto mantenne il suo status di "Civitas specialis" e fu uno dei luoghi di concentrazione  di collette e tasse da parte dello Svevo, che usò "il bastone e la carota" nei confronti dei bitontini e delle istituzioni locali ( Benedettini, Vescovo) discriminati per aver parteggiato con il papa. Carlo I d'Angiò normalizzò la situazione locale e dette corpo ad una nuova nobiltà ( Rogadeo, Bove, Planelli, Labini, ecc..) dedita ai traffici ed al commercio. Fra i cittadini più meritevoli di quel tempo annotiamo Sergio Bove, Regio secreto e fedele Miles e Giacomo Rogadeo, portulano d'Adriatico, ambedue priginari di Ravello sulla costa Amalfitanta. Nei secoli XIII e XIV fu città di "antico regio demanio" dipendente dalla corona, ricca e popolosa ( la seconda città in terra di Bari dopo Barletta). Conobbe la prima infeudazione nel 1412 con Giacomo Caldora, duca di Bari e signore di Bitonto. Seguirono nel corso del quattrocento i Ventimiglia, gli Orsini, gli Acquaviva d'Aragona e i Cordoba, eredi del Gran Capitano che nel 1503 concquistò per la Spagna il Mezzogiorno d'Italia. L'anelito per la libertà era forte e potente nell'animo dei bitontini, i quali, grazie ai meriti di vescovi come Cornelio Musso o di forti personalità come Ambrogio Azaro Mariano, riuscirono a riscattare la città il 27 maggio 1551 con il versamento al duca di Sessa e ala corona di Spagna di ben 66000 ducati. Riavuta l'autonomia e la regia demanialità, Bitonto si adornò di nuovo emblema araldico ( l'ulivo, con la dicitura " ad pacem promptum designat oliva Botontum", fu sostenuto da due leoni, simboli del reggimento democratico attraverso i sedili e beccato da cinque stormi, chiaro riferimento alle cinque infeudazioni subite).

Nel 1565 la città si dette nuovi Statuti che furono da modelli per Molfetta, Trani e Bari. Il 1585 vennero fissati i nuovi termini confinari, definiti tra l'Adriatico e l'Alta Murgia. popolosa e attiva ( nel 1669 Bitonto era la seconda città di Puglia dopo Lecce), vide il fiorire di circoli, accademie e botteghe d'arte ( celebre quella di pittura di Carlo Rosa e famosa l'Accademia degli Infiammati). In questo contesto emersero concittadini come Tommaso Traetta, precursore nella musica della riforma del melodramma, Giordano Vitale,anticipatore della matematica non Euclidea, Bonifacio Nicola Logroscino, divo dell'opera buffa. Il 25 Maggio 1734 sotto le mura di Bitonto si svolse una memorabile Battaglia fra Austriaci e Spagnoli, questi ultimi guidati dal generale Montemar. Tale Battaglia fu determinante per la guerra di sucessione Polacca e diede il riacquisto dell'indipendenza del mezzogiorno sotto Carlo III di Borbone. Nel 1860 attiva fu infine la partecipazione dei bitontini al processo di unità d'Italia con Vincenzo Rogadeo che fu nominato dal Garibaldi Primo governatore di Puglia. Nel clima di fervore postunitario, il Rogadeo, senatore del regno e sindaco di Bitonto (1870-1875), tento l'emancipazione morale e civile dei cittadini, istituendo un Gabinetto di Lettura, una Scuola Serale di Disegno, affidata al pittore Francesco Spinelli, quale direttore, un Consorzio per oli tipici, curando la viabilità e sinanche la costruzione di strade ferrate. In un contesto contadino ed analfabeta, il popolo bitontino rimase deluso dalla rivoluzione borghese e, dopo i tristi fatti del 1893 (uccissione di un delegato della finanza), presero corpo prima il movimento socialista e sucessivamente quello cattolico-democratico con Giovanni Ancona Martucci ed il vescovo Berardi. Furono, però, Gaetano Salvemini e Giovanni Modugno a squotere le coscienze nel paese tra il 1911 e il 1919. Dagli anni ' 50 vi è stato un continuo processo di trasformazione della società e dell'economia bitontina, che rimane essenzialmente agricola e terziaria.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI BITONTO:
Telefono: (+39) 080 3716304

Concattedrale Dedicata A San Valentino

Edificata nel XII secolo in stile romanico pugliese, con una facciata tripartita di lesene e tre portali, con pianta a croce latina e un soffitto a capriate lignee, bassorilievi e mosaici antichi. All’interno della cattedrale sono conservati i simulacri di Maria Santissima Addolorata e di Maria Santissima Immacolata, la patrona della città.

Piazza Cattedrale, 19 Bitonto

Telefono: (+39) 080 3752100

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Chiesa di San Francesco d’Assisi

Chiamata anche “Chiesa della scarpa”, fu costruita nel 1283 nel punto più alto della città grazie ad un terreno ceduto dalle monache benedettine del monastero di santa Lucia, a testimonianza della visita nella città di San Francesco D’Assisi nel 1222.

Piazza Minerva Bitonto

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Chiesa di San Niccolò ai Teatini o San Gaetano

Edificata nel 1609 secondo il progetto di Dionisio Volpone di Parabita, eretta in piazza Cavour in completo stile barocco.

Piazza Cavour Bitonto

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Chiesa del Crocifisso

Edificata dal 1664 secondo il progetto di Carlo Rosa, sede della Parrocchia di San Silvestro Papa.

Via Vecchia Cappuccini Bitonto

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Chiesa del Purgatorio

Situata nei pressi di palazzo Sylos-Calò, edificata nel 1670 sotto il disegno di Michelangelo Costantino.

Via Domenica Cimarosa Bitonto

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Chiesa di San Domenico

Edificata per volere dei Domenicani nel 1258 assieme al convento.

Via San Domenico Bitonto

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Basilica dei Santi Medici

Edificata nel 1960 grazie al progetto dell’architetto bitontino Antonio Scivittaro, professore di Architettura all’Università di Napoli, consacrata dal vescovo di Bitonto Aurelio Marena nel 1973 ed elevata a basilica minore da papa Paolo VI.

Piazza 26 Maggio 1734 Bitonto

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Palazzo Vulpano-Sylos, monumento nazionale

Costruito nella seconda metà del Quattrocento per volere di Giovanni Vulpano con elementi tardo-gotici aragonesi e rinascimentali.

Via A. Planelli, 51 Bitonto

 

(Nella Sezione Palazzi)

Palazzo Sylos-Calò

Costruito tra il 1529 e il 1583 da Giovanni Alfonso Sylos in stile tardo-rinascimentale.

Via dei Mercanti Bitonto

Telefono: (+39) 080 099708

 

(Nella Sezione Palazzi)

Palazzo De Ferraris-Regna

Risale al XIV secolo e fu realizzato dai De Ferraris, nobile famiglia genovese che scelse di trasferirsi a Bitonto.

Piazza Camillo Benso Conte di Cavour, 8 Bitonto

 

(Nella Sezione Palazzi)

Teatro Traetta

Si trova situato ai margini del centro storico della città con una facciata suddivisa in due parti, una in pietra e una superiore ad intonaco.

Largo Umberto Teatro, 17 Bitonto

 

(Nella Sezione Palazzi)

Porta Baresana

Denominata anche Porta della marina, in quanto rivolge il suo sguardo verso l'ex frazione a mare di Bitonto, Santo Spirito, fu costruita presumibilmente nel XVI secolo. Tuttavia un secolo più tardi fu ricostruita in seguito a un danneggiamento. La facciata anteriore conserva uno stile rinascimentale con l'accesso costituito da un arco a tutto sesto e affiancato da paraste terminanti in un architrave. Su questo è stata aggiunta la copia di una predella policroma, un dipinto rappresentante i santi protettori della città. Più in alto la facciata reca uno stemma dei Savoia che sostituisce lo stemma della città aggiunto nel 1551 in occasione del riscatto della città dal feudatario. La parte superiore della facciata anteriore è costituita dal vano dell'orologio, aggiunto nel Novecento. Sul vano dell'orologio si erge una statua dell'Immacolata, che nasconde la campana dell'orologio. La facciata retrostante presenta un fornice a ghiera affiancato da paraste in bugnato, similmente alla facciata esterna ma con degli zoccoli di basamento più alti. Sull'architrave, che presenta lo stemma della città si erge il timpano in cui è situato, nel mezzo, il secondo quadrante dell'orologio.

Via Giandonato Rogadeo,già dei Mercanti Bitonto

Telefono: (+39) 080 3743571


Torrione angioino

E’ una torre cilindrica del XIV secolo. Faceva parte di una piazzaforte con ventotto torri e cortine. Fu utilizzata come torre di avvistamento e di difesa, e i suoi sotterranei furono adibiti a luogo di detenzione. Ha un'altezza che supera i 24 m, e un diametro di circa 16. È dotata di mura spesse quasi 5 m che rendono la torre molto resistente. È realizzata in bugnato e termina con una merlatura. Alla base il torrione è inanellato dalle casematte che, in basso, lasciano il posto a uno zoccolo a stella che segna il perimetro interno del fossato, profondo oltre 4 m. L'interno è composto da tre ambienti poveri. Quella del piano terra è di pianta circolare e ci si entra da una apertura di appena 80 cm. La copertura è a volta semisferica. Il primo piano conserva una pianta ottagonale e la copertura è formata da una volta a crociera. Il secondo piano è, infine, nuovamente di pianta circolare. Il torrione dal 2009 è sede di una galleria d'arte contemporanea allestita nelle casematte, grazie a un intervento di riqualificazione che ha anche riportato alla luce il fossato.

Piazza Camillo Benso Conte di Cavour Bitonto

Telefono: (+39) 080 3739912


 

Porta La Maja o del Carmine

Il nome è un'evoluzione della forma con cui era definita la lama su cui la porta si affaccia: "lama major". È detta, però, anche "del Carmine" (la stessa porta reca l'iscrizione IANUA CARMELI). Fino alla prima metà del Seicento la porta era costituita da un semplice ambiente chiuso da una volta a botte acuta, esattamente come appare dalla facciata interna. Dal 1677 la facciata esterna viene inglobata in un ricco paramento così come appare oggi. Si tratta di una coppia di colonne binate a fasce orizzontali, poggianti su piedritti e terminanti con capitelli tuscanici, che sorreggono due trabeazioni da cui si innalzano i rispettivi timpani. Con il nuovo paramento l'arco diventa semicircolare e le sue decorazioni si sovrappongono all'architrave. Nell'ambiente superiore è uno stemma dei Savoia e una statua della Madonna del Carmine. Una cornice unifica l'ambiente sovrastante al resto della struttura. 

 

 

 

 

 

 

Piazza La Maja Bitonto

 

Fiancheggiano la porta una torre normanna rettangolare, sulla destra, e una torre angioina cilindrica, sulla sinistra. Secondo Luigi Sylos, fino agli inizi del XVII Secolo la porta era ancora quella di epoca romana, posta probabilmente più in alto e più a est di quella attuale (dove in antichità, sempre secondo il Sylos, accoglieva la via Minucia-Traiana, biforcatasi dalla porta Robustina) e "spostata" nella sede attuale quando fu costruito il primo ponte sulla lama (il "ponte del Carmine", poi andato distrutto nell'alluvione del 1846); inoltre, sempre secondo lo storico bitontino sarebbe errata l'attribuzione della provenienza del nome della porta dal latino majora, ma più probabilmente alla divinità romana "Bona Dea" (la "Ginecea" dei greci antichi, protettrice delle mogli, che secondo Lattanzio veniva chiamata anche Maja), di cui, sempre nel periodo romano c'era un tempio sulla Appia, prima che questa giungesse a Bitonto. Il riferimento al Carmine deriva anche dal fatto che si trovasse in prossimità del convento dei Carmelitani (ora l'immobile ospita l'orfanotriofio provinciale femminile Maria Cristina di Savoia).

Torri di campagna

Oltre alle torri che costellano la cinta muraria della città, sono presenti, nell'agro bitontino, diverse torri di campagna, realizzate soprattutto per scopi difensivi:

          Torre Santa Croce fu addossata alla chiesa omonima nel XV secolo;

          Torre Spoto, è situata nelle vicinanze della strada che porta a Ruvo di Puglia. È realizzata su tre livelli, i primi due coperti da volte a botte, mentre il terzo livello è privo di copertura. Questa torre è stata il quartier generale di Montemar e delle sue truppe durante la battaglia di Bitonto;

          Torre D'Agera, del XV secolo; è situata in direzione di Giovinazzo e apparteneva alla nobile famiglia degli Agera. Fortemente degradata, si estende su due livelli e conserva una bifora;

          Torre Pingiello, fu innalzata probabilmente agli inizi del 1700. Nei pressi della torre sono stati rinvenuti frammenti ceramici databili al V secolo a.C.;

          Torre Carriere, appartenente a una famiglia proveniente dal Veneto, risale invece al 1621, come riporta l'architrave dell'ingresso;

          Situata a ridosso della lama è la torre Pozzo Cupo del XVI secolo;

          Torre Morea, si trova sulla strada che portava a Silvium (Gravina di Puglia). Fu realizzata nel XVI secolo, si eleva su due piani ed è adornata all'ingresso da una nicchia un tempo affrescata;

          Torre Ranocchio, datata ai primi anni del XVI secolo; si erge su due piani ed è situata in direzione di Palo del Colle.

 

Guglia dell’Immacolata

La Guglia della Madonna venne realizzata in Piazza Cattedrale per lo scampato pericolo della scossa tellurica avvenuta nel 1731, scossa che causo numerose rovine in Daunia e nel Nord Barese. Fu elevata durante il vescovado di Lucantonio Gatta (1723-1737), per voto alla protettrice Maria SS. Immacolata. Commissionata dalla famiglia Calamita, e riferibile all’architetto Vito Valentino, uno dei maggiori protagonisti dell’edilizia civile e religiosa in Puglia nel primo settecento. La piramide, a base quadrangolare, smussata agli angoli, si eleva restringendosi nei suoi quattro ordini, segnati da forti cornici ove, sino al 1934, insistevano 12 sculture angeli- che in piedi o sedute, con lampade votive. La guglia si conclude con la splendida scultura in bronzo dell’Immacolata, ritratta nell’atto di protezione e rivolta verso Via Mercanti, la strada di accesso alla Cattedrale nei secc.  XVII XVIII.

Nato come fascia di rispetto della Cattedrale, ha assunto la sua attuale forma qua- dalla sistemazione degli edifici che si affacciano su di esso. Si deve al Vescovo Aurelio Marena frutto di vari restauri effettuati nel corso del suo presulato. Sui tre muri (due appartenenti al palazzo vescovile ed un terzo al Museo diocesano) che lo delimitano (il quarto rappresentato dalla facciata settentrionale della cattedrale) sono collocati senza un ordine preciso targhe lapidee stemmi, riferibili a Vescovi e a personaggi illustri che nel corso dei secoli hanno effettuato cospicue elargizioni a favore della Chiesa Calamita Al Palazzo Vescovile si accede attraverso un portale proveniente dalla Chiesa del Convento di S. Agostino, opera di Nuzzo Barba.

Piazza Cattedrale Bitonto

 

 

Di qualche importanza artistica, inoltre è da ricordare un puteale a muro di età romanica ed una vera di pozzo risalente al XVIII secolo, spostata dalla sua primitiva collocazione e nata al centro del cortile negli anni ’50. Accanto al portale d’accesso al Palazzo vescovile in alto, a destra per chi guarda, si notano due finestrelle con delle grate di che corrispondono al carcere dei preti, formato da due piccole stanze, attivo sino alla prima metà dell’ottocento e sotto la giurisdizione del Vescovo pro-tempore. Nel lapidario, ricavato in un locale prospiciente il cortile, è stipata una grossa raccolta di frammenti e sculture provenienti dal l’arredo marmoreo della Cattedrale, come il ciborio, l’iconostasi, la cattedra episcopale, l’ambone, le travi dipinte della Cattedrale romanica, figure grottesche e mostruose Il tutto copre i secc. XII-XIV, ma vi sono aggiunte posteriori, come un tronetto in legno della fine del sec. XVI, proveniente dalla chiesa di S. Caterina d’Alessandria.

 

 

 

 

Al centro di piazza “26 Maggio 1734”, svetta l’Obelisco Carolino, monumentale testimonianza della battaglia che, in quel luogo ed in quella data, si svolse tra le truppe spagnole ed austriache, battaglia determinante per la guerra di successione, per la ricostruzione del regno meridionale, e che riportò sul trono di Napoli i Borbone con Carlo (VII di Napoli e III di Sicilia).

L’obelisco alto 18 metri, è di tufo rivestito da lastre di marmo bianco di Carrara, mentre di roccia dolomia bitontina sono gli scalini, i quattro cantonali e gli otto medaglioni incastonati sullo stelo.

Via XXIV Maggio, 1734 Bitonto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Museo Pinacoteca «Monsignor Aurelio Marena»

 

Corte Vescovado 2 70032 Bitonto

Telefono: (+39) 080 3741289

(+39) 080 3751359

 

(Nella Sezione Musei)

Museo civico «Eustachio Rogadeo»

 

Via G.D. Rogadeo, 52  Bitonto 

Telefono: (+39) 080 3751877

 

(Nella Sezione Musei)

 

Bitritto

Il nome del borgo medievale (un locus bitrictum o vetrictum trovasi citato già dall'XI secolo) forse alludeva ad una distruzione plurima (lat. "bis-tritum", cioè "distrutto due volte") oppure, tesi più accreditata, alla presenza di due torri (attualmente ne resta una soltanto). A lungo soggetto a signorie e vassallaggi, divenne comune indipendente in epoca napoleonica con l'arrivo dei Sanfedisti nel Regno di Napoli.

Paese di forte emigrazione in passato, la festa patronale (primo martedì di marzo) rappresenta per molte famiglie un'occasione di riunione. Bitritto ha quindi origini alto-medioevali anche se di recente sono stati portati alla luce residui di civiltà risalenti alla preistoria. Sin dalle sue origini l'economia è basata sull'agricoltura.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI BITRITTO:

Telefono: (+39) 080 3858111

Castello Baronale Normanno-Svevo L’imponente fortezza di origine duecentesca, oggi sede del Municipio, si erge nel cuore del centro storico di Bitritto, a pochi passi dalla torre civica.
 
Edificato per volere dei normanni, il castello ha una massiccia struttura in muratura, impreziosita da torri e fortificazioni, che ne rivelano l’originario natura di baluardo difensivo della città.
 
Il poderoso monumento, ornato da balconi e splendide logge arricchite dalle trifore, è il simbolo della città e, tra le mura e i camminamenti antichi, risuona ancora l’eco degli assedi e delle battaglie di un tempo.
 
Recenti restauri hanno riportato in luce i resti di numerosi pozzi, edificati prima dell’anno 1000. 

Piazza Leone Bitritto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

La Casa-Torre

La sua origine viene fatta risalire ai secoli XIV-XV circa (1350-1450) ed è un edificio difficile da interpretare, pieno di simboli che hanno un indiscutibile fascino culturale ed artistico che merita di essere preservato e valorizzato per conservare intatta e duratura la nostra identità. A Nord e ad Ovest è unito ad altre  costruzioni ma a Sud e ad Est presenta un prospetto ben visibile con uno sviluppo altimetrico su quattro piani, anche se ha una superficie di piano alquanto ridotta (25-30 mq circa). I muri sono a conci irregolari di pietra calcarea, legati fra loro da malta tipici dell’epoca medioevale/normanna e poco più in basso della metà dell’altezza complessiva c’è un motivo a beccatelli, lungo le due facciate visibili, molto frequente nelle strutture difensive di avvistamento e nelle fortificazioni del tempo o forse era la sede del corpo di guardia di un barone locale.

Sviluppandosi su vari livelli, il modello della Casa Torre si presenta con un locale adibito a deposito e poi ad attività commerciali al piano terra, che in un recente passato, forse gli anni Venti, era adibito ad enoteca o a cantina chiamata allora ‘la Venette’ (vedi foto antica). Poi c’è un locale per abitazione al primo piano, un ulteriore piano per magazzino o deposito, dove conservare i beni in dotazione. Non ci sono servizi igienici e i collegamenti sono quasi verticali e in legno, il primo piano è fatto su volta, mentre gli orizzontamenti superiori e le coperture sono in legno. La base originaria è più chiusa e compatta ,mentre lo sviluppo superiore del fabbricato è di epoca rinascimentale, frutto di una più raffinata ricerca stilistica e formale. Originale è la finestrella del primo piano che presenta un architrave a piccolo bugnato ed è affiancata a destra da un bassorilievo di ruota dentellata che reca il monogramma bernardiniano I H S (Jesus Hominum Salvator). 

Piazza Leone tra Via Giusti e via 1° Resa Bitritto

 

Più ampia e spaziosa è la finestra del secondo piano di origine rinascimentale con mensola decorata a foglia e cornice modanata, ci sono anche due mensoline con forme di creature mostruose o cariatidi sui lati e una protome umana al centro ed uno scudo araldico in basso.

Questo è molto abraso ed è stato identificato con uno stemma analogo murato sul fronte di una casa attigua lungo la Via Giusti, chiamata ‘Casa De Filippis’. Forse gli studiosi locali l’hanno interpretato come un simbolo religioso (Bitritto allora era un feudo ecclesiastico) con un’aquila ad ali spiegate sul mare o un pellicano simbolo dell’amore di Cristo verso gli uomini e forse simboleggia la potenza di Cristo e la sovranità della Chiesa, ma anche come simbolo più laico appartenente ad una nobile ma ignota famiglia locale proprietaria dell’immobile.

Infine il livello più alto della Casa Torre presenta una loggia a tre archi certamente rinascimentale con colonne in stile classico, il cui fusto è a sezione circolare liscia, la base è costituita da un piccolo piedistallo quadrato, i capitelli di stile ionico sono costituiti da rappresentazioni floreali, con fiori e foglie tutte diverse. Il tetto di copertura è in legno che era tutto marcito e pericoloso, ma spero sia stato restaurato recentemente. Secondo gli studiosi la casa torre simboleggia il desiderio secolare ed universale di libertà civile e politica e necessita di un prossimo ed adeguato intervento di restauro con un progetto di recupero funzionale.

 

Risultati immagini per Collegiata Sant'Angelo bitrittoL'antica Collegiata Di Sant'angelo 

La chiesa di Sant'Angelo, o più precisamente di S. Michele Arcangelo, si ritiene sia stata costruita a cavallo tra l'XI e il XII secolo, svolgendo la funzione di collegiata di Bitritto dal 1171 al 1579.
E' proprio intorno alla Collegiata che sorse il primo insediamento abitativo d Bitritto. Nel 1070 fu fatta costruire una chiesetta intitolata a S.Tommaso nella località "Vitrictum", terra incolta frequentata da radi pastori. Cent'anni dopo tale località connotata da un insediamento abitativo dotata di un collegio di canonici.

Bitritto

 

La chiesa è ormai profondamente sfigurata da rifacimenti posteriori, manomissioni e mutilazioni, sia antiche che recenti. La facciata, in conci di pietra ben lavorati, elevata nella parte centrale con un timpano triangolare in pietra tufacea. Al centro di essa si apre un portale a sesto acuto ribassato. Sopra al portichetto si nota una nicchia oculare con la statuina della Madonna del Carmine. Al di sopra della fabbrica si eleva un basso campanile in tufo, a due piani coronato da una bassa piramide.

L'interno della chiesa (15,90x6.30) presenta una singola navata con volta a botte lunettata in cui si aprono, rispettivamente, tre finestre ad arco ribassato per lato. Ai lati della nave, vi sono tre profonde cappelle ad arconi a tutto sesto.Sul lato sinistro c'è la sagrestia, a pianta rettangolare e volta a botte.

Chiesa Madre di Santa Maria di Costantinopoli

 

Via Notar Giuseppe Loconte Bitritto

Telefono: (+39) 080 631237

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

C

Capurso è un’accogliente cittadina a sud est di Bari, da cui dista circa 10 km. Grossa parte del territorio è da considerarsi superficie agraria (uliveti e vigneti in prevalenza), anche se le aziende agricole sono in forte diminuzione. E’ presente un’importante zona artigianale che si estende a ridosso dell’abitato. Da segnalare la tradizionale produzione artigiana di materassi.

 

Secondo la tradizione il Comune di Capurso prende il nome da una testa d’orso (caput ursi) che sarebbe stata seppellita da alcuni pastori nel punto in cui poi vennero erette le fondamenta delle prime case del paese. Già nel corso del ‘600 lo stemma del borgo era rappresentato da un’immagine raffigurante questo feroce animale.
Il primo documento scritto in cui figura il nome “Capurso” è un atto notarile risalente al 1046. Il paese era situato su una diramazione della via Appia – Traiana che, partendo da Egnazia, piegava per Norba (Conversano), Noja (Noicattaro), Capurso e Ceglie.


Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Borboni, numerose sono state le dominazioni che hanno segnato la storia di questo paese. Ma una figura tra tutte ha assunto una particolare importanza per il progresso civico del borgo a partire dal XVI secolo: quella di Bona Sforza, regina di Polonia, duchessa di Bari e feudataria di Capurso.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI CAPURSO:

Telefono: (+39) 080 4551124

Il Santuario della Madonna del Pozzo e la Cappella del Pozzo sono i luoghi più visitati dai pellegrini. Grazie a due recenti interventi di riqualificazione urbana della Villa Comunale e dei giardini di Largo Piscino la zona è stata maggiormente valorizzata.
I Frati Minori Francescani, a cui sono affidati in custodia questi luoghi, svolgono l’importante attività di accoglienza e di assistenza spirituale.

Via Madonna del Pozzo, 29 Capurso

Telefono: (+39) 080 4554102

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

La Chiesa Matrice fu costruita nel XVI secolo grazie al deciso intervento della Regina Bona Sforza che mise a disposizione una certa quantità di suoi beni. Lo stemma della Regina è conservato nella parte alta del prospetto sud della Chiesa, dedicata al SS. Salvatore.

Via Carone, 2 Capurso

Telefono: (+39) 080 4551511

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Il Convento e la Chiesa di San Francesco da Paola, costruiti nella seconda metà del XVII secolo, hanno conservato la struttura originaria e importanti opere pittoriche al loro interno. Dal 1995 vi è stata istituita la Parrocchia dedicata al Santo da Paola.

Largo San Francesco da Paola, Capurso

Telefono: (+39) 080 4551438

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Altre importanti chiese del territorio urbano sono dedicate a S.Antonio Abate, S. Antonio di Padova, la Madonna delle Grazie, la Chiesetta del Purgatorio.

Lo sviluppo della città al di fuori del centro storico è piacevolmente segnato da una serie di palazzi sette/ottocenteschi ben conservati che rendono gradevole la passeggiata al visitatore e costituiscono importanti testimonianze dello sviluppo urbanistico della città.

Il monumento più famoso di Casamassima, comune della provincia di Bari, è la Torre dell’Orologio. La sua immagine, infatti, viene spesso utilizzata come icona simbolo del paese. In origine, gli accessi al borgo antico erano due, costituiti da altrettante porte: la Porta del Lago e la Porta dei Molini (o della Piazza), così chiamata perché conduceva ai molini del feudatario. Nel XVIII secolo fu aggiunto, per volere dei feudatari dell’epoca, i De Ponte, un nuovo accesso sul lato nord delle mura, la cosiddetta Porta Nuova. Oggi, delle tre, l’unica porta superstite è quella dei Molini, che ha assunto la denominazione di Torre dell’Orologio nel 1841, quando su progetto dell’architetto Michele Pesce fu realizzata la torre piramidale con orologio, coronata da una struttura con colonnine doriche. Questa oggi si affaccia sulla piazza principale del paese, piazza Aldo Moro, e costituisce l’unico ingresso al borgo antico, il cosiddetto “Paese Azzurro”.

Casamassima

 

 

 

 


 

 

Tra le Murge Baresi, al centro della Puglia, sorge Casamassima conosciuta anche come “Paese azzurro”, appellativo coniato dal pittore Vittorio Viviani per le abitazioni tinteggiate di celeste che un tempo caratterizzavano il centro abitato del Borgo.

 

Fondata da un generale romano della famiglia Massimi, come racconta una leggenda, o risalente all’VIII – IX secolo come confermato dalle fonti scritte e dagli scavi archeologici. Le origini di Casamassima sono intessute tra leggenda e realtà.

Nel 1195 il territorio viene assegnato dall’imperatore Enrico VI di Svevia alla famiglia Massimi o Massimo, con l’obbligo di cambiare il proprio cognome in quello di Casamassima da cui il nome attuale del Borgo.

Contesa da numerose famiglie, inserita all’interno di doti nobiliari fino all’abolizione del feudalesimo, agli inizi dell’800, Casamassima ha da sempre rappresentato terreno di conquista data la sua posizione centrale e strategica. A partire dal XIX secolo il borgo vive un ampliamento di tipo urbanistico fuori dalle mura caratterizzato soprattutto dalla costruzione di edifici dell’alta borghesia.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI CASAMASSIMA:

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Tra le attrazioni più conosciute troviamo il Borgo antico, o “Paese azzurro”, di origini medievali: uno snodarsi di piccole viuzze e chiassi (vicoli stretti e senza uscita), di corti e abitazioni in pietra che un tempo erano tutte azzurre. 

 “Nel 1656 – scrive a tal proposito De Tommaso proprio sul profilo facebook Il Paese Azzurro – a Bari sbarcarono dei marinai con la peste che contagiarono 20mila persone  portandole alla morte. La malattia, diffusasi rapidamente, dal capoluogo raggiunse in breve tempo le porte della nostra Casamassima, che si chiuse a riccio all’interno delle sue mura, evitando qualsiasi contatto con il mondo esterno e sperando che un miracolo la risparmiasse dalla pestilenza. Il miracolo si compì: Casamassima non fu colpita dal contagio pertanto, nel 1658, il duca Orlando Vaaz, oltre a far edificare una chiesetta in onore della Madonna di Costantinopoli, nel rispetto di un voto alla stessa fatto, ordinò che tutte le case fossero riverniciate con calce viva per riportare igiene e pulizia. E allo stesso tempo diede l’ordine che tutte le abitazioni fossero imbiancate aggiungendo però alla calce viva l’azzurro, ovvero il colore del manto della Madonna”. A tutto questo dunque – secondo De Tommaso – si deve il fatto che Casamassima sia poi diventata il Paese Azzurro.

Per accedere al borgo antico bisogna attraversare la Porta dell’orologio, risalente al 1841, a cui si accede dalla piazza principale di Casamassima. Casamassima

 

Tra le varie versioni che spiegano perché Casamassima sia diventata il Paese Azzurro ce n’è una secondo la quale le casalinghe, nel fare il bucato, aggiungessero la polvere azzurra all’acqua, per evitare che i vestiti si ingiallissero. Una volta terminato il lavaggio di maglie e pantaloni, però, le donne non buttavano via l’acqua utilizzata allo scopo, anche perché allora non esistevano i rubinetti, ma era necessario recarsi alle fontane del paese. Quella stessa acqua, dunque,  veniva poi mescolata alla calce e riutilizzata per riverniciare le pareti, o anche usata per lavare i muri delle case, dando di fatto la caratteristica colorazione azzurra alle abitazioni del paese azzurro_03centro.

Numerosi gli edifici religiosi che caratterizzano il Borgo come la chiesa Matrice, conosciuta come Santa Croce, risalente al 1321 ma rimaneggiata nel corso dei secoli. Il campanile e l’abside costituiscono gli elementi più antichi del complesso. Costruita esternamente con conci regolari, la chiesa conserva al suo interno numerose opere come il Crocifisso (alto circa 3 metri) dello scultore Adolfo Rollo, uno dei più grandi produttori al mondo di opere religiose e la scultura in pietra della Madonna delle Grazie, attribuita a Stefano da Putignano (XVI sec.).

Il Monastero di Santa Chiara rappresenta uno degli edifici più importanti del Borgo. Fondato nel 1573 come Orfanotrofio diviene nel 1660 il monastero delle Clarisse fino alla fondazione dell’Unità d’Italia. Attualmente è in attesa di restauro. Da vedere la Cappella di San Michele,edificata nel 1658 da Donato Amenduni in adempimento a un voto per essere stato preservato dalla peste. Sull’altare troneggia una statua del santo, in legno dipinto, di scuola napoletana del ‘600.

Tra gli edifici maggiormente degni di nota situati fuori dal Borgo antico troviamo la Chiesa del Purgatorio, costruita tra il 1722 e il 1758 in stile tardo barocco e la Chiesa Santa Maria delle Grazie, edificata nel 1575 e oggi sede di ospedale e poliambulatorio. Si presenta come una tipica chiesa francescana con una rigorosa e modesta facciata. Al suo interno si trovano il sepolcreto dei Frati Osservanti, stemmi e varie sepolture delle famiglie gentilizie, nonché diversi dipinti risalenti al secolo XVII. Tra le numerose chiese rurali disseminate sul territorio da citare la Chiesa Santa Maria del Soccorso (S. Lucia), probabilmente costruita dai monaci basiliani prima dell’anno mille, e la Badia di San Lorenzo, convento fondato alla fine del 900 dai benedettini.

Simbolo del potere feudale il Palazzo Ducale, noto come il Castello. Edificato nel XII secolo presenta elementi interessanti come la torre normanna e il portale di arte spagnola. Adiacente al castello si trova l’Arco delle Ombre, o “della Malomere”. Questo nome venne coniato dopo l’Unità d’Italia quando il borgo era scarsamente illuminato e, coloro che vi transitavano, portavano con sé un lume per cui da lontano si aveva la sensazione di vedere fantasmi in movimento.

Via Castello Casamassima

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Cimitero Polacco “korpusu”

Il cimitero viene visitato tutto l’anno da numerosi cittadini polacchi, oltre che oggetto di visita guidata su richiesta. Ma con esso, rammentiamo, obbligatoria è la salvaguardia dei due capannoni rimasti in largo Padula, preziosa testimonianza storica e ricordo della solidarietà umana instauratasi tra la popolazione casamassimese e il personale medico polacco, a tutt’oggi ancora versanti in un notevole stato di degrado ed abbandono e purtroppo ancora oggetto di una controversia, che nonostante tante promesse non si risolve, vincolando i due preziosi edifici. Sembra anche scemata la perseveranza dei sostenitori di portare a termine l'operazione, ma la speranza, che è sempre l’ultima a morire, ci induce comunque a vedere prima o poi realizzata la proposta per il riutilizzo delle strutture ad attività socio-museali legate al Korpusu.

 

Ricordiamo brevemente l‘origine di questo importante insediamento risalendo al 1943 quando gli Alleati, partiti dalla Sicilia per Roma, attraversarono Casamassima distribuendo cioccolato e sigarette. La seppur breve sosta in una località da sempre geograficamente strategica, richiese l’installazione di un Ospedale Militare, che fu allestito nell’edificio scolastico Guglielmo Marconi e quattro capannoni complementari, e affidato al Corpo Polacco che vantava validi chirurghi tra le sue fila. L’elevato numero di decessi tra i feriti gravi obbligò gli alleati a requisire un terreno ove insediare il Cimitero Militare Polacco “Korpusu” a 4 km dall’abitato sulla statale 100 per Bari.

L’ingresso monumentale, molto sobrio, è costituito da quattro pilastri in marmo, che sostengono i cancelli, congiunti da un architrave con un’iscrizione celebrativa in bronzo: “BONUM CERTAMEN CERTAVI/FIDEM CONSERVAVI–IDEO/REPOSITA EST MIHI CORONA IUSTITIAE (Ho combattuto una battaglia gloriosa, ho conservato un ideale, perciò mi è stata deposta la corona della giustizia). Le 431 tombe in pietra di semplice struttura eseguite da un muratore casamassimese sono disposte in file ordinate tipiche dei cimiteri anglo-sassoni: le cristiane riconoscibili dalla croce in pietra, le ortodosse con la doppia croce, le musulmane con il simbolo della luna e stella, le ebraiche con la stella a sei punte. Le file sono separate da un viale centrale che dall’ingresso arriva ad un grande altare in marmo sul quale si erge la Madonna Nera di Vilco venerata in Polonia. Alla base del monumento una scritta in polacco recita: “Morti per un ideale affinché la forza non domini sul diritto umano”. 

 

Cassano delle Murge è una cittadina collinare di circa 14.000 abitanti, il cui territorio comprende il capoluogo comunale e i piccoli nuclei di Borgo Parco la Vecchia e Lagogemolo, oltre agli insediamenti residenziali di Borgo Circito, Borgo Fra Diavolo, Borgo dei Pini Mercadante e Borgo Incoronata.

 

Il nome di Cassano compare per la prima volta in un documento risalente all’inizio del XIV secolo. Il toponimo deriva dal termine latino “Cassius” al quale si è aggiunta, nel 1863, la specificazione “delle Murge”, in riferimento al contesto geografico nel quale sorge l’abitato.

La storia della cittadina rispecchia quella dell’intero territorio regionale che, dopo un lungo momento di stasi altomedievale, vide invece una ripresa sotto i normanni e gli svevi, in particolare nel periodo in cui fu imperatore Federico II di Svevia.

Nei secoli successivi si alternarono diversi dominatori, dagli angioini agli aragonesi, dagli spagnoli agli Asburgo, fino ad arrivare ai Borboni che, tornati in possesso del regno delle due Sicilie dopo la dominazione napoleonica, restarono al potere fino all’annessione al Regno d’Italia, nel 1861.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI CASSANO DELLE MURGE:

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Le origini medievali di Cassano delle Murge sono ancora visibili nelle “case-torri” presenti nel centro abitato. Edificate a partire dal XII secolo, come le torri alle quali erano ispirate, ebbero scarso valore abitativo. Oggi resta la casa-torre di via San Giovanni, che racconta l’architettura e la storia del periodo in cui venne costruita.

Cassano delle Murge

 

Particolare riflesso dell'architettura medievale furono, a partire dal secolo XII, le "case-torri" che, come le torri alle quali si ispiravano, ebbero scarso valore abitativo: una bottega o fondaco al piano terreno e uno o due piccoli vani sovrapposti nei piani superiori, collegati da ripidissime scale di legno.

A Cassano, che nel 1139 contava poche centinaia di anime, l'architettura rispecchiò quei caratteri di cui innanzi, come sta a testimoniare la superstite casa-torre di Via San Giovanni, trasformata con l'aggiunta di una scala esterna e porta soprana. Per contro, queste povere e neglette case, l'una a ridosso dell'altra, con aggrovigliati tetti scuri, una varietà di ciminiere, gradini che conducono al primo piano, e gradoni a sedile appoggiati alle pareti esterne, annualmente ripetute da mani di calce bianca, ancora oggi, danno un aspetto veramente suggestivo, caratteristico, "naturale" e formano un autentico artistico paesaggio incorniciato dalle sovrastanti ridenti colline, che abbracciano Cassano tra ponente e mezzogiorno, e minacciose, paiono messe là per separarlo dal resto dell'umanità.

Nel centro della cittadina si possono ammirare la chiesetta di Santa Maria dei Martiri, oggi sconsacrata; la Cripta del Crocifisso, il campanile della chiesa Matrice, in stile romanico.

Cassano delle Murge

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Il palazzetto Miani-Perotti, di stile neoclassico e opera dell’architetto cassanese Vincenzo Ruffi; la Torre Civica con la sede municipale; due torri che sono sopravvissute alla cinta muraria medievale che fu invece distrutta e diverse cappelle risalenti al Seicento e al Settecento.

Cassano delle Murge

 

(Nella Sezione Palazzi)

Castellana Grotte

Architetture Religiose

      ·        Chiesa Di Papa San Leone I Magno Compatrono

      ·        Santuario Di Maria SS. Della Vetrana

      ·        Chiesa Di San Francesco d'Assisi

      ·        Chiesa Del Caroseno

      ·        Chiesa Di Santa Maria Del Suffragio (Purgatorio)

      ·        Chiesa San Nicola Di Genna

      ·        Chiesa Di San Giuseppe;

      ·        Chiesa Di Sant'Onofrio;

      ·        Chiesa Di San Leonardo;

      ·        Chiesa Del Salvatore;

      ·        Monastero Dell'immacolata;

      ·        Chiesa Della Madonna Della Grotta;

      ·        Chiesa Di Santa Rosa;

      ·        Chiesa Di San Bartolomeo Di Padula.

      ·        Chiesa-Santuario Ex Parrocchia Di San Marco Evangelista Patrono In Contrada           Zingarello Festeggiato A Fine Agosto.

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

 

Castellana nasce nell'alto Medioevo grazie alla colonizzazione operata dal Monastero di San Benedetto di Conversano nel secolo X, precisamente nel 901. Ciò è testimoniato da una pergamena che si riferisce all'atto di vendita di Ermenefrido, figlio di Ermuzio, e sua moglie Trasisperga a favore di Ianniperto. Il documento parla di un Castellano Vetere e di un Castellano Novo. Nel 1098 il Conte Goffredo di Conversano, di origini normanne, dona a San Benedetto tutto il territorio e consente all'abate di radunarvi gente per popolarlo.

La sua fondazione ufficiale viene fatta risalire nel dicembre 1171, quando l'Abate Eustasio donò il feudo di Castellano con buone condizioni di vassallaggio a due otrantini, Nicola e Costa, nel tentativo di ripopolare l'agglomerato di case esistenti, molte delle quali andate distrutte nel corso delle contese tra Ruggero II di Sicilia e i dinasti normanni, per goderne nuovamente delle rendite.

Il borgo vicus ricostruito ben presto si costituisce in universitas ed, in questo periodo è collocata la presunta visita di Federico II di Svevia e della sua sosta di una notte sotto l'ormai inesistente Olmo di Porta Grande. Durante la dominazione sveva il monastero conversanese di San Benedetto viene abbandonato, e nel 1226 Papa Clemente IV concede il convento di Conversano a un gruppo di monache cistercensi fuggite dalla Morea, regione della Grecia centrale. A loro vengono assegnate tutte le proprietà dell'antica abbazia, compresa Castellana, e la giurisdizione ecclesiastica: ovvero la potestà ordinaria su clero e popolo di Castellana più il diritto di impugnare il pastorale e cingere la mitra.

Nei primi anni del quattrocento, Castellana cercò di liberarsi dalle dipendenze feudali della Contea di Conversano e dalla badessa del monastero benedettino di Conversano a cui versava le decime. Approfittando della lotta che imperversava la casata dei d'Angiò per il trono del Regno di Napoli, nel 1407 trecento giovani castellanesi, guidati dal valoroso Ottavio da Castellana, si schierarono dalla parte del Re Ladislao d'Angiò all'assedio di Taranto contro Maria d'Enghien, sorella della badessa e vedova del principe Raimondo Orsini Del Balzo. Ammirati per le loro prove di valore, i combattenti castellanesi passarono alle cronache come i Leoni di Fortezza. Ottenuta la vittoria con la resa di Maria d'Enghien, con a seguito il suo matrimonio risolutore col re Ladislao d'Angiò, Castellana ottenne il privilegio promesso.

Dopo la morte di Ladislao, nel 1426, la Regina Giovanna II di Napoli nomina duca di Bari il nobile abruzzese Giacomo Caldora, il quale ottenne, tra gli altri, anche il territorio di Castellana. I Caldora ebbero potere sino al 1440 quando Antonio, figlio di Giacomo e suo successore al titolo di duca di Bari, venne spodestato dal viceduca Mariano de Riguardatis da Norcia, che offrì l'intero ducato, assieme a Castellana, a Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto e figlio di Maria d'Enghien dal suo primo marito.

Nel 1456, Castellana e l'intera contea di Conversano (comprendente anche i centri di Casamassima, Castiglione, Noci e Turi) costituirono la dote di Caterina, figlia di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, andata in sposa al duca d'Atri Giulio Antonio Acquaviva. Gli Acquaviva, che detennero i diritti feudatari fino alla loro abolizione nel 1806, furono feudatari più umani verso il popolo, mettendo in condizione i coloni di divenire piccoli proprietari che trasformarono il territorio, coltivando uva e grano e traendone rilevanti benefici economici.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI CASTELLANA GROTTE:

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Castellana Grotte

Architetture Civili

      ·          Torre civica o torre dell'Orologio è stata edificata nel 1848;

      ·        Palazzo Municipale;

      ·        Monumento dei Caduti;

      ·        Biblioteca civica;

      ·        Curia Baronale;

      ·        Neviera di San Nicola di Genna;

      ·        Specchia di Pozzo Stramazzo.

Le Grotte di Castellana – un complesso di cavità sotterranee di origine carsica, di notevole interesse turistico, tra i più belli e spettacolari d’Italia – sono ubicate nel Comune di Castellana-Grotte, a circa 1,5 km dall’abitato.

La genesi delle Grotte di Castellana, un vasto sistema di caverne che si sviluppa per circa 3 chilometri ad una profondità media di 70 metri, è uno degli aspetti più appariscenti del carsismo pugliese.

Per carsismo, termine derivato dalla parola slava kar (pietra, roccia), che ha generato il toponimo Carso attribuito alle regioni della Venezia Giulia e della Slovenia, si intende l’insieme dei fenomeni prodotti, sia in  superficie che nel sottosuolo, dall’azione dissolutiva esercitata dalle acque piovane su un determinato tipo di roccia, i calcari soprattutto. Dalla regione del Carso il termine si è poi applicato a tutte le altre aree geografiche che presentano gli stessi aspetti superficiali e ipogei.

La storia della Grave delle Grotte di Castellana inizia nel Cretaceo superiore (novanta-cento milioni di anni fa), quando la Puglia era sommersa da un antico mare nel quale vivevano vaste colonie di molluschi e vegetali marini. Per milioni di anni generazioni e generazioni di queste forme di vita si erano succedute le une alle altre e, morendo, i loro gusci svuotati e le loro carcasse si erano accumulati sul fondo del mare formando un gigantesco deposito di fango e di sabbia che, con il suo lento ma continuo accrescimento, si era via via compresso fino a formare uno strato di calcare dello spessore di diversi chilometri.

A partire da sessantacinque milioni di anni fa, il progressivo innalzamento delle terre aveva portato la regione al suo aspetto attuale e nella massa calcarea emersa, a causa della sua rigidità, si erano formate estese fratture che l’avevano fortemente incisa. L’acqua eluviale d’intense precipitazioni, percolando nel sottosuolo aveva, poi, formato un’estesa falda acquifera sotterranea, tale da disciogliere gradualmente il calcare e di allargare le fratture; queste avevano finito per unirsi le une alle altre per il crollo della roccia frapposta formando, così, piccoli condotti via via mutati in ambienti sempre più ampi. Nei luoghi in cui le fratture s’intersecavano in gran numero (fenomeno nella Grave più rilevante che in qualsiasi altro punto del sistema carsico castellanese) si erano determinati estesi e ripetuti crolli; questi si erano ampliati sempre più verso l’alto, riducendo, con il passare del tempo, lo spessore di roccia che separava la cavità dall’esterno finché lo strato residuo, ormai assottigliato, non era crollato facendo giungere all’interno della Grave il primo raggio di luce.

 

L’aspetto certamente più affascinante del paesaggio estetico delle Grotte di Castellana è il loro concrezionamento: il rivestimento, cioè, delle nude pareti delle caverne da parte di depositi di calcare che, attraverso tempi lunghissimi, sono stati portati in sospensione dall’acqua piovana nel suo lento attraversamento degli strati rocciosi sovrastanti.

Una volta raggiunti i vuoti delle caverne, l’acqua di stillicidio cadendo al suolo lascia, sia sulla volta che sul pavimento, un deposito di carbonato di calcio che permette la crescita delle stalattiti, le formazioni che pendono dal soffitto, e delle sottostanti stalagmiti.

Con il trascorrere del tempo il progressivo accrescimento della stalattite e della stalagmite porterà alla loro unione e alla formazione di una colonna.

Oltre a queste forme elementari, esistono molte altre tipologie di concrezionamento, quali le colate e le cortine, dovute allo scorrimento dell’acqua, le concrezioni coralloidi e i cristalli di laghetto, generati in ambiente subacqueo e, infine, le concrezioni eccentriche, che sfidano la legge di gravità, e le perle di grotta, strati successivi di calcite originati attorno ad un microscopico granello di roccia.

Un capitolo a parte meritano le cosiddette stalattiti eccentriche. Queste formazioni, di dimensioni generalmente ridotte, non obbediscono alla legge di gravità come le normali stalattiti. Esse si accrescono invece lateralmente, a semicerchio e perfino verso l’alto, dando vita a forme spettacolari.

Castellana Grotte

 

La visita al pubblico delle Grotte di Castellana si snoda lungo un percorso agevolmente percorribile e con la presenza esperta di guide multilingue. Una straordinaria escursione nelle Grotte a 70 metri circa di profondità in uno scenario stupefacente di stalattiti, stalagmiti, fossili, cavità, caverne dai nomi fantastici.
Per visitare le Grotte di Castellana, sono previsti due itinerari:

 

Itinerario completo, della lunghezza di 3 chilometri e della durata di 120 minuti circa

Itinerario parziale, della lunghezza di 1 chilometro e della durata di 50 minuti circa

 

Il costo del biglietto è di:
12 euro per la visita con Itinerario Parziale;
16 euro per la visita con Itinerario Completo.

 

Le Grotte di Castellana sono aperte tutto l’anno. Per gli orari di visita, che variano da stagione a stagione, si consiglia di consultare il calendario. La temperatura nel sottosuolo varia tra i 14° e i 18°. Per l’escursione si consiglia quindi di indossare capi di abbigliamento i e adatti alla temperatura del sottosuolo e scarpe da ginnastica o con suola piatta di gomma.

 

Riduzioni

I bambini fino a 5 anni entrano gratis.
È necessario che il bambino si presenti in biglietteria con accompagnatore maggiorenne.

I ragazzi dai 6 ai 14 anni usufruiscono di una riduzione sul costo del biglietto e pagano:
10 euro per la visita con Itinerario Parziale;
13 euro per la visita con Itinerario Completo.
Le riduzioni sono valide solo per i biglietti acquistati presso la biglietteria delle Grotte di Castellana.

 

I gruppi (minimo 20 persone) usufruiscono di una riduzione sul costo del biglietto e pagano:
10 euro per la visita con Itinerario Parziale;
13 euro per la visita con Itinerario Completo.
Le riduzioni sono valide solo per i biglietti acquistati presso la biglietteria delle Grotte di Castellana. 

 

Le scolaresche hanno diritto ad una riduzione sul prezzo del biglietto per la visita alle Grotte di Castellana e pagano:
6 euro per la visita con Itinerario Parziale;
10 euro per la visita con Itinerario Completo.
È obbligatorio prenotare la visita secondo la procedura indicata nella sezione dedicata alle scuole.

 

È possibile effettuare l’esperienza di Speleonight al costo di 25 euro a persona. (Per Info (+39) 080 4998221). Speleonight è un esclusiva visita delle Grotte di Castellana al buio, che si effettua dopo la chiusura al pubblico, per gruppi composti da almeno 15 persone.

I visitatori sono guidati dalle guide del Gruppo Puglia Grotte equipaggiate con casco, bomboletta e illuminazione ad acetilene: questo serve a mostrare lungo la passeggiata, i colori, le sensazioni e le emozioni vissute dai primi esploratori.

Le esperte guide speleologiche guidano i partecipanti in un’escursione unica, nel corso della quale si potranno ascoltare i suoni delle Grotte e scorgerne e osservarne la fauna che la popola, o provare intense emozioni come procedere in solitudine per un tratto.

(Per Info su Come si Effettua la Visita:

http://www.grottedicastellana.it/le-grotte/speleonight/ )

 

Info Giorni e Orario apertura:

http://www.grottedicastellana.it/orari/

 

Cellamare

I primi insediamenti nella zona risalgono a tempi antichi, come testimoniano i reperti archeologici, di epoca italiota, ellenica e romana, rinvenuti nei dintorni dell’abitato. Il toponimo compare nella forma di Cellamarii nello statuto della località, redatto dall’arcivescovo barese Rainaldo, nella seconda metà del 1100; è un composto corrispondente a “cella al mare”, da intendere nel senso di ‘cella rivolta verso il mare’. Fondata intorno al secolo XI, insieme a Capurso riuscì a respingere i saraceni che, dopo aver devastato vari paesi, tra cui Valenzano, cercavano di occuparla. In essa si rifugiarono i profughi di Bari, distrutta dal normanno Guglielmo il Malo, verso la metà del XII secolo. Possedimento della mensa arcivescovile, passò poi sotto diversi signori, condividendo le sorti del resto della provincia, assoggettata a svariate dominazioni fino all’ingresso nel Regno d’Italia. Del patrimonio storico-architettonico fanno parte: il castello feudale; la torre civica o dell’orologio, costruita nella prima metà del Novecento; l’ottocentesca parrocchiale della Santissima Annunziata, contenente, tra l’altro, la reliquia di Sant’Amatore e un pregevole dipinto, del XII secolo; le chiese di San Michele Arcangelo e della Madonna delle Grazie.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI CELLAMARE:

Telefono: (+39) 080 4657911 

Piazza Don Bosco

Nel censimento del 1931 compariva ancora la denominazione "Largo Piazza".

Per i nostri antenati era semplicemente la "Piazza", su cui, la sera si intrattenevano per sapere quello che era successo durante la giornata, mentre erano stati in campagna, e dove incontravano i datori di lavoro, che li ingaggiavano per l'indomani.

Cellamare

Su questa piazza si affacciano la Chiesa Matrice e la Torre dell'orologio. Successivamente si volle dare una denominazione e si scelse il nome di Giovanni Bosco, Santo del lavoro, Patrono degli apprendisti, gran educatore di giovani. Fu proclamato Santo nel 1934 e, in quell'occasione, gli amministratori di Cellamare vollero dedicare a lui la piazza più bella del paese, nel borgo antico. Durante il fascismo si chiamò Piazza della Rivoluzione. E' lunga m. 60 e larga m. 31.


Largo Castello

Antistante il Castello, è lungo m. 34 e largo m. 13. Sfociano su questo largo: Via Castello, Via G. Pacifico, Via D. Dinatale e Via G. Losurdo.

Cellamare

Durante il fascismo si voleva cambiare la denominazione, ma la Prefettura non lo permise, in quanto ricordava un luogo della Cellamare medievale. Lo stesso dicasi per Via Caracciolo che richiama alla mente il periodo in cui il paese fu sotto la dominazione dei feudatari di questo nome prestigioso e nobilissimo.

Via Castello

E' la via, che conduce al Castello. È la via che conduce al castello. È una delle più antiche del paese. Durante il fascismo fu chiamata Via Arnaldo Mussolini (il 10 dicembre 1938 deliberazione podestarile n. 68). Va da Piazza Don Bosco a Largo Castello.

Cellamare

 

Via San Sabino

Ricorda San Sabino da Canosa, vescovo del VI secolo che, oltre ad essere il patrono di quella città, fu anche il primo patrono di Bari, prima dell'arrivo dall'Oriente del quadro miracoloso della Madonna di Costantinopoli e di San Nicola di Mira. Non dobbiamo dimenticare che Cellamare fu feudo della Curia di Bari. Non c'è da meravigliarsi, perciò, che una delle sue vie, nel borgo antico, sia dedicata a San Sabino. Va da Piazza Don Bosco a Via Caracciolo.

Cellamare

 

Via Forno

È una delle strade che risalgono al Medioevo. Lì c'era il forno pubblico ancora oggi funzionante.

Cellamare

 

Largo Giovanni Losurdo

Giovanni Losurdo era figlio di Michele e di Losurdo Rosa. Nacque a Cellamare il 28 giugno 1892. In qualità di soldato del 19° Fanteria prese parte alla Grande Guerra. Morì a 24 anni il 27 agosto 1916 a Saciletto in seguito a bronco polmonite destra contratta in zona di guerra. 

Cellamare

 

Via Giuseppe Pacifico

Giuseppe Pacifico era figlio di Francesco. Nacque a Cellamare il 26 febbraio 1894. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale, come soldato del reggimento Fanteria. Morì a Gradisca, per le ferite riportate in combattimento. 

Cellamare

Parte da Largo Castello e arriva su Via Marconi.

Via Vito Giuseppe Ronchi

Vito Giuseppe Ronchi era figlio di Vito e di Nardulli Francesca. Nacque a Cellamare il 3 aprile 1895. Prese parte alla Grande Guerra in qualità di soldato nell'Arma dei Bersaglieri 8° Reggimento -19° Reparto d'assalto. Morì all'età di 23 anni, in zona di guerra il 10 maggio 1918, in seguito a ferite riportate in combattimento. Fu insignito della medaglia d'argento al valore militare.

Cellamare

Va da Via Castello a Via San Sabino.

Via Vito Scattaglia

Vito Scattaglia era figlio di Francesco e di Digioia Antonia. Nacque a Cellamare il 2 giugno 1893. Fu soldato del 9° Fanteria. Prese parte alla Grande Guerra. Morì a Straussina I'8 aprile 1916 in seguito a ferite di proiettile riportate in combattimento. Aveva solo 23 anni. 

Cellamare

Parte da Via Castello e termina in Via San Sabino.

Via Amatore Di Gioia

Amatore Di Gioia era figlio di Francesco e di Ronchi Angelica. Nacque a Cellamare il 13 febbraio 1887. Prese parte alla Grande Guerra in qualità di soldato del 135° Reggimento-32° Fanteria. Morì a 29 anni in zona di guerra (Monte Civaron -Regione Mesola) il 13 agosto 1916 per una pallottola di fucile al cuore. 

Cellamare

Parte da Via Castello

Via Donato Di Natale

Donato Di Natale era figlio di Giuseppe e di Spinelli Teresa. Nacque a Cellamare il 25 aprile 1895. Era mitragliere. Apparteneva alla 2073° Compagnia. Prese parte alla Grande Guerra. Morì a 22 anni il 7 ottobre 1917 a Mesgrigny (Aube -Francia) per intossicazione di gas e paralisi respiratoria.

Cellamare

Va da Largo Castello a Via Pacifico

Via Caracciolo

È dedicata alla nobilissima Famiglia Caracciolo, che si imparentò con la Famiglia Giudice, altrettanto nobile, e si ebbe così il ramo Giudice-Caracciolo. Il feudo di Cellamare rimase in possesso di questa famiglia per quasi due secoli.

Durante il Fascismo legava Via Martiri Fascisti (oggi Via Libertà) a Via Marconi.

Cellamare

 

 

Conversano

Le sue origini risalgono all'età del ferro e il primo nucleo abitativo che vi si insediò, costituito da popolazioni indigene, le diede il nome di Norba, ovvero città fortificata.

Nel III sec. a. C. la città fu occupata dai Romani, ma, una volta caduto l'Impero per mano delle invasioni barbariche, ne subì il declino.

Un nuovo nucleo fortificato si formò soltanto nell' Alto Medio Evo e prese il nome di Casale Cupersanem, che grazie a Goffredo d'Altavilla divenne un vero e proprio centro di potere esteso per buona parte della Puglia centro-meridionale, tra Bari e Brindisi e fino a Lecce e Nerito (Nardò).

Dopo la morte di Goffredo, la contea passò in eredità al primogenito Roberto ed in seguito al figlio Alessandro; con l'andare del tempo, però, essa passò di mano in mano tra diversi casati: dagli Altavilla ai Bassavilla. poi i Brienne, i d'Enghien, i Lussemburgo, che contribuirono all'ampliamento del castello, gli Orsini e gli Orsini del Balzo.

L'ultimo conte Orsini del Balzo, Giovanni Antonio, diede in dote la contea alla figlia Caterina, andata in sposa a Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona, duca di Atri e conte di Teramo.

Iniziava così nel 1455 il lungo possesso del feudo di Conversano da parte della casata degli Acuaviva che, salvo una parentesi di quattro anni, lo avrebbe detenuto ininterrottamente sino al decreto di abolizione della feudalità di Giuseppe Bonaparte nel 1806.

Notevoli furono le figure di alcuni conti di casa Acquaviva, fra cui quella di Giulio Antonio, valoroso guerriero al servizio degli Aragonesi, che si distinse nella guerra di Toscana(1478/1480), rimanendo vittima di un agguato turco.

Suo figlio Andrea Matteo, anch'egli uomo d'armi, ma soprattutto dotto umanista, partecipò alla congiura dei baroni del 1485 contro il re aragonese; si schierò contro gli Spagnoli nel conflitto che oppose Francia e Spagna fra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento per il possesso del Regno di Napoli.

Celebre fu anche Giangirolamo II, detto il Guercio delle Puglie, che tenne la contea dal 1626 al 1665, distintosi per il suo dispotismo e per la sua crudeltà.

Egli accolse alla sua Corte il pittore napoletano Paolo Finoglio, autore a Conversano di importanti opere: dagli affreschi della camera degli sposi alle dieci tele che compongono il ciclo illustrante la "Gerusalemme Liberata" di Torquato Tasso. Mentre tornava a Conversano dopo i sedici anni di prigione scontati nelle carceri della Spagna, in seguito alle violenze compiute sulla città di Nardò, egli si ammalò di malaria e morì nel marzo del 1665.

Dopo la morte del Guercio la contea di Conversano si avviò verso una lenta decadenza, accentuatasi da un'epidemia di peste che colpì la popolazione e indebolì l'economia locale.

Furono circa settanta i vescovi che tennero la cattedra conversanese; fu Stefano I ad iniziare, a partire dal 1266, la lotta tra i vescovi, gelosi del potere delle "Badesse" insediate nel Monastero di San Benedetto che costituiva un potere eccezionale in Italia, simile solo ad altri rari casi nel mondo cristiano.

Il potere della Chiesa fu allentato dal graduale affermarsi della borghesia cittadina la quale si frapponeva tra il partito dei cosiddetti "galantuomini" e quello dei "cafoni", ossia della povera gente.

Fra la fine dell'Ottocento ed il primo ventennio del Novecento la lotta politica e sociale si intensificò al punto da provocare l'assasinio dell'onorevole Giuseppe di Vagno nel 1921.

Anche gli anni del dopoguerra furono caratterizzati da continue lotte sociali ad opera soprattutto della popolazione contadina, le cui condizioni furono decisamente migliorate per opera del sindacato che riuscì a garantire ai lavoratori, ai disoccupati, ai bisognosi e ai pensionati una migliore condizione di vita.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI CONVERSANO:

Telefono: (+39) 080 4094111

(+39) 080 4094 110

Il castello di Conversano è una struttura trapezoidale di origine normanna, ma successivamente modificata e rimaneggiata, soprattutto nel XV e nel XVII secolo, in modo da tramutarla da fortezza originaria qual era in fastosa dimora signorile.

 

Effettuando il giro del perimetro della costruzione, possiamo notare ancora un grosso torrione cilindrico (XIV secolo), un bastione dodecagonale munito di merlatura per le bocche da fuoco, risalente al 1460, tre massicci torrioni quadrati (XI-XII secolo), di cui il torrione maestro è di età normanna e sorge su preesistenti mura megalitiche (per alcuni tratti ancora visibili), e qualche resto di finestre ogivali e circolari. La porta d'ingresso, il muro di cinta del cortile e la pregevole galleria che gira nell'interno dell'atrio risalgono invece al 1710, anno in cui furono fatte costruire dalla contessa Dorotea Acquaviva. Sul lato di Piazza della Conciliazione sorge l'ingresso monumentale tardo barocco.

 

L'ingresso nel castello avviene non da Piazza Castello, bensì dalla adiacente Piazza della Conciliazione, dove si accede tramite il portale del 1710, di linee barocche. Si arriva così nel cortile interno, a portico e loggia su due lati. L'appartamento dei signori presenta ancora in alcune sale l'antico arredamento dei secoli XVI-XVII. Spettacolare, per bellezza ed estensione, è inoltre la vista dall'alto della torre che domina il cortile, eretta nel XIV secolo da Gualtiero di Brienne. Attualmente, alcune parti del Castello restano in mano di privati.

Conversano

 

All'interno del castello, dopo una serie di restauri, è stata collocata la pinacoteca comunale. In essa Sono contenute svariate opere tra le altre cose le grandi tele raffiguranti episodi della Gerusalemme liberata ad opera del pittore seicentesco napoletano Paolo Domenico Finoglio, invitato a Conversano da Giangirolamo II d'Acquaviva; il ciclo di opere serve per esaltare il potere e il prestigio della casata che ha commissionato l'opera al pittore. (Nella Sezione Musei)

Dell'antica murazione megalitica di Norba permangono visibili tracce all'interno del Castello e nelle immediate vicinanze, all'iniziio della rampa di San Benedetto, nonchè inglobate nel nuovo assetto ottocentesco di Piazza XX settembre sotto il Belvedere; inoltre le ritroviamo di fronte a via Signorella. 
Si ritiene che la murazione medioevale di Cupersanum abbia sfruttato tratti di mura megalitiche, di cui è visibile un tratto lungo la Salita di S. Gaetano.
Le torri superstiti, da quella a nord sulla Villa comunale (Torre Martucci) a quella Zaccaria sulla Salita S. Gaetano, alla Capone seminglobata in Corso Umberto, nonchè alle tre a est e a sud nella murazione del nuovo borgo di Casalvecchio, sono tutte uguali e databili al periodo di reggenza di Giulio Antonio Acquaviva (1456-1481), il cui stemma è sulla torre seminglobata in Corso Umberto. A quest'epoca dunque risale una sistemazione omogenea del sistema murario.

Conversano

 


La Cattedrale di Conversano, dedicata a Santa Maria Assunta, s’innalza nel cuore del centro storico all’interno delle antiche mura megalitiche, isolata dalle costruzioni circostanti.
 
In stile romanico pugliese, la cattedrale presenta una facciata a capanna con tre portali coronati da un rosone quattrocentesco.
 
Dall’aspetto austero, l'interno conserva un impianto basilicale a tre navate che culminano con tre absidi semicircolari allineate. A separare le navate, si ammirano colonne dai capitelli di ispirazione bizantina con motivi vegetali, zoomorfi e antropomorfi.
 
Nonostante l’incendio del 1911 che distrusse buona parte delle opere, la Cattedrale conserva ancora un grande affresco quattrocentesco di scuola pisana, un Crocefisso ligneo e l’icona della Madonna della Fonte, patrona di Conversano. 

Via Monsignore Lamberti Conversano 

Telefono: (+39) 080 4951123

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Castello di Marchione

Nome del castello e della contrada che lo cinge, non si conosce l’origine di tale titolo. Adagiato sulla strada provinciale per Putignano a circa 6 chilometri dal centro di Conversano, il Castello di Marchione fu casa di caccia degli Acquaviva d’Aragona, conti di Conversano.
 
La nobile famiglia risiedeva abitualmente nel Castello di Conversano e utilizzava Marchione come tenuta venatoria, in quanto abbracciata da un bosco di querce e macchia mediterranea, esteso circa 1.260 ettari.
 
Di questa meravigliosa distesa verde sopravvive oggi un solo esemplare di quercia, la cui età è di circa cinque secoli. La leggenda vuole che un passaggio sotterraneo collegasse Marchione con il Castello di Conversano.

Strada Provinciale 101 Conversano

Telefono: (+39) 080 4959774;

(+39) 080 4959777 

(+39) 328 4983880

 E-Mail: info@castellomarchione.com

 


Torre e rovine di Castiglione

Un'alta torre a base quadrata, probabilmente con un nucleo trecentesco e rifacimenti del tardo Cinquecento. L'ingresso alla torre è in posizione sopraelevata e richiedeva presumibilmente un ponte levatoio; la sommità è coronata di beccatelli. Attorno alla torre vi sono i resti di una cinta muraria con basamento megalitico che delimitava la cima del colle, dove sono emersi i resti di alcune strade, case e botteghe e i ruderi di una chiesa di impianto basilicale con abside semicircolare, della quale si ha memoria con il titolo dell'Annunziata.

A circa 5 km dal centro cittadino in direzione sud-est, sulla cima di un colle boscoso della contrada Castiglione Conversano

 

Il toponimo Castiglione, associato ad un centro abitato di modeste ma non trascurabili dimensioni, ricorre infatti nei documenti dal X secolo al 1494 quando probabilmente la piccola comunità si raccolse in Conversano. Ma il villaggio occupava in realtà il sito di un insediamento abitato almeno dall'età del bronzo e vivo in epoca romana, alla quale sembra fare riferimento l'impianto urbanistico. Secondo alcune interpretazioni,Castiglione potrebbe corrispondere alla località riportata nella Tabula Peutingeriana col toponimo Ad Veneris.

Oggi l'intera area è stata recuperata ed è tutelata insieme ai laghi di Conversano.

Santuario di Santa Rita e Chiesa dei Santi Cosma e Damiano

Nel cuore del centro storico di Conversano, l’imponente complesso architettonico con la Chiesa e il Convento dei Santi Cosma e Damiano risale al ‘600, quando fu edificato sui resti della romanica Chiesa di San Matteo.
 
Per volontà del conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, la chiesa fu intitolata ai Santi Medici e sottoposta a un totale rifacimento, secondo i dettami del barocco. La facciata oggi si presenta sobria e il prospetto è compatto e uniforme in pietra calcarea, arricchito dal campanile a due ordini.
 
La semplicità dell’esterno cela il fastoso spettacolo degli interni, trionfo del barocco napoletano, la cui riprogettazione fu affidata a Paolo Finoglio. Del pittore di corte, resta il pregevole ciclo pittorico che decora la volta e le tele laterali, come il Martirio di San Gennaro, tra le sue opere migliori.
 
Dal 1997, la chiesa è gemellata con Cascia, acquisendo il titolo di Santuario di Santa Rita.

Largo San Cosma Conversano

 

 

Villa Garibaldi

La realizzazione del "giardino pubblico" di Conversano, collocabile nell'ultimo ventennio dell'Ottocento non fu il risultato di un unico progetto, ma la naturale conseguenza dell'uso pubblico di un'area adibita a "passeggiata".
La creazione della "Villa comunale G. Garibaldi" costituisce, infatti, il risultato finale di una lunga serie di interventi distanti nel tempo, che solo a fine secolo si coordinarono in un unico progetto. L'area che solitamente era denominata "Palo" o "Pale", si trattava di uno sperone roccioso indicato anche col termine "rialto", collocato in buona posizione panoramica in cima alla collina e perciò denominata "Belvedere".
Nel corso dei primi decenni dell'Ottocento furono eseguiti lavori che prevedevano la creazione di un grande spazio intorno al Castello, il cosiddetto "Largo della Corte", e di conseguenza l'abbattimento della Porta della città e il colmamento dell'antico fossato.

 

 

 

 

Conversano

Per quanto concerne lo spazio della "passeggiata", i lavori eseguiti in quegli anni mirarono a dare una gradevole aspetto esteriore alla sporgenza del "Palo", anche salvaguardando l'integrità di alcuni alberi già esistenti. Solo nella seconda metà dell'Ottocento l'area venne destinata a "giardino" e quindi sottoposta ad una nuova ridefinizione verso cui spingevano diverse motivazioni: la naturale posizione del "Belvedere", la sua favorevole esposizione ai venti freschi e inoltre la piacevole vista su un ampio panorama che al di là della verde campagna, spazia fino al vicino Adriatico. 
Il comune acquistò alcuni giardini adiacenti il "palo", per ampliare il medesimo, ed anche il "torrione Martucci", per ricavarne una cisterna atta a raccogliere le acque necessarie per la piante da sistemare nel giardino. L'odierna configurazione dell'antico "Palo" risale alla fine del secolo, e fu intitolata "Villa G. Garibaldi", come si legge sulle colonne d'ingresso recanti la data 1883. Nel 1894 fu discusso e approvato dal Consiglio Comunale un "regolamento per la villa", che prevedeva un direttore ed un operaio, per disciplinarne l'uso e per garantirne una migliore conservazione. Poi si completarono i lavori e si definirono anche esteticamente le opere. Si trattava di realizzare un grande viale, fatto a loggia, in modo da rendere più ampie e deliziose le pubbliche passeggiate ed una serie di pilastri in pietra che coronavano la muratura ed infine una ringhiera metallica che seguiva il perimetro della villa.
I cancelli di tale ringhiera continuano ad essere aperti poiché la "Villa" è tutt'oggi il punto d'incontro degli abitanti di Conversano.

Pinacoteca Comunale di Conversano

 

Corso Domenico Morea, 2 Conversano

           Telefono: (+39) 080 4958524

            

(Nella Sezione Musei)

Museo civico archeologico di Conversano

 

Via San Benedetto, 16 Conversano

Telefono: (+39) 080 495917

(+39) 080 4951228

 

(Nella Sezione Musei)

 

Corato

Le prime notizie certe sulla località risalgono al Medioevo e più precisamente ai tempi della dominazione normanna (XI secolo); stando però a un’antica tradizione le origini dell’abitato andrebbero riportate all’epoca romana. Dopo i normanni fu assoggettata agli svevi e, quando, alla morte del grande imperatore Federico II, Carlo d’Angiò estese il suo potere sull’Italia meridionale, rimase schierata dalla parte di Corradino di Svevia, che ne esaltò la lealtà, attribuendole l’appellativo di “COR SINE LABE DOLI”, ‘cuore senza macchia di tradimento’, riportato sullo stemma cittadino. Passata poi agli aragonesi, dall’inizio del XVI secolo fu sotto il dominio degli spagnoli, cui subentrarono, nel Settecento, gli Asburgo e i Borboni. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo assistette al fallimento di un tentativo di insurrezione, capeggiato dal patriota locale Federico Quinto. Il periodo napoleonico segnò l’inizio di una fase di sviluppo civile e urbano, che raggiunse i massimi livelli dopo l’unità d’Italia. 

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI CORATO:

Telefono: (+39) 080 9592111

La città ha molto da offrire dal punto di vista storico-culturale. Da vedere assolutamente la Chiesa madre di Santa Maria Maggiore, la Chiesa della Madonna delle Grazie e la Chiesa e Convento del Carmine. La Chiesa madre fu costruita nel 1139, ma purtroppo oggi sono pochi i resti dell'architettura originaria a causa del restauro dopo il terremoto del 1629. La Chiesa della Madonna delle Grazie invece è una chiesa rurale di epoca settecentesca, situata in contrada Bracco, che collega Corato a Ruvo. La Chiesa e il Convento del Carmine sono estremamente importanti per Corato perchè il culto del Carmine è molto sentito in questa zona e ci sono testimonianze in proposito sin dal XVII secolo.

Corato

 

(Nella Sezione dei Luoghi di Culto)

Numerosi sono i Palazzi della città che testimoniano le antiche sedi del potere di Corato: Palazzo Gioia, Palazzo De Mattis, Palazzo Lamonia, Palazzo Catalano, Palazzo Gentile Griffi e Palazzo Spallucci. Tra tutti i palazzi, degno di nota è il Palazzo De Mattis soprannominato il "Palazzo dalle pietre pizzute" per la particolarità delle bugne a punta di diamante con cui è stato rivestito il palazzo. L'edificio è un esempio di architettura rinascimentale in Puglia, e appartiene a Patroni Griffi.

Corato

 

(Nella Sezione Palazzi)

 G

L'attuale abitato di Gioia del Colle nasce intorno a un castello di origini bizantine.

Il suo nome deriva da Joha, riduzione del cognome Joannakis, famiglia bizantina presente in questi luoghi in età medioevale, ma sull'origine del toponimo ci sono molte opinioni e perfino leggende. Una delle più famose è quella secondo una nobil donna in viaggio nella zona perse dei gioielli tra cui una bellissima e preziosissima collana. Al luogo dove la collana venne ritrovata venne dato il nome "Gioia del Colle". La complessa ed originale storia della città di Gioia del Colle è illustrata anche nel suo particolare stemma araldico: una coppa a forma di calice ricolma di gioielli e bordata da motivi agricoli. Diversamente dagli stemmi dei paesi limitrofi, quello di Gioia del Colle, risalente al 1934, non si lega ad alcun simbolo raffigurante casati, marchesati o ducati, ma racconta la presenza di una civiltà eterogenea che va dalla povertà alla ricchezza, dall'artigianato al latifondo. Si ispira ad una scultura eseguita nel 1480 da Joannes de Rocca, su di una pietra murata nella sede dell'Università di Gioia, raffigurante tre stemmi: quello di Gioia con la scritta Universitas Joe, quello Aragonese con la corona reale e quello dei conti Acquaviva di Conversano.

L'abitato fu ricostruito dal normanno Riccardo Siniscalco, per poi essere distrutto da Guglielmo I di Sicilia detto "il Malo". Fu rifondato nel 1230 da Federico II di Svevia al ritorno dalla Crociata. Sembra che il castello fosse una residenza in cui sostava durante le sue battute di caccia. Fu poi completato dagli Angioini che aprirono delle finestre sulla cortina.

Fra il 1600 e 1800 i successivi proprietari (gli Acquaviva d'Aragona, i De Mari, e Donna Maria Emanuela Caracciolo) hanno tolto al complesso l'aspetto di una residenza fortificata.

La città "nuova" però avrebbe origine da un insediamento ben più antico: Monte Sannace, distante circa 5 km dall'abitato odierno. Scavi archeologici, ancora oggi, portano alla luce vestigia di un villaggio di Peucezi risalente al VII secolo a.C. Gioia nasce durante il dominio bizantino per poi passare sotto il dominio normanno, infeudata al conte Riccardo di Altavilla. A Federico II si deve la ricostruzione del castello. Fu principato di Taranto e feudo dei principi De Mari di Acquaviva delle Fonti fino all'abolizione delle feudalità.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI GIOIA DEL COLLE:

Telefono: (+39) 080 3494232 

Castello normanno-svevo

Origini bizantine

Il nucleo più antico del Castello, corrispondente all'ala Nord, è di epoca bizantina, risalente al IX secolo. Esso consisteva di un recinto fortificato di forma rettangolare in pietra calcarea. Era presente un piccolo cortile, adiacente alla muraglia meridionale, che si apriva verso l'esterno in quella che adesso è piazza dei Martiri del 1799. Il Castello aveva la funzione principale di dare riparo alla popolazione in occasione di scorrerie di genti nemiche.

Periodo Normanno

Tra l'XI e il XII secolo il Castello venne ampliato da Riccardo Siniscalco, della dinastia normanna degli Altavilla (Siniscalco è titolo di alto funzionario reale presso i Normanni), Duca di Puglia e primo feudatario del territorio dell'odierna Gioia del Colle. Il documento più antico in cui viene fatta menzione del Castello risale al 1108: sembrerebbe quindi ancora precedente l'intervento di ampliamento normanno. Riccardo Siniscalco trasformò il fortilizio bizantino in una roccaforte feudale, allargando il cortile verso Sud e recintandolo con un solido muro, e costruendo un mastio nell'angolo Sud-Ovest, successivamente denominato "Torre De' Rossi”. Il Re di Sicilia, Ruggero II, sempre di stirpe normanna, modificò parzialmente la fortificazione, con l'aggiunta di altre due torri negli angoli Nord-Est e Nord-Ovest, non più esistenti.

Il Castello e l'abitato circostante sarebbero stati, poi, distrutti da Guglielmo I il Malo, quando questi recuperò il potere sulla terra di Bari.

Periodo Svevo

La sistemazione attuale si deve a Federico II di Svevia, il quale attorno al 1230 rifondò il Castrum di ritorno dalla VI crociata in Terrasanta, aggiungendo una torre nell'angolo Sud-Est, cosiddetta "Torre Imperatrice", innalzando cortine murarie nel cortile, per ricavarne ambienti chiusi, di servizio al piano terra (cucina, depositi, stalle, scuderie), di rappresentanza e residenziali al primo piano.

In tal modo l'edificio assunse una struttura grossomodo quadrangolare, con cortile interno e quattro torri angolari, tipica dei castelli federiciani. Il Castello così voluto dall'Imperatore faceva parte della rete di residenze e fortificazioni disseminate nel territorio dell'Italia Meridionale, dalla Capitanata fino alla Sicilia, destinate al controllo militare delle fertili regioni del Regno. Per tutta l'età sveva, infatti, il Castello di Gioia del Colle fu sede di una guarnigione militare e solo pochi ambienti erano lasciati liberi e a disposizione del sovrano. Da alcune cronache e testimonianze, seppure posteriori, sembra, tuttavia, che il puer apuliae amasse risiedere nel Castello di Gioia per le sue battute di caccia nei boschi della Silva Regia.

Periodo angioino, aragonese ed età moderna

Con la sconfitta di Manfredi nella battaglia di Benevento del 1266, l'egemonia sveva sull'Italia meridionale terminò. Il Castello di Gioia del Colle seguì le medesime sorti. Dopo gli Svevi, esso passò sotto il dominio degli Angioini e degli Aragonesi. Dopo l'uccisione di Manfredi, secondo la leggenda nato a Gioia del Colle, il Castello divenne quindi proprietà dei Principi di Taranto fino al '400, dei Conti di Conversano fino al '600 e dei Principi di Acquaviva fino agli inizi del '800. Nel corso di questi secoli il Castello fu gradualmente trasformato da costruzione militare a dimora residenziale ed adattato alle nuove esigenze abitative, avendo perso ogni importanza militare e civile, pur mantenendo il suo impianto strutturale. Dal '600, perdendo a mano a mano importanza, il Castello cominciò una lunga fase di degrado e a subire deturpazioni, mantenendo tuttavia la struttura originaria a differenza di altri castelli di Puglia, che subirono vari adattamenti adeguandosi a nuove esigenze militari. Per questa ragione il Castello di Gioia del Colle costituisce una delle testimonianze più fedeli del periodo normanno-svevo.

Età contemporanea

Il Castello divenne di proprietà di Donna Maria Emanuela Caracciolo nel 1806 fino al 1868. Nel 1884 fu comprato dal canonico Daniele Eramo, mentre agli inizi del XX secolo passò al marchese di Noci, Orazio De Luca Resta, il quale richiamò l'attenzione sul monumento, promuovendone il restauro, ed in seguito ne propose la donazione al Comune di Gioia del Colle. A questo periodo risalgono i primi lavori di restauro effettuati dal 1907 al 1909 da parte dell'architetto Angelo Pantaleo, sotto l'egida del Ministero delle Belle Arti, che miravano a recuperare l'aspetto originario, effettuando tuttavia delle ricostruzioni arbitrarie impostate su un'immagine stereotipata del Medioevo: tra queste alcune monofore, bifore e la trifora nella cortina muraria interna del lato Sud, nonché il trono e gli arredi in pietra dell'omonima sala. Nelle sue ricostruzioni, comunque, l'architetto adoperò materiale di reimpiego, anche di notevole pregio, scrupolosamente recuperato nelle demolizioni delle superfetazioni - strutture posteriori, risalenti ad epoche di degrado - presenti nel cortile.

Nel 1957 il Castello, molto malridotto, perché tenuto in uno stato di abbandono dagli eredi del Marchese De Luca Resta, venne acquistato dal Ministero della pubblica istruzione e annoverato tra i monumenti nazionali.

Tra il 1969 ed il 1974 il Castello è stato nuovamente restaurato, a seguito di alcuni crolli successivi all'intervento del 1907, questa volta ad opera dell'ingegnere Raffaele De Vita, che recuperò la funzionalità dei locali al piano terra, rendendolo infine visitabile come monumento ma anche atto ad ospitare attività culturali.

Dal 1977 il Castello è sede del Museo archeologico nazionale di Gioia del Colle. Per un breve periodo, inoltre, il Castello ha ospitato la Biblioteca comunale don Vincenzo Angelillo.

Gioia del Colle

 

Il Castello consta di un cortile interno attorno al quale sorgono gli ambienti, organizzati in due piani. Ai due angoli del lato sud sorgono due torri(denominate “De' Rossi” e “dell'Imperatrice”, alte rispettivamente 28 m e 24 m), delle quattro originariamente presenti. Riferimenti a queste torri sono contenuti negli scritti di Honofrio Tangho del 1640 e di Gennaro Pinto del 1653.

L'aspetto esteriore risente degli apporti stilistici dei differenti proprietari del Castello; il contributo di Federico II di Svevia è tuttavia quello che maggiormente ha impattato sull'aspetto finale. L'opera federiciana si presenta infatti ecletticamente ricca di apporti diversi, tipica della tendenza dell'Imperatore di affiancare stili molto differenti tra di loro, con un particolare riguardo all'architettura islamica. Questo si nota nella varietà di motivi artistici all'interno del cortile e delle sale, ispirati appunto a modelli arabi filtrati attraverso modelli crociati, a cui si aggiunge il vistoso apparato di bugne che conferisce una nota di monumentalità alla severa ed austera costruzione normanna. Questo procedimento architettonico, di valore esclusivamente decorativo, si evidenzia nelle bianche cornici calcaree a bugnato lungo gli spigoli delle torri e nelle originali aperture esterne sulla facciata delle cortine e delle torri.

 

Il materiale di costruzione del Castello è prevalentemente pietra calcarea e carparo rosso. La muratura esterna è costituita di tre diversi tipi di strutture murarie che denunciano tre epoche diverse di realizzazione: piccoli conci lapidei di pietra calcarea, sulla cortina nord e nord-est; bugne rettangolari a bauletto con canaletti incavati, sulla Torre dell'Imperatrice; bugne rettangolari poco aggettanti e schiacciate molto consunte dal tempo, su tutto il resto della costruzione. In particolare, il carparo rosso è stato utilizzato per realizzare le cortine e la parte alta delle torri; fino a 4,50 m di altezza su di queste ultime, infatti, sono state utilizzate bugne di pietra calcarea molto chiara, oltre che agli angoli delle torri e nell'incorniciatura di portali, finestre e di alcune feritoie.

Numerose monofore, bifore, una trifora (quest'ultima risalente al restauro del Pantaleo del 1907) e feritoie si aprono in maniera disordinata sulle cortine e sulle torri, confermando le diverse fasi costruttive. Le cortine alte circa 12 m sono divise in due piani; quelli inferiori mostrano numerose strette feritoie, quelli superiori diverse finestre di varia forma.

Ingressi

Esistono vari ingressi: il principale è costituito da un ampio portale situato sul lato ovest, un secondo è poco più di una porta sul lato sud. Entrambi sono sormontati da una corona di bugnato a raggiera. Caditoie a due canne incombono al di sopra degli ingressi.

Un terzo ingresso è stato portato alla luce attraverso la cortina nord.

Cortile

Dal portone principale, con il suo arco ogivale, si accede al cortile trapezoidale, dove si trovano la scala per l'accesso al piano superiore nonché i vari locali del pian terreno. La scalinata presenta dei bassorilievi rappresentanti animali e scene di caccia.

Al centro del cortile si trova un pozzo cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Le cortine interne sui lati nord ed est del cortile sono state ricostruite.

Forno E Prigione

Da un ingresso posto sul lato sud del cortile  si accede alla  sala del forno, così chiamata per la presenza di un grande forno, sulla cui struttura è poggiata una delle torri superstiti, quella detta dell'Imperatrice.

Sotto il forno c'è un piccolo sotterraneo, utilizzato un tempo come prigione. Sulla    parete est della prigione sono scolpite due protuberanze a forma di seni. La leggenda vuole siano i seni che ricordano il martirio di Bianca Lancia, che, a causa della gelosia e dell'offesa arrecatale da Federico II, subito dopo aver dato alla luce il figlio Manfredi, se li era  recisi e aveva  ordinato ai suoi servitori di consegnarli al re marito, insieme al neonato.

Sala Del Trono

Al termine della scalinata del cortile si accede alla sala del trono, così chiamata perchè in fondo alla parete  sud  è appoggiato un trono in pietra, ricostruzione del Pantaleo.

L'arco posto verso la parte terminale della sala,  verosimilmente, aveva il compito di creare una divisione tra la zona " riservata ", quella del trono, dall'ambiente destinato alle udienze, ai sudditi, come è dimostrato anche dalla presenza di sedili in pietra presenti in quest'ultimo ambiente.

Originariamente aveva una copertura lignea a capriate; a seguito del suo crollo, durante l'ultimo restauro il tetto è stata sostituito da una struttura metallica e il pavimento originario è stato ricoperto con elementi lignei.

Nella sala è presente anche un camino e un'apertura che conduce in cima alla torre De' Rossi.

Sala Del Caminetto

Dalla sala del trono si accede alla sala del caminetto, così chiamata per la presenza di un camino di dimensioni più ridotte rispetto a quello della sala precedente e di minor pregio dal punto di vista architettonico. 

Questa sala è di dimensioni ridotte rispetto alla precedente e presenta delle aperture anche sulla sulla cortina esterna, a differenza della sala del trono, che prende luce quasi esclusivamente dalle bifore e trifore che si affacciano sul cortile interno.

Era sicuramente utilizzata dalla regina e dalle cortigiane, che trascorrevano in quell'ambiente gran parte della giornata.

Da questa sala si accede, attraverso una scala interna a quella che era utilizzata probabilmente come stanza da letto dei sovrani.

Attraverso questa sala si accede all' altra torre che è rimasta in piedi: quella detta dell'Imperatrice, meno alta della precedente, che si trova sulla proiezione verticale della prigione e del forno.  

 

Museo nazionale archeologico di Gioia del Colle

 

Piazza dei Martiri del 1799, 1 Gioia Del Colle 

Telefono: (+ 39) 080 3481305 

 

(Nella Sezione Musei)

 

Gravina in Puglia


Non è dato conoscere con certezza l’epoca o il secolo in cui sia sorta la città fondata tra gli anfratti rocciosi e misteriosi sul versante sinistro del burrone, come non si conosce il tempo in cui sia stato fissato alla stessa il nome di Gravina. In geologia il termine “gravina” sta ad indicare una depressione del terreno prodotta da erosione di acque e può essere accostato al tedesco “graben” (fossa) o ai termini prelatini “graba” (roccia) e “rava” (dirupo roccioso) o al “Bothros” greco. Il nome Gravina viene citato nel Chronicon di Romualdo Salernitano, arcivescovo di Salerno dal 1154 al 1181, in occasione della incursione operata dai saraceni nella città nel 976 dopo Cristo. Trovandosi alla confluenza di valli tra antica Peucezia e Lucania, non lontano da Daunia, Magna Grecia e Sannio, regioni storicamente più famose, si può supporre che la città di Gravina si sia affacciata alla storia tra VIII e VII secolo a.C., come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti sul pianoro della collina di Botromagno e nella zona di Padre Eterno, così chiamata per la presenza in una grotta di affreschi bizantineggianti fatti risalire al XII secolo. Grazie ai rapporti e , forse, ad una fusione con popolazioni magno – greche spostatesi nell’interno dopo la distruzione di Sibari (VI sec. A. C.).

Ciò spiegherebbe il demotico ∑I Δ I N Ω N inciso sulle monete coniate in loco e la presenza di radici greche nel dialetto ancora oggi parlato. Con la conquista di Roma, la terra divenne un centro di rilievo sulla via Appia con il nome di Silvium o ad Silvianum e Silutum dei più noti itinerari antichi. Naturalmente con la caduta dell’Impero Romano (476 d.C.) la terra non fu immune dalle rovinose scorrerie di bande irregolari di barbari, che non distrussero completamente i centri abitati, ma ne ridussero le potenzialità economiche e culturali.

E’ chiaro che molti continuarono a viverci, come testimonia la presenza di chiese rupestri sul versante destro del burrone. I cittadini più audaci si arrampicarono negli anfratti della sponda sinistra della gravina per dar vita ai quartieri di Fondovico e Piaggio.
Legata alla storia della regione subì asservimento ai longobardi, ai bizantini e diventò terra di conquista da parte dei saraceni. Dopo un lungo periodo di gravi difficoltà, la città si riprese con l’avvento dei normanni che, con il conte Umfrido d’Altavilla ebbe la cattedrale (XI secolo) e con Federico II il castello (XIII sec.). Dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento (1266) passò agli angioini che, volendo affermare la cristianità, distrussero la sinagoga ebraica e cacciarono gli ebrei che rifiutarono il cristianesimo. Agli aragonesi si attribuisce La rinascita economica e culturale della città si attribuisce agli aragonesi che affidarono il ducato al senatore romano Francesco Orsini (1425). Grazie alla permanenza degli Orsini per diversi secoli la città si arricchì di monumenti, ma soprattutto conobbe il personaggio più illustre della terra. Infatti, nel 1650 dal duca Ferdinando III Orsini d’Aragona e da Giovanna della Tolfa nacque Pier Francesco. Primogenito di questa prestigiosa famiglia, rinunciò ai fasti della corte ducale per abbracciare la vita monastica che nel 1724 lo portò al soglio Pontificio con il nome di papa Benedetto XIII.
Con la partenza degli Orsini da Gravina (1817) la città ripiombò nell’anonimato.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI GRAVINA IN PUGLIA:

Telefono: (+39) 080 3259111

Museo capitolare di Arte Sacra

 

Piazza Benedetto XIII Gravina In Puglia

 

(Nella Sezione Musei)

L’Arco di Traiano, risalente al II secolo d.C., è una delle antiche porte del borgo medioevale di Giovinazzo, punto di accesso della cinta muraria a difesa della città.

Prende il nome dalle colonne miliari che costituiscono una variante marina della vecchia Via Traiana, la strada che da Roma, conduceva sino al porto di Brindisi

Gravina In Puglia

Il complesso architettonico è formato dall’unione di due archi ogivali i cui capitelli sono retti dalle quattro colonne traianee. La porta introduce il visitatore nel pittoresco e suggestivo centro storico della meravigliosa città perla dell’Adriatico.

Rioni Piaggio e Fondovico

Questi due quartieri sono il cuore storico della città dove sono concentrate molte delle attrazioni di Gravina. Piaggio e Fondovico sono di per sé interessanti anche semplicemente per una passeggiata tra le vecchie case da cui si affacciano anziane signore che stendono il bucato o da cui provengono i profumi del pranzo.

Gravina in Puglia

 

 

Chiesa di San Basilio Magno

La chiesa di San Basilio si trova nel quartiere Piaggio è scavata nella pietra, ha otto colonne e un altare su cui è posizionata un’icona di Maria: la sua presenza nel paese passa quasi inosservata se non fosse per il vecchio campanile in tufo che svetta.

La chiesa fu per lungo tempo un luogo di culto per gli abitanti della città per poi rimanere chiusa, inutilizzata e sconsacrata per molti anni.

Gravina in Puglia

Telefono: (+39) 080 3269065

 

 

Giorni e Orario apertura:

Dal Lunedì alla Domenica dalle ore 09.00 alle ore 13.00; e dalle ore 16.00 alle ore 20.00

Visite a Pagamento

 

Ponte Viadotto Acquedotto sul torrente Gravina

Una struttura ad archi lunga 90 metri ed alta 37 metri collega i due versanti della città. Sospeso sopra il torrente Gravina fu costruito per permettere il facile accesso dei fedeli dal centro storico (rioni Piaggio e Fondovico) alla Chiesetta della Madonna della Stella sul lato opposto.

Gravina in Puglia

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Museo della Fondazione "E. Pomarici Santomasi"

 

Via Museo, 20, Gravina In Puglia

Telefono: (+39) 080 3251021

 

(Nella Sezione Musei)

 

Grumo Appula

La città sorse come centro apulo in epoca pre romana. Plinio fa, probabilmente, riferimento agli abitanti di Grumo quando, nell'elencare i popoli della Calabria, come allora era chiamata la Puglia, elenca i "Grumbestini" assieme a "Palionenses" di Palo del Colle (Palion) e "Butuntini" di Bitonto(Butuntum). Nel suo territorio si sono rinvenute sepolture italiche e monete greche e romane.

Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente entra a far parte del regno ostrogoto, cui si avvicenderanno i bizantini, che restituiranno, seppure per poco, l'Italia all'Impero all'epoca della "restitutio" giustinianea del VI secolo. Solo sfiorata dalla dominazione longobarda, finisce, in seguito, sotto la dominazione normanna, quando il borgo fu compreso nel feudo di Conversano (Bari), passando, poi, verso la metà del XIII secolo, a Goffredo di Montefusco.

Nel 1410 fu venduta da Ladislao di Durazzo a Pietro Busio de Senis. Nel XVI secolo, al tempo di Filippo IV di Spagna, il feudo apparteneva al Regno di Napoli, nel 1600 passò alla famiglia La Tolfa, poi ai Guevara e nel 1631 al marchese spagnolo Antonio Castigliar per 56.000 ducati (ne valeva in realtà 85.000). Infine, nel 1715 divenne possedimento dei Caracciolo, prima di essere dichiarata città regia nel 1800.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI GRUMO APPULA:

Telefono: (+39) 080 3831211

La Chiesa di Santa Maria Assunta duecentesca capofila a croce greca delle linee romanico-pugliesi. Seguono tante altre chiese di semplice fattura, Maria Santissima delle Grazie, Maria Santissima di Mellitto, la Cappella di San Michele, la quattrocentesca Chiesa di San Rocco e la seicentesca Chiesa del Santissimo Rosario, inoltre sorgono le altre chiese di San Francesco (XIII secolo), Maria Santissima di Monteverde, San Lorenzo, Sant’Antonio, Immacolata Concezione e Sant’Anna.

Grumo Appula

Cappella di San Michele

Affacciata sul ciglio della strada, in aperta campagna, si offre alla vista la Cappella di San Michele. La facciata è tipicamente rurale e, priva di ogni aggetto di pregio, reca incisa sull'architrave l'inconfondibile  data: 1699.

La povertà esterna contrasta con la ricchezza degli affreschi interni: per esempio la volta a botte sembra assecondare il fregio che la percorre, inoltre sia le pareti laterali che quella sovrastante l'altare sono affrescate (rispettivamente con motivi cortesi raffiguranti il mondo terrestre e quello acquatico).

Grumo Appula

 

Sull'altare è invece riconoscibile l'effige di San Michele ai lati del quale sono raffigurati San Francesco e San Rocco. Ad interrompere il fregio laterale destro, vi è un'iscrizione "(Uccis del Angelo ad...norus...) erexit hac ad/honori...Principem/Agminis angelici/in anno Domini 1690".

 

 

 

 

 

Il centro storico palesa evidenti esempi di architettura civica, nella fattispecie gli emblematici palazzi d’Alessandro e Scippa, senza tralasciare ovviamente il Palazzo Municipale.

Grumo Appula

 

 L

Locorotondo

Non si hanno notizie precise sulle sue pur lontane origini. Elencata in un documento della fine del secolo XI tra i possedimenti dell’abbazia di Santo Stefano di Monopoli, ha assunto in passato diverse denominazioni: da un “casale Locirotundi”, di cui si parla in un atto della seconda metà del Duecento, si è arrivati ai nomi di Loco Rotondo, Luoco Rotondo o Luogo Ritondo, del XVII e XVIII secolo. A prescindere dalla forma assunta, il toponimo si riferisce sempre all’impianto circolare dell’abitato. La sua storia, nella quale mancano avvenimenti di particolare rilievo, non si discosta da quella dei territori circostanti che, superato il triste periodo altomedievale, caratterizzato dalle devastazioni causate dalle invasioni barbariche e saracene, furono assoggettati alle dominazioni normannasvevaangioina e aragonese. Inglobata, nel Quattrocento, nel principato di Taranto, retto all’epoca dagli Orsini del Balzo, dall’inizio del XVI secolo fu sotto il governo spagnolo, venendo acquistata, verso la metà del Seicento, dal duca di Martina Franca, Francesco Caracciolo. Nel secolo successivo cadde nelle mani degli Asburgo e dei Borboni che, fatta eccezione per il periodo napoleonico, vi dominarono fino all’ingresso nel regno d’Italia.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI LOCOROTONDO:

Telefono: (+39) 080 4356203

Sono tanti i monumenti ed i luoghi di interesse storico e religioso che sarà possibile vedere in paese.

Noi consigliamo di far visita alla Chiesa Madre di San Giorgio Martire, al Palazzo DeBernardis ed alla Chiesa della Madonna della Greca.

Per gli amanti delle piccole chiesette a Locorotondo è possibile visitare anche la Chiesa di San Rocco, la Chiesa di Maria Addolorata, la Chiesa di Santa Maria Annunziata e la Basilica Minore dei Santi Cosma e Damiano.

 

Locorotondo

 M

Modugno ha una storia che risale a tempi remoti, in quanto il territorio comunale è stato abitato sin dalla Preistoria. Infatti, molteplici sono i ritrovamenti archeologici avvenuti nel territorio comunale, come quelli di resti di una necropoli peuceta risalente al VII-VI secolo a.C.

Il primo centro urbano fu fondato probabilmente nell'Alto Medioevo, nel periodo della dominazione bizantina, intorno alla Chiesa di Santa Maria di Modugno. Di questo periodo si conservano i primi documenti che riportano il nome della città: si tratta di bolle pontificie che annoverano Modugno fra le sedi vescovili suffraganee di Bari.

Durante le dominazioni normanna e sveva il Sud Italia conobbe un periodo di sviluppo. Le fonti storiche sono discordanti sui feudatari di Modugno nel periodo normanno: secondo alcuni, era un possedimento della famiglia Loffredi, secondo altre fonti, invece, Modugno fu donata in feudo a Ursone (o Orso) vescovo di Rapolla da Roberto il Guiscardo, nel 1078, quando fu trasferito da Rapolla a Bari. Di per certo, Modugno faceva parte del feudo concesso agli arcivescovi di Bari durante il regno di Federico II di Svevia.

 

Dal periodo angioino alla dominazione austriaca

Nel periodo angioino, il feudo di Modugno era conteso fra la famiglia Chyurlia e gli Arcivescovi di BariNella seconda metà del XIV secolo, sul trono del Regno di Napoli, agli Angiò successero gli aragonesi. Modugno, fedele agli aragonesi, ricevette da Ferdinando I diversi privilegi fiscali e la libertà dal giogo feudale, seppur per un breve periodo. In seguito, nel 1464, Ferdinando I concesse ai suoi alleati della famiglia Sforza la città di Modugno, con Palo del Colle e Bari a formare un ducato. Durante questo periodo (e in particolar modo durante il governo di Isabella d'AragonaBona Sforza), Modugno visse uno dei periodi di suo massimo splendore.

Alla morte di Bona Sforza, Modugno passò in mano alla corona di Spagna, che considerava l'Italia come colonia da sfruttare economicamente e come territorio di frontiera a difesa dai Turchi. Il monarca Filippo II, avendo bisogno di denaro, nel 1558 vendette il feudo al viceré di Sicilia Don Garzia di Toledo per 44.000 ducati. Alla morte del viceré, Modugno ritorno alla disponibilità della corona; dopodiché, nel 1580 Filippo II vendette nuovamente Modugno per 40.000 ducati al genovese Ansaldo Grimaldi, suo consigliere. L'anno seguente la città di Modugno riuscì a raccogliere i 40.000 ducati necessari per rimborsare Grimaldi e acquisire la libertà dal giogo feudale. Tuttavia, questa ingente spesa e le continue richieste di denaro del governo centrale portarono al fallimento dell'Università di Modugno nel 1666.

La situazione di crisi economica delle finanze comunali e di vessazioni da parte del governo del regno di Napoli continuò anche durante la successiva dominazione austriaca. In questo periodo, Modugno fu tenuta in grande conto presso la corte austriaca dell'Imperatore Carlo VI grazie all'operato del Ministro dell'Impero, Conte Rocco Stella. Per lo stesso imperatore, combatté anche un altro nobile modugnese: Giuseppe Carlo Capitaneo. In queste dispute, il borgo venne parzialmente distrutto e poi ricostruito dall'Arcivescovo Romualdo.

 

Regno borbonico, periodo napoleonico e restaurazione

Dal 15 maggio 1734 Carlo di Borbone divenne il nuovo re di Napoli, dando il via al dominio dei Borboni. Fu promotore di una politica riformista che gli valse la fama di monarca illuminato. Il modugnese Francesco Struggibinetti fu medico di corte di Carlo III ed insigne trattatista. Eusebio Capitaneo si distinse nell'esercito di Carlo III acquisendo nel 1803 il grado di tenente-colonnello.

 

La Rivoluzione Francese fece sentire i propri effetti anche nel Regno di Napoli dove ci fu una insurrezione giacobina che portò alla costituzione della Repubblica Napoletana. Per contrastare questa Repubblica Napoletana si costituì, al comando del cardinale Ruffo di Calabria, un Esercito della Santa Fede (da cui il nome Sanfedisti) formato da popolani che volevano la restaurazione al trono di Re Ferdinando IV di Borbone. Essendo stato innalzato a Modugno l'albero della libertà (che era il simbolo giacobino della Repubblica Napoletana) il paese fu attaccato dalle truppe dell'Esercito Sanfedista rinforzato dagli abitanti di Carbonara di Bari e di Ceglie del Campo (che erano fedeli al Re Ferdinando IV e quindi filoborbonici). L'assedio di Modugno avvenne il 10 marzo 1799 e vide vittoriose le forze in difesa di Modugno. In quella giornata si verificò l'episodio ritenuto miracoloso dell'apparizione di una donna con in mano un fazzoletto (identificata nella Madonna Addolorata).

Dopo un breve periodo di restaurazione dei Borbone, nel 1806, per un decennio, si instaurò un governo filonapoleonico prima con Giuseppe Buonaparte e poi con Gioacchino Murat. In questo breve lasso di tempo, furono adottate moltissime riforme: vennero aboliti gli ordini religiosi e confiscati i loro beni (a Modugno gli agostiniani dovettero lasciare la loro chiesa e i Domenicani il convento); venne effettuata una riforma agraria e tributaria; venne adottato il sistema metrico decimale; fu stabilita la creazione di scuole in ogni comune (il 1º ottobre 1806 a Modugno venne creata la prima scuola che constava in due sezioni: quella maschile affidata al frate Domenico Carroccia e che faceva lezione nei locali della chiesa del Purgatorio; e la sezione femminile affidata alla donzella Morena Anastasia che svolgeva le lezioni in un locale preso in fitto dalla famiglia Scarli); venne adottato il Codice Napoleonico; e venne dato nuovo impulso all'economia grazie alla creazione di nuove fiere e mercati.

Al termine della repubblica napoleonica, venne restaurato il Regno Borbonico che durò fino alla unità d'Italia nel 1861. A questo periodo risale l'abbattimento delle mura cittadine e, negli anni 1821 e 1822, venne costruita la strada che collegava Bari ad Altamura che, nel tratto modugnese, corrisponde alle attuali via Roma e Corso Vittorio Emanuele.

 

Molti furono i modugnesi che erano affiliati alla società segreta della carboneria. Fra questi, un'esponente di spicco fu Nicola Longo, noto medico. A Modugno venne costituita una sede carbonara detta "vendita Spirito Santo".

Modugno, dal 1861, fu unita al Regno d'Italia a seguito della sconfitta dell'esercito del Regno delle Due Sicilie contro i garibaldini. Il 3 novembre 1861 vennero cambiati i nomi ad alcune strade e piazze cittadine intitolandole Piazza del Plebiscito, Corso Vittorio Emanuele, Piazza Garibaldi, Strada Cavour.

Durante il primo conflitto mondiale, molti modugnesi furono arruolati nella “Brigata Regina” e nella “Brigata Bari”. Nel conflitto perirono 130 soldati modugnesi e diversi di essi si distinsero per valore e merito.

Cosa analoga avvenne nella seconda guerra mondiale, persero la vita 92 soldati modugnesi. Nel 1943, a Modugno sostarono sia alcuni reparti di soldati tedeschi in ritirata, sia degli alleati sbarcati in Sicilia.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI MODUGNO:

Telefono: (+39) 080 5865111

Tra gli itinerari da visitare, di notevole interesse è il Santuario di Santa Maria della Grotta; rappresenta un insediamento religioso molto suggestivo. Il Santuario di Santa Maria della Grotta sorge in quella che fu un'Abbazia Benedettina. Molto belli gli affreschi del '300 e il gruppo scultorio, avente come tema quello della Pietà. 

Altra chiesa importante, risalente all'anno Mille, è quella di Maria Santissima Annunziata. Oltre alla facciata, caratterizzata da una certa sobrietà e realizzata secondo i dettati dello stile tardo rinascimentale, può contare sulla presenza di un campanile che raggiunge i 60 metri di altezza. Quest'ultimo costituisce un esempio importante di architettura in stile romanico-pugliese.

Modugno

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Nel centro storico di Modugno è possibile  ammirare un numero importante di edicole votive, tipiche strutture di carattere architettonico, di dimensioni molto contenute, che ospitano al loro interno simboli religiosi. In particolare, ricordiamo quelle dedicate alla Madonna di Costantinopoli, al Suffragio e alla Natività. Non mancano testimonianze di architettura civile che meritano qualche scatto fotografico.

Il Palazzo Angarano-Maranta, eretto nel XVII secolo, Palazzo Crispo, terminato due secoli più tardi, Palazzo del Municipio, che un tempo rappresentava l'Ex Monastero di Santa Maria della Croce, il castello di Balsignano, costruito nel XV secolo, che colpisce per la sua struttura decisamente massiccia e per la presenza all'interno, di un affresco che ha come soggetto la Madonna, seduta sul trono con il bambino.

Balsignano era un antico borgo della Puglia che oggi si trova nel territorio comunale di Modugno, a sud-est del centro abitato, in direzione di Bitritto. Si conservano i resti di un casale fortificato e delle chiese di Santa Maria di Costantinopoli e di San Felice.

Nei pressi del casale sono stati rinvenuti i resti di un insediamento neolitico. Le prime notizie storiche riguardanti il casale fortificato di Balsignano sono datate 962: in un documento si parla di un castrum in loco "basiliano". Il nome potrebbe derivare dai monaci seguaci di san Basilio che si sarebbero insediati nelle vicinanze. Nel 988 fu distrutto dai Saraceni durante le loro azioni in Terra di Bari. Venne subito ricostruito e, nel 1092, donato all'abbazia benedettina di Aversa; dal XIII secolo fu posseduto da diversi feudatari. Nel 1349 fu teatro di uno scontro fra esercito filoangiono e quello filoungherese, nel quadro degli scontri per la successione al regno di Napoli. Nel 1526 venne distrutto durante lo scontro tra francesi e spagnoli che si contendevano il possesso dell'Italia meridionale.

Dell'antico casale si conserva la struttura perimetrale realizzata a secco, una costruzione a due livelli con due torri a base rettangolare, la corte con la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e, all'esterno, la chiesa di San Felice in Balsignano.

Modugno

 

 

La chiesa di Santa Maria di Costantinopoli risale al XIV secolo ed è formata da due costruzioni affiancate di base rettangolare, con volta a botte ogivale. Sono presenti degli affreschi di scuola senese molto deteriorati.

La chiesa di San Felice (erroneamente attribuita in passato a San Pietro) costituisce un meraviglioso esempio dell'arte romanico-pugliese dell'XI secolo. Fonde elementi architettonici d'oltralpe, bizantini ed arabi: ha pianta a croce e cupola a tamburo ottagonale.

Nella stessa zona negli anni novanta sono stati rinvenuti 10.000 reperti che mostrano l'esistenza di un insediamento neolitico del VI-V millennio a.C.; il sito archeologico, che si estende per circa due ettari, è considerato il più antico della Bassa Murgia.

La Sala del Sedile dei nobili, situato nella piazza omonima è il palazzo che meglio rappresenta la città di Modugno. Nel XVIII secolo è stato aggiunto al palazzo un campanile, dotato di merlatura alla guelfa, che ospita l'orologio e 2 campane.

Villa Comunale di Piazza Garibaldi; La Villa comunale di Modugno si trova a ridosso del centro storico e occupa un’area di circa 12 mila metri quadrati.
 
Il giardino ha forma rettangolare ed è caratterizzato da un impianto all’italiana, con vaste aiuole geometriche delimitate da siepi di viburno. Viali mistilinei lo attraversano, costeggiati da panchine in legno e ferro e due piccole fontane di ghisa.

Modugno

 

Il Cisternone è un simbolo della villa: l’antica cisterna pubblica per l’acqua è racchiusa tra quattro pozzi ottagonali. Il Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1960, si trova in uno spiazzo circolare insieme a due pali alzabandiera.
 
La villa era un tempo chiamata “Votàno”, vale a dire “spazio vuoto”. Un importante intervento di ristrutturazione è stato attuato nel 2000, con sistemazione di alberi di palma e nuove varietà arboree e l’installazione di un teatro all’aperto.

Il nome Isola di Sant’Andrea potrebbe trarre in inganno e far pensare che stiamo parlando di un isolotto. In realtà è il nome che è stato assegnato alla parte più antica del paese, quella che oggi è considerata il vecchio centro storico. Qui troviamo tutte le chiese più antiche di Molfetta, compreso il Duomo di San Corrado. Nei pressi delle antiche mura troviamo la Cattedrale dell’Assunta e poco più distante la Chiesa del Purgatorio.

Molfetta

 

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)


 


Il "Calvario", un tempietto gotico in pietra calcarea, costruito nel 1856 su progetto dell'architetto De Judicibus. Esso si erge a tre livelli su pianta ottagonale, con ciascun piano coronato da una selva di cuspidi e pinnacoli. Alto 20 metri, possiede una guglia sommitale che desta ammirazione e lo rende unico per davvero rispetto agli altri tempietti ad analoga destinazione presenti nei comuni limitrofi, sia per la soluzione scenografica che per la sua leggiadria strutturale.

Molfetta

 

Ricordiamo anche una uscita storica dei Cinque Misteri, fuori dal periodo pasquale, nel Dicembre del 1855, nel clima della missione dei Padri Redentoristi (Liguorini). In quell'occasione le Statue furono portate in processione dalla Chiesa di Santo Stefano fino ad un rilievo situato accanto la Chiesa di S. Bernardino (rilievo dove nel 1956 sarà costruito l'attuale Calvario) dove furono apposte 5 grandi Croci e grandi pietre portate lungo il percorso, così come scritto da Giacinto Poli. Da quel momento furono avviati i lavori di costruzione del tempietto gotico, monumento di Fede, ovvero il Calvario.

Nel 1927 furono piantati degli alberi ornamentali nello spazio di terreno del Calvario.

Le strutture religiose in paese sono davvero tante. Oltre al già citato Duomo di San Corrado ed alla Cattedrale di Santa Maria Assunta si consiglia di visitare la Chiesa della Santissima Trinità, la Chiesa di San Domenico, la Chiesa di San Gennaro e la Chiesa di Sant’Andrea Apostolo.

Molfetta

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Per chi ama gli antichi palazzi, i così detti palazzi storici, consigliamo di visitare il Palazzo Giovene ed il Palazzo Cavalletti.

Molfetta

 

Museo Diocesano Molfetta 

 

Via Entica della Chiesa, Molfetta

Telefono: (+39) 348 4113699

 

(Nella Sezione Musei)

Museo Civico Archeologico del Pulo

 

Via Mayer, Molfetta

Telefono: (+39) 080.8853040
                   (+39) 080 3388067

E-Mail:

contatto@museocivicoarcheologicodelpulo.it

 

(Nella Sezione Musei)

Raccolta Civica d'Arte Contemporanea

 

Piazza Municipio c/o Palazzo Giovene, Molfetta

Telefono: (+39) 340 6275392

 

(Nella Sezione Musei)

 

Secondo alcuni Monopoli deriva da Minopoli toponimo che rimanda a Minosse, re dei cretesi che avrebbero fondato la città. La tradizione più certa fa risalire il nome all'etimo greco MONOS POLIS, città unica, singolare, poichè, tra i centri limitrofi, Mono-poli fu la prima a convertirsi al cristianesimo. 
Dalle scoperte fatte è stata accertata la presenza umana nel territorio dall’età Paleolitica come testimoniano reperti ritrovati nella Grotta delle Mura nei pressi di Cala Porto Rosso. 
Dal VII sec. con la dominazione longobarda e a partire dal 663, con quella bizantina, inizia l’ascesa di Monopoli che diviene importante emporium e sede di fiorenti commerci marittimi.
È dal 1049 l’inizio della dominazione normanna. Intensificati i rapporti commerciali con Genova,Venezia ed Amalfi, avviate importanti opere difensive, insabbiato l’antico porto e costruito uno più grande, la città acquistò una grande importanza tra i porti dell’Adriatico. Gli Svevi e Federico II subentrarono ai Normanni dal 1220 al 1248. Monopoli conserverà il titolo di città demaniale anche sotto la dinastia angioina e aragonese. A partire dal 1495 Monopoli venne conquistata dai Veneziani che lasciarono numerose impronte nel campo della cultura e del commercio. Ma gli spagnoli, lungi dall’essere domati, si riaffacciarono spesso sulla città e, in seguito ad alterne vicende, la conquisteranno definitivamente nel 1530 anno in cui Monopoli fu venduta da Carlo V, a titolo di baronia, a Pietro Faraone di Messina. 
È del 18 aprile di quello stesso anno l’evento glorioso del riscatto quando i cittadini, facendo a gara, pagarono con anelli, ori e collane al fine di conservare alla città il titolo di città demaniale non asservita ad alcuna nobiltà. Con gli spagnoli, intanto, la città fu fortificata con mura dicinta. È di questo secolo la costruzione del Castello di Carlo V. Il periodo del malgoverno spagnolo, noto dalle pagine di storia, riguardò anche Monopoli.
Nel 1713 subentrò la dominazione austriaca che duro&grave fino al 1734 quando i Borboni conquistarono il Regno di Napoli. 
Il 16 febbraio 1796, con un decreto del Re di Napoli fu approvata la costruzione della nuova città extra moenia, secondo canoni murattiani.
Agli inizi del sec. XIX fu occupata dai Francesi. Dal punto di vista culturale %egrave da segnalare la presenza del circolo letterario che prese il nome di Accademia dei Venturieri, rite-nuta una colonia di Arcadia. Tornati i Borboni fino all’unità d’Italia, la città aderì al Piemonte con voto plebiscitario.
Monopoli nel 1972 ricevette il titolo di Citta&grave e la Medaglia d’argento al merito civile per il salvataggio recato dai cittadini ai naufraghi della nave greca "Heleanna" al largo delle coste adriatiche.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI MONOPOLI:

Telefono: (+39) 080 4140267

Mure di Cinta.

L’abbattimento del castello, durante la rivolta popolare avvenuta sul finire del ‘400, contribuì ad accentuare la debolezza delle posizioni difensive di Monopoli. La svolta, però, si ebbe dopo la conquista della città da parte degli Spagnoli, nel febbraio del 1530. Infatti venne approntato, nell’Italia Meridionale, un piano strategico finalizzato alla costruzione di fortezze, promosso direttamente da Carlo V. Nel 1536 il Vicerè di Napoli, Pedro Alvarez de Toledo (1532 – 53) diede incarico all’ingegnere Giovanni Maria Buzzocarino di provvedere alle fortificazioni delle città di “Calabria, Terra d’Otranto et Bari et Capitanata”. Nell’ambito di questa politica, nell’ottobre del 1544, don Pedro concesse che la rata del “donativo” di 600.000 ducati, dovuta alla Corona di Spagna dall’Università di Monopoli, fosse stornata per il restauro delle fortificazioni cittadine, praticamente distrutte dal lato terra durante l’assedio del 1529. In un solo anno, pertanto, si procedette all’appalto e al completamento dei lavori di restauro e ristrutturazione dell’intera cinta muraria. Il nuovo sistema di fortificazioni apparve ben progettato e aggiornato sulla base della tecnologie dell’epoca, ma privo, ancora di un castello. Nel 1547 vi era solo un “baluardo”, costituito da una torre dell’antica cinta, resti di una torre di epoca romana e del monastero e della chiesa di s. Nicola in Pinna del X secolo. Agglomerato, questo, che costituirà il nucleo dell’attuale Castello.

Monopoli

 

Verso la fine del ‘500, vennero apportate modifiche all’impianto murario, con l’apertura di una nuova porta (Porta Nuova), e la chiusura dell’antica Porta Concili. A partire dal 1660, infine, sempre per ciò che riguarda le strutture difensive, la cortina della Porta Vecchia venne completamente ristrutturata fino al torrione, eliminando l’ingombrante terrapieno.


Oggi ben poco rimane delle mura di cinta di epoca spagnola, rintracciabili tra Cala Porta Vecchia e via Papacenere e san Vito, costeggiando le quali, e passando per Largo s. Salvatore, si arriva ai resti delle mura di santa Maria ed al Castello di Carlo V.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La piazza principale della città di Monopoli è Piazza Vittorio Emanuele II, comunemente chiamata “Borgo”, nata  nel 1796 grazie all’approvazione del Re di Napoli, fu costruita seguendo il progetto dell’ architetto De Simone. 
Il "Borgo" venne utilizzato come luogo d’ incontro e di vita della città. Nel corso del XIX secolo, urbanisticamente si diffusero gli impianti a scacchiera che servivano ad unire la parte più antica della città con la nuova e il borgo ne è un grande esempio. 

I suoi circa 18.000 mq ne fanno una delle piazze più belle e grandi della Puglia. L'area è equivalente a sei isolati dell' impianto urbano con una geometria che è quella, semplice ed astratta, di un grande rettangolo tagliato dal prolungamento del "corso" che dà origine a due rettangoli più piccoli. 

Durante il ventennio fascista furono costruiti due monumenti. Una delle due piazze ospita quello ai Caduti, inaugurato il 24 maggio 1928 in onore dei 300 caduti monopolitani della Prima Guerra Mondiale, realizzato dall'artista Edgardo Simone da Brindisi. Ai piedi di un colossale legionario con una spada sguainata in una mano e la vittoria alata nell’altra, vi è una madre che benedice il figlio che va in guerra e un’altra donna che conforta una vedova e un orfano di un soldato caduto. La prima versione della statua del combattente cadde durante la sistemazione e fu ricostruita dallo scultore Angelo Saponara. Attorno vi è la catena recuperata dall’ancora della corazzata “Benedetto Brin”.

Monopoli

 

Dall'altro lato, vi è  la fontana, costruita negli anni '30 seguendo uno dei progetti di F. Lacitignola. Nel 2011 venne riedificata per preservare il verde circostante e migliorare alcuni aspetti, tra cui l'illuminazione e la pavimentazione.

Gli elementi più importanti della piazza sono i lecci, alti 4-5 metri, situati lungo il perimetro di essa e piantati nel 1893.

Nella piazza sono presenti dei rifugi antiaerei, resi recentemente visitabili al pubblico. Le gallerie sotterranee fungevano da rifugio durante i bombardamenti inglesi nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

 


La storia del Porto di Monopoli si perde nella notte dei tempi, e si può affermare che è la storia della città di Monopoli.

Intorno al porto si insediarono gli abitanti della zona che abitavano grotte naturali e grotte scavate e che avevano il nome di Pediculi.  

Numerosi sono i ritrovamenti di tombe messapiche databili 1500 A. C.  Poco più a nord e propriamente nella attuale zona Masseria Spina/Torre Dorta vi era un altro  insediamento al tempo dei Romani chiamato Dertum ed era una stazione postale sulla via Appia/Traiana per Brindisi; l'insediamento era prospiciente le Cale dei Monaci di Susca e Pantano.  Con la caduta dell'impero romano d'occidente gli abitanti dei due insediamenti si riunirono in un'unica città che chiamarono Monopoli.  Successivamente la città si arricchì di una parte degli abitanti di Egnatia, ormai in rovina.

L'esame della costa, da Egnatia a Torre Incina, ci indica che alcune cale sono state usate fino al secolo XIX come attracchi sicuri, perfettamente ridossati dai venti, eccezion fatta per il greco ed il greco-levante.

La Cala del porto antico (“il porto scomparso”), era l‘unica protetta dai venti ed aveva un bacino naturale importante, superiore a quello artificiale di Egnatia.  Sembra fuori di dubbio che questo bacino protetto fu l'elemento generatore della Monopoli urbana. 

Nel 1049  iniziò l'insabbiamento del porto per ordine del normanno Toute-Bone, preoccupato di difendere meglio la città da un attacco della potente flotta bizantina.  Scelta che costrinse la città ad adattarsi ad uno scalo marittimo limitato e pericoloso: da porto vero e proprio decadde a  rada malamente ridossata, tanto da meritarsi il nome di "Porto Aspro"'

Il porto scomparso era  un approdo sicuro e lo testimonia la splendida chiesa di S. Maria degli Amalfitani;  costruita per  devozione di alcuni marinai amalfitani rìfugiatisì per scampare ad una tempesta.  In realtà il porto era costituito da un primo bacino ampiamente protetto al quale seguiva un lungo canale navigabile che si addentrava sino all'attuale Palazzo Vescovile.   lo dice anche l'arrivo miracoloso della zattera con il quadro della Madonna della Madia il 16 dicembre del 1117.

Gli abitanti di Monopoli erano marinai ma anche proprietari delle imbarcazioni. Gli scambi commerciali con tutto il bacino mediterraneo sono esistiti da sempre.  Uno dei marinai dell'impresa della traslazíone Nicolaiana era un monopolitano.  Una nave fu armata per la battaglia di Lepanto.  I commerci riguardavano l'esportazione via mare dei prodotti del ricco e vasto territorio (grano, mandorle, ciliegie, olio di oliva) flno agli anni cinquanta. Monopoli e il suo territorio non è mai appartenuta ad alcun feudo. Ha subito, come tutto il meridione, il dominio dei vari re e vicere che si sono alternati nel corso dei secoli, ed anche per un breve periodo fu soggetta a Venezia (primo cinquantennio del 1500).

Quando i venti non permettevano altri approdi si usavano le due cale di S.Stefano, tanto che verso le fine del 1700 il porto di Monopoli presso il Re di Napoli fu rappresentato dalla Cala a sud del Castello di S. Stefano.

Monopoli

Il problema di avere un porto sicuro ed adeguato era molto sentito dai monopolitani e nella prima metà del 1800 tentarono invano di ottenere la costruzione del porto a spese dello Stato. Non ci fu verso di ottenere un finanziamento fino a  dopo l'unità. Sicchè tutte le opere portuali realizzate a Monopoli fino alla 2^ guerra mondiale (durante un secolo intero) furono finanziate dalle casse cittadine. Il progetto del porto fu dell'Ing. Lauria del Genio Civile del Regno di Napoli, successivamente passato a quello del Regno d'Italia. I lavori ebbero inizio nel 1836 e furono completati nel 1864.  Il progetto vennne ripreso dall'Ing.Lamberti succeduto al Lauria deceduto.  Nel frattempo la municipalità già da qualche anno aveva accantonato la somma di 170.000 Lire preventivate per la realizzazione dell'opera.  Nel 1866 venne aggiudicato l'appalto per Lire 460. 000 alla Ditta Fiocca di Napoli ed il 16 aprile 1867 venne posta la prima pietra per la costruzione del molo in prosecuzione del Castello e della banchina della Solfatara. Nella stessa data la Giunta intitolò l'opera alla Principessa Margherita di Savoia.  Contemporaneamente vennero richiesti 40 "cannoni vecchi di ferraccio da utilizzare come bitte: se ne ottennnero soltanto 25.

Nel maggio del 1869 il Comune di Monopoli, che non sapeva come reperire i fondi per ultimare i lavori del porto, si trovò improvvisamente a doversi accollare una spesa di ben Lire 51. 000 quale quota spettante per gli oneri che la Provincia ed i Comuni dovevano sobbarcarsi per la costruzione del porto di Bari.

Quindì nel 1875 il molo del Castello era ancora da completare.

I lavori ripresero con la sostituzione dell'impresa Fiocca con l'impresa Pinto, che nel frattempo si era dichiarata disponibile ad anticipare la somma per l'intera opera al tasso annuo dell'8 per cento.  Nello stesso anno l'impresa Pinto cedeva il credito derivante dai lavori per il Municipio di Monopoli e Cav. Giuseppe Diana di Bari.  Soltanto nel 1877 si potè sapere che per ilporto si era sopportata una spesa di ben 1.000.000 di Lire!  E senza che peraltro fosse stata completatata la banchina della Solfatara. Sicchè gli esportatori erano costretti o ad astenersi da fare commerci oppure a spedire le merci a Bari o a Brindisi, incontrando così non poche spese.

I lavori procedettero sempre tra mille difficoltà, essenzialmente di ordine economico. Nel 1903 fu posta la prima pietra della diga di Tramontana, che fu completata nel 1922.

Nel 1905 fu collaudato il Molo Margherita.

Il resto è storia attuale.

Nella metà del XIX secolo erano presenti a Monopoli molte navi da carico i cui proprietari ed armatori furono anche monopolitani. 

 

Le mummie di Monopoli si trovano in una  cappella interna alla Chiesa di S. Maria del Suffragio, a brevissima distanza dalla Cattedrale della Madonna della Madia. Forse sono poco note e sicuramente meno conosciute di quelle della non lontana Oria (BR), tuttavia tra di esse è presente l'unica mummia-bambina della Puglia. La chiesa è nota anche come quella delle Anime del Purgatorio, e venne realizzata nel 1687 divenendo nel tempo la sede della Confraternita di Nostra Signora del Suffragio, già esistente in città dal 1633 (era stata fondata dai Canonici della Cattedrale), e  tutt’oggi in attività. L’esterno del monumento mostra una facciata barocca, con elementi che lasciano capire il culto che vi si praticava all’interno: quello della morte. Teschi e ossa incrociate occhieggiano tra festoni e cartigli allusivi, mentre sul portale ligneo del 1736  sono scolpiti due scheletri trionfanti, attorniati dai simboli delle professioni più svariate, disposti in ordine gerarchico dal basso verso l’alto. I più bassi corrispondono ai lavori più umili e mano a mano si sale ci sono corone regali e papali. Tutti resi uguali, comunque, dalla “sorella morte”, che annulla i dislivelli sociali. Un monito per ciascun uomo vivente sulla terra.

Monopoli

 

La cappella delle mummie è visibile da una finestra anche stando all’esterno, ma è ignorata dalla maggioranza dei passanti, un po’ per scaramanzia un po’ per timore. E la finestra, sembra fatto apposta, rimane sempre aperta, almeno così l’abbiamo sempre trovata sia di mattina presto che di pomeriggio che alla sera. Un alone di mistero e leggenda avvolge questo luogo: alcuni abitanti sostengono di aver visto ombre sia dentro che fuori dalla chiesa e la cosa deve aver fatto rabbrividire molti, al punto che evitavano di passare lungo l’attuale Via Padre Nicodemo Argento, se non per necessità improrogabili!
Entrando in chiesa, si inquadra immediatamente il superbo altare barocco, molto bello. Subito si ritrova il tema del “memento mori” e sicuramente è la Cappella a destra che desta la maggiore curiosità, oltre che un senso di rispetto per quei corpi esposti nelle vetrine, in piedi e vestiti con gli abiti della Confraternita. Sulla parete di fronte si trovano due teche, una contenente 4 mummie e l’altra due. Di fronte a quest’ultima vetrina, se ne trova un’ennesima, con altre due mummie, otto in tutto ma c’è anche una teca molto più piccola, che conserva il corpicino mummificato di Plautilla Indelli, una bambina morta a soli due anni, di cui diremo tra poco. Chi sono questi personaggi? Basta leggere i cartigli che sono apposti ai piedi di ciascuno di essi per appurarlo. Tutti riportano nome e cognome e data di morte, soltanto tre la funzione rivestita. Erano tutti membri della Confraternita di N.S. del Suffragio.

 

La storia continua sul sito… https://www.duepassinelmistero2.com/studi-e-ricerche/arte/italia/puglia/le-mummie-di-monopoli-ba/

Monopoli

La masserie fortificate erano e rimangono la piena espressione della cultura contadina di Monopoli e della Puglia in generale. La Masseria è un insediamento rurale tipico del XVI-XVII secolo a carattere agricolo e pastorale.
Eppure al di là di questo aspetto legato all’agricoltura e alla pastorizia le masserie nacquero senza dubbio a scopo difensivo; alla fine del Quattrocento infatti, dopo i ripetuti e violenti attacchi da parte dei Turchi alla città di Otranto, il re Carlo V decise di innalzare delle barriere per riuscire a difendersi, questo metodo difensivo venne attuato attraverso una cintura di torri di avvistamento e difesa, alcune delle quali furono costruite ex novo mentre, allo stesso tempo, vennero rafforzati anche i castelli e i torrioni già presenti (edificati precedentemente dagli Angioini).

Queste torri sono la base intorno alla quale sono andate sviluppandosi le Masserie, che erano situate in piena campagna, isolate dai centri urbani, in modo da difendere nel miglior modo possibile gli abitanti della città stessa. Queste strutture pur se costruite a scopo difensivo e, pertanto, funzionale furono edificate da artigiani e muratori di grande maestria, che rispettarono uno stile architettonico ed estetico ben preciso, lavorando la pietra e il tufo in maniera eccellente. L’equilibrio tra funzionalità e gusto, tra uomo e natura è infatti, evidente anche oggi che le Masserie hanno abbandonato il loro ruolo difensivo vestendo, spesso, i panni di strutture ricettive, completamente immerse nel verde e in grado di offrire una vacanza che è una riscoperta non solo dei sapori genuini ma anche del pieno contatto con la natura.

(Nella Sezione Masserie)

Museo Diocesano di Monopoli

 

Via Cattedrale, 26 Monopoli

Telefono: (+39) 080 748002

E-Mail: info@museodiocesanomonopoli.it

 

(Nella Sezione Musei)

 

 

 

Museo dell'Artiglieria all'aperto

Via Cadorna e lungomare Santa Maria Monopoli

Telefono: (+39) 0809303014

 

(Nella Sezione Musei)

 

 Museo di San Leonardo

 

Via San Leonardo Monopoli

Telefono: (+39) 347 8263696

(+39) 380 1591905

 

(Nella Sezione Musei)

 

 N

Sulle origini di Noci, per mancanza di documenti e fonti attendibili, non è stata fatta ancora chiarezza completa. Secondo studi recenti, molto probabilmente l'origine del paese è da ascriversi ai tempi della dominazione normanna.

Allo stato attuale delle ricerche il primo documento riguardante Noci è dell'arcivescovo Rainaldo di Bari che nel gennaio del 1180 riconosce la chiesa di Santa Maria delle Noci tra quelle sottoposte alla giurisdizione del vescovo di Conversano Cafisio.

Un altro documento, lo "Statutum de reparatione castrorum", risulta che nel 1240, per ordine dell'imperatore Federico II, gli uomini di Noci sono tenuti a contribuire alle spese per la manutenzione del castello di Ruvo. Dalle Cedole Angioine, registri di tassazione, si ricava che soltanto dal 1340 il Casale Sancte Marie de Nucibus inizia ad essere tassato.

Nell'aprile del 1407 re Ladislao dichiara i Nocesi liberi dai vincoli feudali come premio per la loro fedeltà, non avendo seguito la ribelle contessa di Conversano Margherita del Balzo. Nel 1440 però la Terra delle Noci è già rivendicata dal principe di Taranto Giovanni Antonio Orsino che, riavutola, la cede in dote nel 1456 alla figlia Caterina, sposa di Giulio Antonio Acquaviva. Da allora Noci rimane, fino alla soppressione della feudalità avvenuta nel 1806, sotto la giurisdizione della Contea di Conversano.

La storia di Noci è costellata di liti per il possesso e l'uso del territorio. Nel 1512 il barone di Mottola Giovanni Tommaso Galateù conferma ai nocesi gli "usi civici" del territorio di Mottola, già da loro goduti da tempo immemorabile, ed esclude la "difesa del frutto pendente" (la raccolta delle ghiande e pascolo riservato ai maiali dal 29 settembre al 13 dicembre) da parte dei Mottolesi per tre miglia di raggio dalle mura di Noci. Il cosiddetto territorio delle tre miglia, sebbene giuridicamente appartenga al demanio mottolese, assume sempre più importanza per la vita della comunità nocese. Dopo alterne vicende si giunge all'Istrumento, redatto in Napoli il 30 dicembre 1739 tra il duca di Martina, il conte di Conversano, l'Università di Noci, quella di Mottola ed altre popolazioni, con cui Noci acquisisce un'abbondante porzione del vastissimo territorio di Mottola.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI NOCI:

Telefono: (+39) 080 4948200
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Noci

Poco fuori dal paese vi è la Chiesa Rupestre di Barsento. Si tratta di una chiesa abbaziale che, secondo la leggenda, fu costruita per merito di papa Gregorio Magno per i monaci di sant’Equizio abate. Al suo interno sono presenti diversi elementi del periodo romanico. Il luogo si trova in collina a 440 metri sul livello del mare, a pochissimi km dal centro abitato.

Chi ama vedere la storia del paese dal punto di vista religioso ha la possibilità di ammirare, questa volta presso il centro abitato di Noci, la Chiesa dei Cappuccini e la Chiesa di Santa Maria della Natività.

Ad un km dal centro abitato troviamo un piccolo santuario dedicato alla Madonna della Croce. All’interno è presente un bellissimo affresco del XV° secolo dipinto da un autore rimasto purtroppo ignoto.

Spostandoci, ma di poco, a soli 5 km dal centro del paese troviamo un altro luogo di culto di cui ci si potrebbe innamorare: il Monastero della Madonna della Scala. Il monastero è in realtà di recente costruzione, parliamo infatti del 1930, ma al suo interno vi è una chiesa romanica del XII° secolo.

 

(Nella Sezione Luoghi di Culto)

Uno dei simboli del paese di Noci è la Torre dell’orologio. I lavori terminarono nei primi anni dell’Ottocento ed è situata all’interno del vecchio ed affascinante Centro storico.

Noci

 

(Nella Sezione Palazzi)

A Noci, ogni anno arrivano turisti da tutta Italia, e non solo, per visitare la famosissima sagra chiamata Bacco delle Gnostre. I turisti spesso credono, erroneamente, che le Gnostre siano un qualcosa che appartenga al genere gastronomico. Non è così, le Gnostre sono dei chiostri, cioè dei piccoli spazi presenti nel Centro Storico di Noci, spazi che si alternano tra una piccola via e l’altra. Si tratta quindi di piccoli spazi chiusi con un unico sbocco sulla via principale.

Noci

 

 

Noicattaro

Il centro storico del paese sorge in prossimità della diramazione della Via Traiana che congiungeva Brindisi e Benevento, proseguendo poi sino a Roma sul tracciato della Via Appia. Forse era la Via Minucia o, secondo l'interpretazione di alcuni autori, la mulattiera ("mulis vectabilis via") citata nelle opere di StraboneOrazio e Cicerone; un'antica via peuceta che in epoca romana finì per coincidere con il tratto interno della via Traiana, quella diramazione che dopo la biforcazione di Bitonto si dirigeva verso Egnazia e Brindisi attraversando il territorio degli attuali centri di ModugnoCeglie del CampoCapurso, Noicattaro, Rutigliano e Conversano.

Il tratto litoraneo della Via Traiana lambiva altri insediamenti nei luoghi dove oggi sorge Torre a Mare.

Nella fascia costiera del territorio di Noicattaro sono state rinvenute tracce della presenza umana risalenti in alcuni casi al Neolitico; invece nell'entroterra, verosimilmente lungo il tracciato dell'antica viabilità, sono state scoperte necropoli risalenti ad epoca preromana, fra le quali la sepoltura di un guerriero databile intorno al VI secolo a.C.; il prezioso corredo funerario scoperto è conservato nel museo archeologico di Bari.

Il paese attuale nasce tra l'XI e il XII secolo come piccolo villaggio ("Locus Noa") cinto da mura e protetto da una torre feudale e da una chiesa, attorno alla quale si disponevano le abitazioni.

Le prime tracce di "Noa" negli antichi documenti risalgono al X secolo ed è difficile pensare che il nuovo villaggio non abbia fornito rifugio agli abitanti degli insediamenti preesistenti sulla costa ed anche della vicinissima "Azetium", tutti distrutti dai predoni saraceni dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Per quanto Azetium sia ritenuta la progenitrice dell'attuale comune di Rutigliano, essa sorgeva in prossimità di Noicattaro, in contrada Castiello, sul ciglio del torrente Lama Giotta, ed era contornata da una possente cinta muraria circolare le cui tracce si distinguono tuttora nelle mappe satellitari.

È possibile rintracciare testimonianze riguardo al primo Signore di Noa, Goffredo di Conversano, un normanno nipote di Roberto il GuiscardoCornelio de Vulcano è il primo conte di Noa. Nel 1592 il feudo fu acquistato dai Carafa, ramo della Stadera, che mantennero il titolo di duchi di Noja fino alle leggi eversive della feudalità del 1806. Il titolo nominale di conte di Noja passò alla famiglia spagnola Pérez Navarrete e alla discendente famiglia Longo de Bellis di Napoli.

Nei secoli, forse per un influsso spagnolo, andò consolidandosi la tradizione della penitenza e della flagellazione quaresimale, elementi tuttora vivi nei riti della Settimana Santa noiana. Il 23 novembre del 1815 moriva un giardiniere chiamato Liborio Didonna: si trattava della prima vittima di una devastante epidemia di peste bubbonica che sarebbe passata alla storia come l'ultimo, grande episodio dell'intera Europa occidentale. L'intero paese fu isolato dai limitrofi mediante lo scavo di un enorme solco al di là dei suoi confini. Alla fine del contagio si contarono quasi 800 morti su una popolazione di 5000 abitanti.

In segno di rinnovamento dopo l'Unità d'Italia e per evitare l'omonimia con un comune lucano (che a sua volta mutò il proprio poleonimo in Noepoli), il paese cambiò nome (23 ottobre 1862) da Noja (l'antica Noa) in Noicattaro. In quest'occasione una delibera del Consiglio Comunale, sulla base della lontana e accreditata tradizione orale, ricorda la terra primigenia sul mare, la leggendaria Cattaro pugliese, fondendo nel neologismo i due nomi di Noja e Cattaro.

Resta ancora molto vivo nei cittadini il ricordo del vecchio toponimo del paese: infatti nel vernacolo locale Noicattaro è "Nào" e gli abitanti si dicono "Nojani".

Nel 1934 la fascia costiera del territorio del comune di Noicattaro, corrispondente all'attuale Torre a Mare, venne annessa al comune di Bari.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI NOICATTARO:

Telefono: (+39) 080 4784111 

Noicattaro

Abbracciata dalla lama di San Vincenzo e dalla lama Paradiso, Noicattaro sorge sul pendio degradante verso la costa dell’Adriatico, a 16 chilometri da Bari.
 
Caratterizzato da viuzze, abitazioni in pietra viva o tufo, scale esterne e camini in muratura, il centro antico è tutto raccolto intorno alla Collegiata di Santa Maria della Pace, la chiesa matrice edificata in stile romanico in epoca normanno-sveva, tra il XII e il XIII secolo. Ogni tanto l’intrico di stradine si apre in piccole piazze dove non passano inosservate le innumerevoli edicole votive.

Risultati immagini per piazza Umberto I noicattaroPiazza Umberto I é la più importante piazza di Noicattaro.

 

La sua attuale conformazione è l’esito delle operazioni di riqualificazione urbana dei primi anni’70 che portarono alla  demolizione di un intero isolato abitativo, modificando in maniera profonda il rapporto tra gli spazi pubblici urbani e l’edificato e definendo un nuovo limite del centro antico.

Le fonti storiche ed iconografiche, testimoniano che l’antica cittadina di Noja era circondata da una doppia cinta muraria, formata da una muraglia interna, posta ai margini nucleo antico ed una esterna, distante circa 22,20 metri dalla precedente. Tra le due muraglie si disponeva il fossato.

Il successivo sviluppo, riportato nel rilievo del primo catasto urbano del 1875, ha visto la realizzazione di edifici sulle mura e l’innalzamento della quota nell’area dell’antico fossato per la realizzazione della piazza del Mercato, luogo che ha acquisito il ruolo centrale di piazza cittadina, attorno alla quale si disponevano i fronti del nucleo antico in opposizione a quelli Ottocenteschi con alcuni dei loro edifici più rappresentativi, come ad esempio la Torre dell’Orologio e la chiesa di Maria SS. Immacolata.

Questa configurazione urbana si è conservata fino al 1973, anno in cui ebbero inizio i lavori di demolizione che hanno cancellato parte del tessuto urbano che occupava la superficie attualmente libera di piazza Umberto I.

All’interno del complesso di edifici demoliti vi era anche una chiesa cinquecentesca con impianto a croce greca intitolata a Santa Maria del Soccorso, il cui portale di accesso andava presumibilmente a collocarsi in posizione frontale al Palazzo Ducale.

 

Noicattaro

 

Il progetto di rigenerazione urbana, elaborato nell’ambito dell’Azione 7.1.1 “Piani Integrati di Sviluppo urbano di città medio/grandi” del P.O.R. 2007-13, si è posto come obiettivo la riconfigurazione generale dell’ampia area urbana di piazza Umberto I, attraverso la rievocazione storico-critica degli elementi urbano-architettonici significativiche hanno caratterizzato le trasformazioni avvenute nel corso del tempo, al fine di restituire ai cittadini noiani uno spazio urbano fortemente qualificato e identitario, da vivere nel segno dalla storia.

Oggi possiamo leggere la storia della città passeggiando nell’antico vuoto del fossato, vedere i tracciati delle antiche mura, percepire il processo di sovrapposizione degli edifici più recenti sui resti delle mura originarie e comprendere il complesso rapporto di stradine e edifici storici che esisteva prima che venissero abbattuti nel 1973.

Sarà possibile “entrare” nuovamente nell’antica chiesa di Santa Maria del Soccorso, muoversi all’interno del suo impianto a croce greca e sedersi ai bordi del piccolo orto della chiesa dove sono stati piantati due piante di arancio selvatico.

Altre piante di arancio selvatico sono state inserite nella piazza mentre, lungo il tracciato originario del fossato, sono state inseriti 16 alberi di quercia, disposte a doppia fila, che danno ombra a panchine destinate alla sosta della gente e alla vita di relazione.

Il tracciato del fossato si sviluppa dalla chiesa della Immacolata Concezione fino a via Fossato e si candida a divenire il luogo del passeggio cittadino.

Il monumento ai caduti è stato spostato, ruotato e posto su un livello superiore rispetto a prima mentre sono stati eliminati il muretto e il dislivello tra le stradine prospicienti il nucleo antico della città e la piazza, in tale maniera la piazza diviene uno spazio continuo, aperto e disponibile ad un utilizzo più consono al suo ruolo urbano e alla sua importanza nella storia della città.

Risultati immagini per piazza Umberto I noicattaro

Castello

Sebbene l'originaria fisionomia del castello di Noja sia andata perduta con il frazionamento della proprietà e le pesanti manomissioni succedutesi, di esso sono visibili soprattutto il portale principale, su piazza Umberto, sovrastato dallo stemma araldico ducale  quadripartito che riporta le insegne delle famiglie Castriota-Skanderberg, Carafa, Pappacoda e Mendoza, e quello di accesso al fossato. Entrando nell'atrio a sinistra sorge l'edificio del corpo di guardia e a destra l'abitazione del castellano, che conserva alcuni affreschi e l'imboccatura dei cunicoli che consentivano l'abbandono dell'edificio in caso di pericolo.

Noicattaro

 

Il portale di fronte dà accesso a un atrio e allo scalone che conduce agli originari appartamenti ducali. Da qui si può raggiungere i resti di un bastione difensivo e un residuo dei giardini pensili. Alle spalle di questo edificio si trova l'antica torre normanna di Noja, ormai mozzata. Attorno al perimetro originario del castello sono visibili ampi tratti dell'imponente fossato di epoca normanna, sul quale si affacciano balconate dalle colonne scandite dallo stemma della famiglia Carafa.

 P

Poggiorsini, piccolo borgo della Puglia situato a 70 km da Bari, sorge tra le alte e calcaree Murge Baresi, all’interno del Parco nazionale dell’alta Murgia, e le valli dei torrenti Roviniero e Basentello, situati ai confini tra la Puglia e la Basilicata.

 

Le antiche origini di Poggiorsini risalgono sino al paleolitico antico come dimostrato dai numerosi reperti ritrovati sul territorio.

Durante il medioevo appartenne alla signoria degli Altavilla di Andria e, a partire dal 1197, venne donato in parte ai cavalieri Gerosolimitani di Malta e in parte cadde sotto il controllo dei cavalieri templari. Dal 1609 al 1910 divenne proprietà privata della famiglia Orsini che trasformò il borgo da insediamento rurale a centro urbano. Vennero edificate nuove infrastrutture necessarie per la comunità come le fondamenta della chiesa parrocchiale di Maria Santissima dei Sette Dolori (1726-1727), il casale e il palazzo ducale (1723-1727).

Nel 1810 Poggiorsini divenne frazione di Gravina fino al 1957 quando ottenne il titolo di Comune. Gemellato con diversi centri europei attraverso progetti pilota di sviluppo della cultura e del turismo, oggi viene considerato Comune d’Europa.

 

NUMERO COMUNE DI POGGIORSINI:

Telefono:  (+39) 080 323712

Il borgo di Poggiorsini custodisce nel suo territorio importanti reperti che documentano ancora oggi il suo passato come luogo strategico per il controllo dei transiti tra la Basilicata e la Puglia.

Nella località “Grottelline”, a tre chilometri da Poggiorsini, sorge un sito rupestre di notevole importanza risalente all’età medioevale. La presenza dell’uomo in questo lembo di terra è confermata dalla presenza di numerose grotte, che hanno dato il nome all’insediamento, che venivano utilizzate come dimore. Gli scavi hanno portato alla luce frammenti di ossidiana e resti di strutture che collocherebbero il sito addirittura nell’età neolitica.

Castello Del Garagnone

Il nome del sito, infatti, compare per la prima volta in un documento del 1149: si tratta di un atto notarile nel quale un tal Petro Guarannioni f. Amati riceve un beneficio da Nicola, figlio di Pietro da Corato. Nel 1174 l'esistenza del castello è confermata dalla presenza di un castellano di nome Ionatha. Sin dai primi  decenni del XIII secolo i documenti fanno intendere come il castello del Garagnone fosse una fortificazione che dominava un vasto territorio nel quale sorgevano altri tipi di costruzione, una torre detta di Maraldo citata nel 1192, e come l'intero insediamento venisse considerato già a fine XII secolo un importante possesso. Infatti sono del 1197 due documenti con i quali si attesta il passaggio della domus del Garagnone a grangia della casa barlettana dell'ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme. Sotto Federico II il Garagnone fu oggetto di importanti interventi dei quali si ha notizia soprattutto  nello Statutum de reparatione castrorum (1241-1246). Qui è attestato come la domus ospitaliera venisse restaurata o ricostruita con il contributo della stessa comunità residente e degli uomini  di Valenzano ed Auricarro, feudo quest'ultimo assegnato dall'imperatore svevo all'architetto cipriota Filippo Chinardo.
Un'importanza sempre crescente portò la domus del Garagnone a giocare un ruolo di primo piano all'interno dell'economia dell'Ordine degli Ospitalieri, ma anche delle politiche imperiali federiciane e di quelle regie degli Angioini. 
Saccheggiato già nel 1252 da Corrado IV come riporta M. Spinelli, il Garagnone fu al centro di una ribellione antiangioina a seguito della caduta di Corradino e per questo venne nuovamente saccheggiato nel 1268. Sorte analoga  nel 1357 quando il castello fu occupato e incendiato dal signore di Andria Francesco del Balzo.
Oltre al ruolo politico e di controllo del territorio il tenimento del Garagnone dall'età normanna a quella sveva aveva assunto una notevole importanza anche economica. Se dai primi documenti del XII e XIII secolo che lo riguardano è poco chiaro se questo possesso fosse circoscritto al solo castello o potesse estendersi anche ai territori circostanti, nei documenti riportati nei Registri della Cancelleria Angioina è evidente come potesse identificarsi come feudo, inserito nel 1270 in un elenco di terrae e loci del Giustizierato di Terra di Bari con al centro una comunità cittadina che si era stabilita all'interno delle mura e nel tenimentum esterno.

E' riportata la presenza di una universitas che attendeva a lavori di produzione agricola e che si organizzava con un sistema di abitazioni e ambienti di servizio che sorgevano all'interno di una cinta muraria, protetti dal castello stesso, come parrebbe confermato dall'elenco dei dazi ai quali la stessa comunità fu sottoposta in età angioina.
Un centro così organizzato non poteva rinunciare ad una chiesa puntualmente riportata dalle indagini documentarie di D. Vendola nelle Rationes decimarum.
In età angioina e aragonese il castello e l'intero territorio di pertinenza del Garagnone compare in molti documenti notarili;  e addirittura nel 1373 nell'inchiesta promossa da Papa Gregorio IX sugli Ospitalieri della diocesi di Trani, l'insediamento  è indicato come "grangia attiva dell'Ordine diretta da un tale Fra' Bisanzio, definito castellano e titolare della domus composta da un dominus Martino, cappellano, e da dieci uomini tra i quali figuravano un panettiere, un fornaio, due uomini di fatica, un acquaiolo ed un carrerius, che invece raccoglieva la legna,  mentre per la sorveglianza erano presenti due servientes".
Di certo il XIV secolo segna una inversione di tendenza ed il castrum  del Garagnone sembra pian piano decadere. Già nei rapporti dell'Inchiesta papale del 1373 si riscontra una comunità ridotta, ma comunque dedita ad attività agricole e rurali. E proprio lo sfruttamento del territorio, la produzione cerealicola e i pascoli, saranno al centro di vivaci interessi tra i conti di Gravina e Altamura, a cominciare da Francesco Orsini che intorno al 1420 si proclama conte di Gravina e del Garagnone. Dispute che continuarono sino al XVII secolo, quando il possedimento divenne proprietà privata di Ercole Grimaldi nel 1615, del principe di Cellamare dal 1643, di Giulia Gaudiosi dal 1696, di Giulia Nicastro dal 1705, di Tommaso Mazzacara nel 1710 e dei baroni Melodia dal 1860.
Nel frattempo il castrum doveva aver subito notevoli devastazioni che culminarono nel 1731 quando un terremoto distrusse quanto rimaneva dell'antico castello.

Il terremoto del Vulture del 1930 devastò il borgo e distrusse parte o intere strutture del paese come il palazzo Ducale che, seriamente compromesso, venne demolito nel 1934.

Poggiorsini

 

Polignano a Mare (Peghegnéne in dialetto barese), in Puglia, è il paese natale di Domenico Modugno. Sorge su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare Adriatico. Di notevole interesse naturalistico sono le sue grotte marine e storicamente importanti sono il centro storico e i resti della dominazione romana. Tra questi ultimi il ponte della via Traiana, tuttora percorribile, che attraversa Lama Monachile, una profonda insenatura immediatamente a ovest del centro storico, così chiamata perché in passato vi si è attestata la presenza della foca monaca.

Il paese ha una storia molto antica, come in tutta l'area del sud est barese, sono state rinvenute tracce di presenza umana nella frazione di Santa Barbara, risalenti al neolitico. Nel II millennio a.C., l'approdo degli Iapigi spinse gli abitanti dei villaggi a trasferirsi nella zona dell'attuale centro storico. Fiorente centro di traffici, fu per i Romani un'importante statio lungo la via che collegava Roma a Brindisi. Nel VI secolo, Polignano fu sotto la giurisdizione dell'Impero Bizantino di cui fu adottata la religione ortodossa. Con l'avvento dei Normanni, che dominarono fino al 1194, il prestigio del paese crebbe, grazie anche all'opera dei Benedettini, presenti con due monasteri. La dominazione angioina rese ancora più fitti i rapporti commerciali con altri centri costieri e molti uomini d'affari e mercanti, anche veneziani, elessero Polignano a loro dimora. Nel XVI secolo anche Polignano rientrerà sotto il dominio veneziano per vent'anni. Ancora oggi nel centro storico è presente il palazzo del Doge dove risiedeva il governatore veneziano. Durante la dominazione aragonese, le attività commerciali si svilupparono sotto il controllo di espertissimi mercanti veneziani. Furono erette opere di difesa del paese, ad iniziare dalla costa. Il paese fu più volte visitato da reali: nel 1797, re Ferdinando I delle Due Sicilie, accompagnato da sua moglie e da suo figlio, vi si fermò durante il viaggio per Lecce e, dopo 10 anni anche il re Giuseppe Bonaparte vi fu ricevuto con grandi feste. Abolita la feudalità, Gioacchino Murat volle visitare il Regno di Napoli, compresa Polignano, per potenziarne le capacità militari. Attualmente è un centro agricolo e artigianale.

 

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Polignano a Mare

La zona più interessante di Polignano è indubbiamente il suo piccolo centro storico, a cui si accede passando sotto un arco marchesale detto Arco della Porta. Ammetto di aver speso parte della mia giornata a Polignano girottolando per le viuzze del paese in cui si sente ancora l’eco di culture diverse come quella araba, bizantina, spagnola e normanna. Un mix di stili decorativi, colori e profumi che rendono Polignano a Mare un luogo perfetto in cui perdersi almeno per un paio d’ore. Una tavolozza di un pittore fatta di stradine, case bianche con balconi fioriti, mura, cortili e infine una balconata che aggiunge un tocco di azzurro.

Nel cuore di Polignano abbiamo un’altra protagonista, la poesia. I muri del centro storico sono infatti impregnati di poesie dipinte da qualcuno che ha scelto di firmarsi “Guido, il Flaneur”. Guido è barese, ma dal 1984 ha scelto di vivere a Polignano. Non posso dargli torto. Legge moltissimo e scrive altrettanto. È lui che ha portato i versi poetici di grandi poeti e scrittori, oltre ai suoi, sulle porte e le scale delle case di Polignano a Mare. In accordo con i proprietari degli edifici, ha regalato poesia a chiunque passasse ad ammirare il suo bel paese. Un’idea che ritengo romantica e geniale al tempo stesso. Le parole dipinte da Guido infatti accompagnano il visitatore e lo invitano costantemente a godere della meraviglia e della magia di Polignano a Mare.

 

Nel cuore del borgo antico, si trova piazza Vittorio Emanuele II, con il suo orologio ( si da ancora la corda tirando le funi). In piazza è ubicata anche l'antica Casa Parricchiale del 1596. Subito dopo c'è l'antica via Giudea (il ghetto degli ebrei) e la ex Cattedrale.
In essa sono custoditi pregievoli opere d'arte del Vivarini e di Stefano da Putignano, fra cui il "Presepe" (monumento nazionale) scolpito in carparo del '500.

 

Di origine medievale, il Palazzo dell'Orologio sorge in Piazza Vittorio Emanuele II, dove è presente anche la Cattedrale.
Un tempo sede dell'Università, questo edificio cui si accede varcando il cosiddetto Arco della Porta che, fino al XVIII secolo, rappresentava l'unica via di collegamento tra l'abitato e il territorio circostante e al quale si accedeva tramite un ponte levatoio.
La torre del Palazzo dell'Orologio ospitava una meridiana, oggi sostituita da un'autentica rarità: un orologio pubblico a funi del XIX secolo. Su di esso il fastigio che contiene, in una nicchia, la Statua di San Vito, patrono dei polignanesi. A svettare un campanile a vela.
Gli ambienti al piano terra erano un tempo destinati a deposito per vettovaglie e per l'olio mentre la parte sul retro adibita a carcere, come testimoniato dalla grata, ancora visibile in via Tanese, l'antica via Giudea che immetteva nel ghetto ebraico.
La facciata presenta ornamenti scultorei in stile rococòsulle finestre che nascondono l'origine medievale del palazzo. Tra le due finestre del primo piano è collocato lo stemma comunale della città.

 

Per chi ama le testimonianze del passato, specie quelle archeologiche, una tappa è d'obbligo ai resti delle antiche mura (in cui possiamo ancora osservare le torri difensive) che circondano Piazza Garibaldi.

L' Arco Marchesale, conosciuto anche come Porta Grande, deve la sua creazione alle ristrutturazioni della cinta muraria effettuate intorno all'anno 1530 diventando quindi sino al 1780 unica via di accesso al borgo e crocevia di rilevanza notevole nella struttura urbanistica di Polignano. La rete difensiva creata a protezione del paese, aveva proprio nei pressi della Porta, il suo fulcro principale, mirabile esempio di come un centro medievale progettava il proprio complesso di fortificazioni. Un ponte levatoio collocato fuori dalla Porta, i cui fori che azionavano le catene sono ancora visibili sulla Porta stessa, permetteva di accedere al borgo superando un fossato in parte naturale quale era la lama. Erano presenti poi due posti di guardia, due porte di cui sono ancora visibili oggi i gradini e i cardini, e una grata in ferro di cui rimane traccia attraverso le guide in cui scorreva, che separava le due porte citate. Nelle volte a botte erano presenti tre caditoie, oggi murate, attraverso le quali veniva versato olio bollente o venivano scagliate pietre sugli assalitori. Sulla volta a botte dell' arco Marchesale è visibile una tela rappresentante la crocifissione di Cristo risalente alla fine del cinquecento ma di cui non si conosce l'autore. L'arco Marchesale è sormontato da una chiesetta, costruita verso la metà del ‘500 e dedicata alla Madonna. In seguito all'ammodernamento settecentesco la chiesa prese il nome della Confraternita di S. Giuseppe. Oggi l'arco Marchesale divide il borgo nuovo da quello antico, offrendo al visitatore una porta aperta al cuore del centro medievale di Polignano con tutte le bellezze ancora custodite come in una fortezza mai violata.

 Lama Monachile è il luogo più conosciuto in assoluto di Polignano. L’immagine di questa caletta l’avrete vista moltissime volte nelle bacheche di Facebook o su Instagram, essendo infatti un gettonatissimo sfondo per selfie da turista o scatti degni del più fico influencer o fashion blogger. Due pareti di roccia a strapiombo e una piccola insenatura nel mezzo. Il nome la dice lunga. Infatti pare che “monachile” derivi dal fatto che in origine qui si trovassero numerose foche monache.

Si trova lungo l’antica via Traiana, costruita dall’imperatore Traiano per collegare Roma e Brindisi, e fu utilizzata in epoca passata come porto di approdo per le navi che trasportavano le merci provenienti dall’Oriente, poi portate in paese attraverso dei carri. Da qui, tra l’altro, tutta una serie di attraversamenti nascosti e gallerie permettevano un tempo di collegare il centro storico del paese a delle cavità naturali in cui la merce veniva messa in salvo durante le mareggiate.

Dal ponte borbonico che la sovrasta, alto 15 metri, si può osservare tutta la cala. Inutile dire che in estate è piena zeppa di gente. Ammetto però che, quando ci sono stata, la bellezza del posto ha cancellato il fastidio del trovarsi circondata da persone su ogni lato in uno spazio circoscritto.

 Chissà se Domenico Modugno pensò a Polignano a Mare quando scrisse “Nel blu dipinto di blu”. Forse non si riferiva esattamente alla sua città natale, ma sicuramente sarà stato ispirato dai colori della Puglia. Proprio a Polignano a Mare c’è una statua di bronzo dedicata al cantante, posta sul lungomare a lui sempre intitolato, in modo da non dare le spalle né al mare né al borgo (c’è stata una sorta di querelle per la scelta della posizione).

Proprio alle spalle della statua di Modugno, c’è una scalinata al termine della quale si accede a una superficie piatta di roccia che fa da terrazza; da qui infatti si ha la vista su Cala Monachile, la scogliera e il centro storico con le sue case bianche che si affaccia sul mare. Un must per chi vuole realizzare qualche bello scatto del paese. Su Google questo luogo viene identificato come “pietra piatta”. Se a Modugno avessimo chiesto di consigliarci cosa vedere a Polignano a Mare, ci avrebbe indicato senza dubbio questa terrazza. Non c’è posto migliore per cantare a squarciagola quei versi che recitano “ma guarda intorno a te, che doni ti hanno fatto, ti hanno inventato il mare“.

 

Dal 1088, Putignano fu data in dono al governo dei Monaci Benedettini dal conte normanno Goffredo d'Altavilla.Dal 1317 fino ai primi anni dell'Ottocento, la città fu dominio dei Cavalieri di Malta, detti Gerosolomitani la cui sede era vicino alla chiesa Matrice di San Pietro, l'attuale Palazzo del Principe anticamente noto come il Palazzo del Balì. E' questa, piazza Plebiscito, il cuore, politico ed economico, della città: qui si affaccia anche il Sedile l'antica sede del governo cittadino. Le poderose mura e le torri circolari che in parte ancora cingono la città, furono elevate proprio dal Balì Giambattista Carafa, nel 1472, anno in cui venne aperta anche la Porta Barsento che si collega alla Porta Grande o Maggiore lungo la strada, detta Chiancata.

 

Le antiche mura e il vecchio castello erano state demolite, nel 1219, da Federico II per la disobbedienza dei putignanesi, mostratisi troppo fedele al papa per aver negato allo stesso Federico II l'accesso in città al rientro da una battuta di caccia. Putignano è, e rimase cattolica, ricca d'arte e cultura: lo dimostrano le numerose chiese e conventi presenti nella città antica. Cinquecentesca la chiesa e il convento delle Carmelitane che ospita ben 80 suore. Intima e accogliente la chiesetta della Madonna di Costantinopoli, con il tetto coperto dalle tipiche chiancarella. Altrettanto piccola e bella risalente al 1402 è la chiesa di Santo Stefano, protettore di Putignano, le cui spoglie vennero successivamente trasferite nella chiesa di Santa Maria la Greca, riconoscibile dalla santuosa facciata barocca, sicuramente tra le più belle della città. Altre chiese e altri conventi si contendono questo primato di bellezza e stupore, come la chiesa di San Domenico, seicentesca e barocca. Non da meno la Chiesa della Madonna più sobria e con bugnato rustico, e che guarda sul Corso Umberto I.

 

Il Corso è la strada principale della città, prolungamento dell'Estramurale che circonda, come un grande cerchio, il borgo antico e che occupa, dal secolo scorso, il posto dell'antico fossato e delle mura. Nei secoli gli abitanti di Putignano per il loro piccolo territorio si sono dedicati oltre che alla agricoltura anche al commercio di prodotti agricoli ed all'artigianato di qualità, riuscendo a vendere anche al di fuori della provincia di Bari. Infatti erano molto richiesti i tessuti di lana e di cotone lavorati a mano compresa una ottima e famosa felpa di cotone che alcune tintorie coloravano con maestria insieme ai filati. Altrettanto richiesti erano gli aratri, le, zappe, le forbici da pota, i grossi chiodi per le scarpe (bullette), coltelli ed utensileria varia. Infine con il fragno (quercus troiana), con la roverella (quercus pubescens), il leccio (quercus ilex), il noce, l'olivo ed il castagno abili falegnami realizzavano mobili, botti carrozze e carri agricoli sempre di buona qualità. Questa indole operosa ha fatto sorgere in Putignano alla fine del 1800 le prime industrie.

 

Dopo la prima guerra mondiale alle iniziali industrie si aggiunsero altre, che una Guida commerciale del 1932 elenca e pubblicizza insieme ad artigiani e commercianti. Le stesse industrie nei decenni trascorsi sono riusciti a convenire i prodotti fino a raggiungere dagli anni ottanta una notorietà internazionale con gli abiti da sposa. Infine dal 26 luglio 2000 la fama di Putignano è diventata interplanetaria. Infatti, tra le orbite di Marte e di Giove, al pianeta minore numero 7665, scoperto nell' osservatorio di Colleverde di Guidonia (Roma) 1' 11 ottobre 1994 dal direttore e nostro concittadino Vincenzo Silvano Casulli la International Astronomical Union ha assegnato il nome PUTIGNANO con la seguente citazione: Pittoresca cittadina italiana nella regione Puglia famosa per il suo carnevale, le grotte e le tipiche case rurali note come "trulli ". Putignano è anche il luogo di nascita di Silvano Casulli, direttore dell'osservatorio presso il quale è avvenuta la scoperta.

 

NUMERO TELEFONO COMUNE DI PUTIGNANO:

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Per gli amanti della religione Putignano mette a disposizione tantissime Chiese da visitare tra cui la chiesa madre Chiesa di San Pietro Apostolo, la Chiesa di San Filippo, la Chiesa di San Lorenzo, la Cappella di San Biagio e l Chiesa dei Cappuccini. Da visitare anche il Monastero di Santa Chiara, la Chiesa rupestre della Madonna delle Grazie e la Grotta di San Michele in Monte Laureto.

Putignano

Il Carnevale di Putignano è famosissimo ed è tra quelli che durano di più. Ogni anno, durante i giorni più importanti del periodo carnevalesco c’è la sfilata dei carri allegorici. Enormi carri con personaggi costruiti in cartapesta circolano per le vie principali della cittadina e tutto si riempie di musica, allegria e colori. Un evento da non perdere dedicato a grandi e piccini.

Putignano

 

Il Carnevale di Putignano vanta più di 600 edizioni e dal 2006 è nata anche una versione estiva. La maschera caratteristica del paese si chiama Farinella.

Era il 29 maggio 1931, quando durante i lavori di scavo per la costruzione dell’impianto di depurazione, a pochi metri dal centro abitato di Putignano, gli operai si trovarono di fronte ad una meraviglia della natura: una “vasta grotta di stalattiti e stalagmiti”. Il Cav. Ernesto Losavio, allora Podestà di Putignano, chiese al Genio Civile di poter al più presto effettuare un sopralluogo in detta zona per prendere accordi sui provvedimenti da emettere.

Il 28 giugno 1931 da parte della Soprintendenza alle opere di Antichità e d’Arte della Puglia, venne fatta esplicita richiesta al Ministero dell’Educazione Nazionale di poter porre sotto tutela la Grotta naturale sita in Putignano in base alla legge n.778 dell’11/06/22 . Dopo meno di tre mesi le grotte di Putignano furono dichiarate soggette a speciale protezione, la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico grazie alla loro bellezza naturale.

Le grotte di Putignano, diventano così il primo sito turistico in Puglia, dove i visitatori hanno la possibilità di immergersi in un luogo nascosto, per ammirare quanto la natura ha saputo disegnare nel tempo. Dai documenti storici, si evince che il flusso turistico sarebbe dovuto essere abbastanza copioso, tanto che nell’aprile del 1934 si decide di innalzare un “modesto edificio” nel piazzale presso la scalinata di discesa che porta alle grotte. Si ritiene indispensabile questa costruzione per dare al visitatore “un minimo di riposo o ristoro”. Così si dà avvio alla costruzione dei trulli che ben si sposano con le grotte in quanto entrambi sono simboli della nostra regione e per la loro presenza si sceglie di chiamare “Grotta del Trullo” il tesoro sotterraneo di Putignano.

 

Putignano

 SS 172 tratto Putignano-Turi

Telefono: +39 080 491 2113

E-Mail: info@grottadeltrullo.com

Web: grottadeltrullo.com9

Giorni e Orario apertura:

Dal 1 Ottobre al 31 Maggio:
Dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore 14:30 alle ore 17:00

 

Dal 1 Giugno al 30 Settembre;

Dalle ore 09:00 alle ore 12:30; e dalle ore 14:30 alle ore 18:30

 

Visite Sempre Guidate Anche In Lingua Senza Prenotazione:

Adulti 5€/a persona

Bambini (4-14 anni) 2,50€

Bambini (sotto i 4) Gratis

 

 

Spelotrekking:

-Avventura in Grotta

Vivi l’emozione di una vera spedizione esplorativa in grotta in una delle cavità del nostro territorio! Per un’intera mattinata sarai uno speleologo a tutti gli effetti!

30€ /a Persona

 

-Trullo Segreto

Un’escursione alla scoperta dei rami sotterranei della grotta del trullo. Indossate tuta e casco e lasciatemi condurre alla scoperta dei suoi segreti! Non serve attrezzatura speciale, non serve esperienza… solo spirito d’avventura!

15€ /a Persona

 

-Murgia Explorer

Un’escursione a piedi nel cuore della murgia più vera e delle gravine al di fuori di strade e sentieri dove il cielo e la roccia si uniscono nei grandi spazi della puglia più antica e selvaggia.

7€ /a Persona

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Rutigliano, come molti centri meridionali, nasce, in epoca altomedievale, da quel fenomeno chiamato sinecismo, per il quale la popolazione dispersa nelle campagne, o in villaggi insediatisi principalmente lungo le lame, si coagula intorno a siti caratterizzati da una qualche forma di autorità, laica o religiosa. Molti villaggi come Bigetti, Timine, Casilia, Cabiano, Minerva, sono abbandonati per dar vita al "loco Rutiliano". Successivamente i Normanni, con i loro feudatari, daranno vita alla svolta che trasformerà la città da locus a castellum Rutiliani.

Significativa è l'ubicazione degli insediamenti preesistenti: quello peuceta di Azetium (in contrada Castiello) e quello di Bigetti (in contrada Purgatorio) su Lama Giotta e quello di Minerva (contrada Annunziata) su Lama San Giorgio. I due solchi torrentizi Lama San Giorgio e Lama Giotta attraversano parallelamente il territorio in direzione nord-sud e in passato assolvevano al ruolo di vie di comunicazione tra l'entroterra e la costa.

Anche il borgo medievale si colloca, non casualmente, su un sito di altura, lambito da un canale di deflusso secondario denominato "Lama della Corte". Esso si presentava, alla metà dell'XI secolo, avvolto attorno ad una primitiva fortificazione di epoca probabilmente bizantina poi ristrutturata ed ampliata dai Normanni.

Il 24 agosto 1059 il papa Niccolò II emanò una bolla che riconosceva a Rutigliano il particolare status di nullius diocesis, cioè territorio privo di vescovo e soggetto direttamente a Roma. Era infatti l'arciprete della chiesa di Santa Maria della Colonna, nominato direttamente dal Papa, ad esercitare funzioni quasi-vescovili. Tale privilegio fu abrogato solo nel 1662 quando Rutigliano fu sottoposta all'autorità del vescovo di Conversano.

Primo conte di Rutigliano fu il Normanno Ugo Bassavilla (intorno al 1108) che probabilmente fece costruire la torre normanna e ampliò la chiesa di Santa Maria della Colonna, dove è conservata una lapide con lo stemma del casato e l'iscrizione UGO FIL.US ASGOT DINASTA FUNDATUR (Ugo figlio di Asgot fondatore della dinastia).

Nel 1194 subentrarono gli Svevi e in seguito gli Angioini nel 1266Carlo II d'Angiò nel 1304 donò metà feudo al Real Capitolo di San Nicola di Bari e l'altra metà a Giovanna di Anselmo de Chanbros. Vari feudatari si susseguiranno nei secoli seguenti. Gli Orsini del Balzo, i Filomarino, i d'Azzia, gli Acquaviva, la regina Bona Sforza di Polonia, i Brancaccio, i Pappacoda, i Carafa di Noja e i Lamberti-de Bellis di Bari, fino all'abolizione della feudalità del 1806.

 

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Il castello normanno fu fatto demolire nel 1618. Sopravvivono soltanto due delle originarie quattro maestose torri normanne quadrandolari,di cui una quasi intatta.

Rimane ancora integro il portale di accesso alla corte che invece risulta molto manomessa.

La Torre Normanna è formata da più piani sovrapposti fino al terrazzo sovrastante ed è di proprietà privata della famiglia Antonelli,per eredità ricevuta dalle estinte famiglie Torres e Ribera.

Rutigliano

Rutigliano

Al Periodo inscritto tra Cinquecento e Ottocento risale una miriade di palazzi nobiliari, e tra di essi s’impone la menzione di Palazzo de Franceschis, Palazzo Moccia dell’Erba, Casa de Leone e Palazzo Antonelli, strutture eleganti che si antepongono in parte alle più “grezze” masserie, costituenti il tratto distintivo più marcato della campagna pugliese: da vedere la Masseria Fortificata Panicelli, dotata di quattro bastioni e dunque assimilabile alla caratteristica pianta del maniero. 

Edificio religioso di apodittico stoicismo, la Chiesa Matrice di Santa Maria della Colonna e San Nicola permane nell’abitato dal XII secolo e si fa notare per la presenza fiancheggiante dell’originale campanile romanico scandito nel suo elevarsi da scenografiche trifore. L’interno è uno spettacolo, si divide in tre navate e custodisce alcune pregevoli opere come il leggio marmoreo, la trecentesca Madonna delle Grazie, il coro ligneo del ‘700, il polittico firmato Antonio Vivarini, vari argenti sacri e l’organo a 24 canne. Il Convento delle Clarisse fu innalzato nel Cinquecento e si fregia della conservazione di un crocifisso in legno datato XV secolo e un dipinto dell’Immacolata realizzato nel 1708 da Giovan Battista Lama.

Fuori dal centro storico spuntano la Chiesa dei Cappuccini con l’altare maggiore recante il gran dipinto di Nicolanardi Ferdinandi e il Crocifisso seicentesco attribuito a Vespasiano Genuino da Gallipoli, la cinquecentesca Chiesa di San Domenico e il Convento di Madonna di Palazzo, il cui eccezionale chiostro reca affrescante le Scene di vita di San Francesco d’Assisi. La Chiesa dell’Annunziata si trova al centro di un villaggio neolitico seguendo l’altalena della Lama San Giorgio. Da ricordare infine la piccola Chiesa di Sant’Appolinaire, che in contrada Purgatorio ha preso il posto nell’XI secolo di una villa romana.


(Nella Sezione Luoghi di Culto)

L’apparato museale è per Rutigliano una valente risorsa messa a disposizione degli abitanti e di tutti i turisti che desiderano conoscere di più in relazione alla storia del paese. Quattro i principali musei, ovvero il Museo Civico Archeologico “Grazia e Pietro Didonna”, il Museo del Fischietto (dedicato al celebre manufatto in terracotta locale), il Museo delle Arti e Antichi Mestieri (etnografia e artigianato i punti forti) e il Museo degli Immigrati (i rutiglianesi partiti all’estero in cerca di fortuna). (Nella Sezione Musei)

 

La Biblioteca Comunale contiene oltre 15.000 volumi  e libri storici.

Complementare in tal senso risulta l’Archivio Storico Comunale, e in aggiunta ha notevole peso L’Archivio Capitolare di Santa Maria della Colonna presso Palazzo Gassi. (Nella Sezione Biblioteche)

 

Ruvo di Puglia

La Preistoria, L’arrivo Dei Greci E L’eta’ Romana: Alcuni reperti di pietra lavorata fanno risalire i primi insediamenti nell’agro ruvestino al paleolitico medio mentre alcuni resti di villaggi confermano la presenza dell’uomo fin dal VI millennio a.C. Tuttavia durante l’età del bronzo il territorio fu abitato dai morgeti, un popolo ausonico, poi scacciato dagli iapigi con l’avvento dell’età del ferro. Gli iapigi si stabilirono in terra di Bari dando origine alla stirpe peuceta e Ruvo fu inizialmente fondata come un villaggio in cima alla collina attualmente sita tra la pineta comunale e la chiesa di San Michele Arcangelo. L’agro ruvese in età peuceta era molto vasto ed ebbe anche un porto, chiamato Respa, presso Molfetta. Tra l’VIII e il V secolo a.C. i greci colonizzarono pacificamente Ruvo che da quel momento prese il nome di “Ρυψ”. Intorno al IV secolo a.C. il villaggio visse il momento di maggior splendore intrattenendo scambi commerciali con gran parte delle popolazioni italiche, tra cui gli etruschi, coniando moneta propria e vantando una popolazione e un territorio mai più raggiunto (l’agro ruvestino di età greca comprendeva Molfetta, Terlizzi, Corato, Trani e Bisceglie). Ruvo si pose come una fiorente polis della Magna Grecia e la sua ricchezza consisteva nel commercio di olio di oliva e vino e nella florida produzione di vasellame. La città greca di Ruvo finì col diventare protetta di Atene, come dimostrano alcune monete, ma anche alleata di Taranto. La sconfitta della greca Taranto nella guerra contro Roma segnò la fine dell’età ellenistica in Puglia facendo così entrare Ruvo nell’orbita di influenza romana col nome di Rubi. In seguito Ruvo giocò un ruolo fondamentale per la Repubblica romana e per l’Impero vedendosi prima assegnare la cittadinanza romana, poi il titolo di municipium e infine diventando stazione della via Traiana. Nel 44, secondo la leggenda, Ruvo vide sorgere la propria diocesi per volere di San Pietro, il quale nominò primo vescovo san Cleto che in futuro sarebbe diventato papa. Tuttavia in età imperiale l’ager rubustinus subì una diminuzione in quanto sorgono Molfetta, Trani e Bisceglie, facendo perdere così il contatto con il mare.

 

Ruvo Medievale: Nel V secolo scomparve la fiorente Ruvo sotto i colpi delle invasioni dei Goti che ridussero per la prima volta la città a un cumulo di macerie. Ruvo, rifondata sulle pendici della collina originaria, fu prima conquistata dai Longobardi e poi fu preda dei Saraceni. Fu in questo periodo che i ruvestini decisero di dotarsi di una cinta muraria munita di torri e quattro porte: Porta Noè (attuale via Veneto), Porta del Buccettolo (via Campanella), Porta del Castello (piazza Matteotti) e Porta Nuova (corso Piave). Nell’XI secolo la fortezza di Ruvo entrò nella contea di Conversano e subì altre violenze a causa delle lotte intestine per la gestione del potere, i quali conflitti portarono alla seconda distruzione del centro abitato. Tuttavia fu sotto Federico II di Svevia che Ruvo finalmente riconobbe una crescita culturale ed economica, un periodo segnato dalla costruzione della cattedrale romanica e nel territorio tra Ruvo e Canosa del Castel del Monte. A questo momento storico però risalgono anche le fondazioni delle città di Corato e Andria, i cui territori andarono a diminuire ulteriormente l’agro ruvestino. Dal 1266 Ruvo divenne feudo ed entrò, assieme alla Puglia intera, tra i domini degli Angioini. Nonostante questo il feudo ruvestino vide sfumare ancora una volta il periodo di pace e prosperità che stava attraversando poiché nel 1350 la città fu rasa al suolo e saccheggiata da Ruggiero Sanseverino. I ruvestini furono così costretti a ricostruire il centro abitato, le mura e decisero anche la costruzione della torre del Pilota, alta 33 metri. Al dominio angioino si succedette quello aragonese. Gli scontri per il dominio sul Regno di Napoli tra Francia e Spagna sfociarono nella battaglia di Ruvo, che vide vincitori gli spagnoli guidati da Consalvo di Cordova contro le truppe francesi di Jacques de La Palice stanziate a Ruvo. Durante questa battaglia la città fu rasa al suolo per la terza volta. Lo stesso feudo vide inoltre partire dalle proprie mura i tredici francesi che si scontrarono contro altrettanti italiani nella disfida di Barletta.

I Carafa – Conti Di Ruvo: Nel 1510 Oliviero Carafa acquistò il feudo di Ruvo e la stessa città conobbe un periodo storico negativo. La maggior parte delle storiche famiglie patrizie ruvestine si estinsero e solo nel Seicento sorsero nuove famiglie nobili che conobbero una particolare e florida condizione economica. Furono inoltre rafforzate ulteriormente le mura ma nonostante il lungo periodo di pace la popolazione era soffocata dalle angherie dei Carafa e dal governo tirannico degli stessi che trasformarono la torre del Pilota da strumento di difesa a prigione per gli oppositori. Tra la fine del Cinquecento e il Seicento, ovvero nell’epoca della controriforma, Ruvo vide nascere vari sodalizi e congreghe tuttora operanti specialmente nella cura dei riti della Settimana Santa ruvestina. Tuttavia in questo periodo buio della storia di Ruvo si distinsero alcuni uomini illustri tra i quali il più celebre è senza dubbio il medico Domenico Cotugno. Nel 1806, sotto il dominio napoleonico il feudalesimo fu abolito, concludendo così il dominio dei Carafa durato tre secoli.

Dall’unita’ D’italia Ai Giorni Nostri: Dopo il dominio dei Carafa, i moti liberali toccarono anche Ruvo ma fallirono miseramente come nel resto del mezzogiorno. Tuttavia nei primi anni dell’Ottocento si distinse particolarmente Giovanni Jatta, il quale eletto dai ruvestini come avvocato della città, vinse la causa contro i Carafa ottenendo dei lauti risarcimenti e fu tra i protagonisti di quegli scavi archeologici che riportarono alla luce i numerosi reperti di epoca peuceta, greca e romana conservati nel museo Jatta. Nel periodo antecedente all’unità d’Italia Ruvo fu sede di una vendita carbonara chiamata “Perfetta Fedeltà” della quale fece parte il patriota e avvocato Francesco Rubini il quale si occupò di organizzare i moti risorgimentali anche a Ruvo. Nel periodo post-unitario Ruvo, seppur lentamente, conobbe i segni del progresso anche per merito del deputato e agronomo ruvestino Antonio Jatta, il quale evidenziò al governo i numerosi problemi della Puglia e della provincia di Bari. Tappe fondamentali del progresso furono segnate nel 1905 dall’arrivo dell’illuminazione elettrica e nel 1914 con la diffusione dell’acqua pubblica. Durante la prima guerra mondiale ben 367 ruvestini caddero sui fronti di battaglia mentre nel ventennio fascista furono realizzate altre opere di pubblico vantaggio quali la bonifica del pantano e la creazione della fognatura nel 1938. Nel secondo dopoguerra Ruvo si distinse in ambito culturale, soprattutto grazie alle opere di Domenico Cantatore, ma anche in ambito economico con i fiorenti vitigni e oliveti.

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Ruvo di Puglia

Una delle principali attrattive del borgo è la cattedrale romanica dell’Assunta risalente ai secoli XII e XIII. Questo edificio è situato nel cuore del centro storico e si distingue dal resto delle strutture che lo circondano quasi con reverenziale timore. Nel corso dei secoli l’edificio ha subito diversi rimaneggiamenti, e tuttavia le sue caratteristiche che la lasciano ascrivere all’epoca romanica sono rimaste spiccate. Particolare il tetto a spiovente, così come la facciata, grandiosa nella sua presenza, un poderoso portone centrale con decorazione zoomorfe, antropomorfe e vegetali. Interessante il rosone a 12 raggi.

All’interno tre navate, tre absidi e un finto matroneo. Da non perder l’ipogeo sottostante la cattedrale che ha rivelato, durante gli scavi, testimonianze di epoca peuceta, romanica e medievale.

 

Via Veneto è composta da vicoletti stretti e contorti che lasciano scoprire, tra uno scorcio e l’altro, meraviglie architettoniche inaspettate. Belle le mura, con porte e torri, di epoca medievale poste a difesa del borgo.

Il Museo, ospitato all’interno del palazzo rinascimentale Jatta, raccoglie diversi reperti in terracotta, i celeberrimi vasi di Ruvo, che mostrano uno spaccato della vita del luogo. Altri palazzi di interesse sono il Palazzo Caputi, sempre di epoca rinascimentale, così come Palazzo Spada e Palazzo Avitaja.

Ruvo di Puglia non è solo arte e archeologia, ma offre ai suoi turisti anche numerosi itinerari naturalistici. Innanzitutto la città è collegata ad altri comuni pugliesi tramite una pista ciclabile di 64.5 km. Questo itinerario attraversa infatti i paesi della bassa Murgia e da Ruvo è possibile giungere fino a Molfetta e tornare indietro verso Terlizzi, Bitonto e S. Spirito.

S

Nel 1608 Michele Vaaz, un mercante ebreo-portoghese, acquistò dal regio demanio il feudo di Casamassima e la cosiddetta "zona delle quattro miglia", come era anche conosciuto il territorio su cui sarebbe sorto il comune di Sammichele di Bari, trovandosi in posizione baricentrica tra i comuni di Casamassima, Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle e Turi. Ottenuto il titolo di conte decise di erigere un paese che tramandasse il suo nome, "Casa Vaaz", e di popolarlo conducendovi dalle coste della Dalmazia una comunità di slavi composta da circa 460 persone. Il 6 luglio 1615 una delegazione guidata dal sacerdote di rito ortodosso Damiano de Damianiis giunse a Napoli per sottoscrivere l'atto di fondazione di "Casa Vaaz" rogato dal notaio Vincenzo de Troianis. Il contratto prevedeva tra l'altro l'obbligo da parte del conte di edificare 87 abitazioni attorno al palazzo appartenuto al banchiere Centurione; in cambio il Vaaz rivendicava la nomina del sindaco e di tre consiglieri, sulla base dei nomi dei propri rappresentanti proposti dai serbi, e obbligava la comunità a convertirsi al rito cattolico. Poiché quest'ultimo impegno non fu rispettato, nel 1617 l'arciprete di Casamassima, che esercitava la propria giurisdizione sulla parrocchia di Casa Vaaz, ottenne l'allontanamento della comunità slava cui subentrò presto un nutrito gruppo di famiglie provenienti dai territori limitrofi. Nel 1619 i nuovi abitanti elessero un proprio sindaco: il 14 luglio ad Acquaviva delle Fonti stipularono un nuovo contratto con il conte, nel quale chiesero e ottennero di assegnare alla zona il nome di "Casal San Michele". Nel 1667 Antonio de Ponte, consigliere della Regia Camera della Sommaria, acquistò il casale da Simone Vaaz, nipote e successore del fondatore; nel 1794 esso passò per successione al casato dei Caracciolo duchi di Vietri. Negli ultimi anni del XVIII sec. Casal San Michele o Sanmichele, come era anche denominato, contava 1563 abitanti ed era definito "casale della terra di Casamassima in Terra di Bari" (L. Giustiniani, "Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli" [Napoli, Vincenzo Manfredi, poi Stamperia di Giovanni de Bonis, 1797-1816], rist. anast. Bologna, Forni, 1969-1971). Con l'emanazione della legge del Regno di Napoli 2 agosto 1806 n. 130, che abolì definitivamente la feudalità e tutte le sue attribuzioni, i Caracciolo persero la maggior parte dei loro territori mantenendo il possesso del solo palazzo "Centurione", divenuto di proprietà comunale nel 1971.

 

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Castello Caracciolo

Già conosciuto agli inizi del Cinquecento, tra il XVI ed il XVIII secolo il castello fu al centro di numerose vicende e proprietà di diversi signori: il banchiere genovese Heronimo Centurione; dal 1606 l'ebreo portoghese Michele Vaaz, che chiamò il paese San Michele; dal 1675 dal barone Antonio De Ponte. Nel 1797 passò ai duchi Caracciolo che nella seconda metà dell'Ottocento ne affidarono il restauro all'architetto Amenduni, e successivamente lo cedettero al Comune, che negli anni scorsi lo ha destinato a sede del Museo etnologico della civiltà contadina.

La struttura ha impianto quadrato e torri sporgenti, a base scoscesa e caratterizzate da merli e strette aperture verticali.

 

Sammichele Di Bari

La presenza di un’iscrizione su lastra calcarea, datata al 1504, che fa riferimento a un "Palazzo nomine Centurione" e al suo feudatario Heronimo Centurione, la cui famiglia operava a Bari dalla seconda metà del XV sec., lascia supporre che già nel 1400 fosse presente una torre fortificata, ove ora sorge il castello. Tuttavia si può ipotizzare che la costruzione abbia avuto origine come avamposto di controllo e di difesa, e che sia stata poi trasformata in casa agricola. Dal 1609 il palazzo Centurione diviene proprietà di Michele Vaaz, fondatore del Paese, fino al 1667, anno in cui il nipote Simone vende il feudo al Regio Consigliere Antonio de Ponte. Da questo momento il Palazzo subisce numerosi rimaneggiamenti. Restaurato perché cadente nel 1675 dal De Ponte, il castello passa per acquisizione ereditaria ai Caracciolo di Vietri nel 1779, sotto i quali, intorno al 1860, viene completamente trasformato in palazzo per villeggiare dall’architetto di Casamassima Ascanio Amenduni. Egli allarga i portali di ingresso, realizza le torri merlate, il prospetto rivestito con bugnato in pietra calcarea, le finestre bifore, la scala interna. I Caracciolo legano il loro nome alla vetusta costruzione per oltre due secoli: tuttora, infatti, viene denominato Castello Caracciolo. Tra la prima e la seconda guerra mondiale subisce ulteriori interventi con il rifacimento del solaio del secondo piano e con la costruzione di altre due torrette merlate. Dal 1991 fino al 2001 sono stati realizzati altri interventi di restauro a cura degli architetti Lorenzo Netti e Stefano Bianco che hanno cercato di riportare la struttura, almeno all’interno, al suo aspetto originario.Nel 1971 l’Amministrazione Comunale acquista il Castello dai Caracciolo e nel 1974 ne delibera la destinazione a sede del Museo della Civiltà Contadina

Sammichele Di Bari

Nella piazza spicca l’Arco dell’Orologio mentre, nelle strade, ci si lascia sorprendere dalle maschere apotropaiche in pietra.
La devozione del paese si manifesta nelle chiese, come quella della Maddalena costruita nel Seicento sul sito di una cappella medievale mentre la matrice dedicata a Santa Maria del Carmine è in stile neoclassico.
Lungo la vecchia strada per Taranto ci si imbatte in due menhir, uno alto circa due metri l’altro poco più di un metro, testimonianze di antichi insediamenti.

Museo della civiltà contadina “Dino Bianco”

 

Piazza Caracciolo Sammichele Di Bari

Telefono: (+39) 080 8917381

(+39) 080 8917297

E-Mail: info@museodinobianco.net

 

(Nella Sezione Musei)

Santeramo in Colle è il comune più alto delle Murge centrali. Il suo borgo antico è insediato in un territorio brullo solcato da lame (meno profonde delle gravine) e ricco di fenomeni carsici. Il borgo antico di Santeramo in Colle, un tempo munito di fossato e mura di cinta, venne ampliato nel XVI secolo con la costruzione del castello, oggi Palazzo Marchesale. (Nella Sezione Palazzi)

Tra i luoghi di culto troviamo la chiesa di S.Erasmo nata come piccola cappella dedicata a S.Erasmo e restrutturata poi, la più vecchia S.Maria del Carmine, la chiesa del Crocifisso, nella parte alta di Santeramo in colle, del seicento poi ampliata a metà ottocento ed in un angusto vicolo la piccolissima chiesa di S.Eligio.

Intorno a Santeramo in Colle si trovano la “grotta di S.Angelo”, una caratteristica chiesa ipogea con affreschi bizantini, incisioni e graffiti, poco lontano un’altra grotta “la grotta di Cristo” che è naturale ricca di stalattiti.

La Grotta di Sant’Angelo è una grotta naturale di origine carsica situata nel Parco nazionale dell'Alta Murgia, nel territorio del comune di Santeramo in Colle, in Puglia.
Al suo interno sono presenti graffiti e affreschi risalenti all'Alto Medioevo e al XIII secolo, le cui interpretazioni e valutazioni sono ancora in corso. Il sito è attualmente al centro di progetti di recupero e ricerca.

L’Alta Murgia presenta un territorio arido, caratterizzato dalla presenza di roccia e terreni calcarei nella parte sud e da terreni calcarei-argillosi a nord. Difatti, il territorio a sud è sempre stato prevalentemente selvatico, mentre quello a nord è stato impiegato per la coltivazione sin dall'epoca preistorica.
La prima citazione dell’esistenza di Santeramo in Colle e della grotta di Sant'Angelo sono state rinvenute all'interno di un documento risalente al 1136.
Essendo il territorio murgiano una zona carsica, la ricerca di fonti d'acqua era fondamentale. La grotta divenne un punto di riferimento sul territorio per pellegrini e viaggiatori, nonostante la posizione isolata e impervia, per via della presenza d'acqua nelle sue vicinanze. Un'altra motivazione potrebbe essere il fatto che la strada congiungente la città di Bitetto a Santeramo in Colle, dove si trova la grotta di Sant'Angelo, univa l'Appia Traiana all'Appia Antica.
La grotta ha segnato, dal XII al XIII secolo, il confine tra varie contee e la zona di Acquaviva delle Fonti. Per via di questa posizione strategica è possibile trovare riferimenti alla grotta in vari documenti risalenti alla confinazione federiciana di Altamura.
Attraverso una prima analisi dei graffiti
rinvenuti all'interno della grotta, è stato possibile un tentativo di ricostruzione della sua storia. È stato ipotizzato che questa fosse un luogo di culto delle acque fin dall'epoca preclassica. Nell'Alto Medioevo diventò un luogo di culto cristiano dedicato all'arcangelo Michele.
L'attività del sito si è protratta fino a buona parte del Basso Medioevo, per poi cessare quasi del tutto.

La grotta è nata grazie all'azione di un intenso fenomeno di carsismo. L’unico intervento strutturale realizzato dall'uomo è il repositorium: una nicchia a fondo piano chiusa da un arco a tutto sesto, sostenuto da semicolonne con capitello tronco piramidale e pulvini “a libro”.
Data l'assenza di elementi per datarlo, lo studio del repositorium ha portato gli studiosi a tre possibili ipotesi sulle sue origini ed influenze: quella proto-bizantina, quella longobarda e quella romanica.
Si è pensato ad influenze proto-bizantine per via dei capitelli tronco piramidali e la presenza dell’arco a tutto sesto, ma quest’ultimo è anche presente nel periodo altomedievale e in ambiente longobardo, rendendo plausibile la seconda ipotesi.
Trovandosi la grotta in un ambiente rurale del Sud Italia, sarebbe corretto considerare la possibilità che l'arco sia stato realizzato in seguito. A sostenere questa ipotesi è la presenza dei pulvini “a libro”, tipici delle architetture rurali pugliesi del periodo bassomedievale.

Le Quite, il cui toponimo è di derivazione dialettale dal termine “quote”, rappresentano la parcellizzazione di una vasta area a sud-est del territorio santermano, appartenuta al demanio pubblico. Le quote furono distribuite ai contadini nullatenenti in seguito alla riforma Murattiana, a cavallo tra ‘800 e ‘900. La caratteristica principale (oltre al singolare aspetto di memoria storica…) è individuabile nello stridente contrasto tra la regolarità geometrica della griglia individuata dagli amministratori dell’epoca e l’estrema irregolarità della morfologia del suolo. Altro contrasto in termini è individuabile nel principio più che condivisibile di garanzia di una minima proprietà diffusa e l’applicazione pratica del principio stesso: le quote altro non sono se non piccoli appezzamenti murgia pietrosa ed improduttiva! Tuttavia, questo lembo di territorio testimonia il tentativo condotto (con entusiasmo e dedizione prima, con rassegnazione in seguito alla fatica poi) dei contadini neo-proprietari di rendere coltivabile la roccia.

Matine dal latino “madeo”, “madidus” che significa umido, bagnato, infatti i terreni adiacenti il decorso del torrente Viglione, sono molto bassi e naturalmente sono soggetti alle inondazioni che li fanno in permanenza umidi e bagnati. Dopo le bonifiche mediante canalizzazione delle acque. le terre, molto fertili, sono dedicate, in prevalenza, alla coltivazione di cereali. Lungo le rive del Viglione, è ancora possibile vedere un filare di alberi tra cui si distinguono pioppi bianchi, pioppi neri, olmi e frassini, testimonianza della antica presenza di un bosco ripariale. 

LAMALUNGAIl paesaggio di Lamalunga è tipico del costone della murgia alta, con i suoi fenomeni carsici quali grotte, inghiottitoi, rilievi rocciosi e pietre affioranti. “Lama” è anche il toponimo più diffuso del territorio santermano. La vegetazione prevalente è quella della pseudosteppa a graminacee, caratterizzata spesso da ampie distese di asfodeli (bianchi, rosa e gialli), di ferula, da fiori di vario tipo come le orchidee di cui la nostra murgia è ricca: ad esempio nelle nostre zone cresce un esemplare di orchidea da poco scoperto e noto col nome di Ophrys murgiana oltre che da esemplari quali l’orchidea a farfalla, orchidea a sacco, orchidea a piramide ecc.. e da specie spinose come i cardi e le eringi. Le caratteristiche geomorfologiche dei costoni della lama, seppur a prima vista appaiano brulli e pietrosi, in realtà ospitano migliaia di varietà di piante, fiori ed erbe che contribuiscono con i loro colori e profumi a caratterizzare il passaggio delle stagioni. Sebbene ogni stagione abbia le sua peculiarità scenografiche di indubbia validità, non si può mancare una visita nel periodo tardo primaverile (aprile-maggio) quando il primo sole caldo, la fioritura dei mandorli, il verde acceso delle coltivazioni di fondo lama e, soprattutto, il fiorire delle orchidee è sicuramente un unicum quasi fiabesco. A questo paesaggio si alternano macchie boschive autoctone di querce di varie specie (soprattutto Roverella): “resti” che costituiscono la memoria degli infiniti querceti di cui la murgia era completamente ricoperta nelle epoche passate. I rilevati ed i repentini cambi di quota permettono al visitatore delle vedute paesaggistiche di notevole bellezza e intensità, paesaggi unici che, assieme al silenzio e alla concentrazione sul tracciato sterrato, consentono una pausa rigenerante dallo stress della routine quotidiana.

La murgia Morsara costituisce l’affaccio a sud del piatto murgiano verso la fossa bradanica (ed in particolare sulle Matine) e pertanto è segnata da molti rilevati e lame. In prosecuzione degli Appennini, geologicamente questo lembo di territorio si forma nel Cretacico ed ospita alcuni dei fenomeni carsici (grotte, lame, solchi, inghiottitoi ecc.) più significativi di tutto il territorio santermano. Tra essi spicca la Gravinella: ecosistema delicatissimo, ricco ed unico, ad oggi in lenta ripresa dopo la ferita inferta dall’uomo ignorante. Il nome Morsara deriva da “Lama Ursara”, in riferimento proprio alla lama della Gravinella. Su questi rilievi poco conosciuti è possibile rintracciare insediamenti antichi e tracce di fauna preistorica.

Specchia Del Re

Si tratta di un tipo di struttura formata da blocchi megalitici disposti a formare un cono. Dalla sommità si domina tutta la vallata, intorno alla Specchia ci sono piccole strutture interpretate come tombe quadrangolari. Il nome deriva dalla presenza alla sommità della specchia di un sigillo reale ora non più esistente (forse trafugato). Intorno sono state rinvenuti materiali ceramici e punte di freccia che ci permettono di avanzare un ipotesi di datazione neolitica.

Sito Neolitico della Gravinella

Si tratta di un insediamento situato su di una alta collina, ed è caratterizzato dalla presenza di rocce calcaree, terreni fertili e risorse idriche (sulla spalla della lama detta “La Gravinella”). I frammenti ceramici sono molti e si trovano in superficie, denotando una frequentazione assidua del sito, probabilmente anche in epoche successive a quella neolitica (come dimostrano alcuni frammenti ceramici di fattura più articolata, di cui alcuni anche dipinti). Si registra anche la presenza di una cavità ipogea di media grandezza. Il sito si trova vicino agli insediamenti di Monte della Parata e di Pedali di Serra Morsara.

Chiesa Rupestre di Sant’Angelo

Complesso cenobitico-rupestre con cripta affrescata e chiesa superiore risalente all’XI sec.. L’ipogeo di natura carsica presenta al suo interno sia stalattiti che stalagmiti, e custodisce lacerti di affreschi e migliaia di graffiti. La chiesa superiore è a pianta rettangolare; il dislivello tra il piano di calpestìo attuale della chiesa e quello della grotta è di 5m circa ed in antichità si superava per mezzo di una ripida rampa (di cui non rimane che qualche traccia): secondo la tradizione orale, sembra avesse andamento ad “L” rovesciata. Il programma decorativo della grotta dell’Angelo a Santeramo in Colle è articolato come un percorso devozionale per il fedele. L’insieme della decorazione pittorica è caratterizzato da uno stato di conservazione molto precario che rende difficile la lettura degli affreschi. La prima immagine che si presenta a chi si accinge a scendere nella grotta è dipinta sull’architrave dell’ingresso e rappresenta un pesce, di cui si può intravedere parte della testa, la pinna dorsale e la pinna pettorale sinistra. Varcando la porta d’accesso è visibile in alto la copertura a volta con sopra una grande lunetta su cui troneggia il Cristo Pantocratore affiancato da sei apostoli seduti sia a destra che a sinistra, mentre la volta e le pareti sono decorate dalla rappresentazione della Discesa dello Spirito Santo. Quasi in asse con la porta di ingresso della grotta, si trova una nicchia a fondo piano che all’interno conserva tracce dell’icona dell’Arcangelo Michele che trafigge il drago. A sinistra della nicchia, si trova l’affresco che rappresenta la Madonna con il Bambino, tra San Michele Arcangelo e San Giovanni Battista. Il visitatore verrà condotto durante il percorso in prossimità del monumento dove potrà apprezzare la parte superiore esterna del complesso e i locali-trullo retrostanti la chiesa: la visita all’interno del monumento attualmente è interdetta dall’obliterazione degli ingressi per i lavori di ristrutturazione da tempo avviati. La descrizione dell’iconografia e dell’interno della chiesa verrà coadiuvata dall’apporto di tavole e piante di cui le nostre guide saranno fornite.

Lo jazzo rappresenta tutto l’ambiente circostante la chiesa rupestre di Sant’Angelo, caratterizzato da architetture tipiche del paesaggio pastorale come specchie, trulli e muretti a secco; sono stati inoltre rinvenuti frammenti di ceramica riferibili al periodo medievale. Tutti gli elementi che si trovano nell’area dello Jazzo, sono molto importanti per capire il ruolo del complesso sia in nella fase del pellegrinaggio, sia nelle epoche successive.

Grotta del Pesko-Corte Lupiske

Ipogeo semi-naturale situato alla sommità del sito archeologico della Gravinella. La tradizione locale ha attribuito a questo sito il nome “grotta del Brigante”, legandolo indissolubilmente a diverse leggende. In realtà dallo studio della cartografia storica derivante dagli archivi dei Carafa-Caracciolo, nobili del Regno delle due Sicilie e tenutari di vastissime porzioni dell’agro santeramano, è emerso il reale nome dato alla grotta. Si tratta di una grande grotta di natura carsica, lavorata in seguito dall’uomo e adattata a riparo sia per uomini che per animali. Presenta elementi architettonici tipici dello sfruttamento antropico delle cavità naturali, come ad esempio il lucernario/camino, le mangiatoie, gli abbeveratoi e le nicchie ricavate nelle pareti, il doppio accesso e la divisione dello spazio interno (uomo/animali), la definizione degli accessi mediante stipiti in muratura. In tutta la zona sono presenti altre cavità carsiche.

Stabilimento de Laurentis

Percorrendo la SS 271 da Santeramo in direzione Matera, nel tratto in cui una serie di curve porta dalla Murgia all’area delle Matine (375 metri sul livello del mare) si mostra alla vista una poderosa e compatta costruzione: si tratta dello stabilimento De Laurentis, dal nome di chi, nel 1882 volle edificare uno stabilimento vinicolo dotato di cantine, cisterne e casa padronale. Nelle immediate vicinanze vi sono ancora i resti di cave di tufo, tombe ipogee di età romana, cavità erosive e grotte.

Tombe a fossa scavate nella pietra calcarea

All’interno dell’area delle Quite si riscontrano anche tracce di insediamenti di età preistorica e protostorica, sia nelle fortificazioni in pietra, sia nelle numerose tombe a tumulo e a fossa a pianta ovoidale scavate nella roccia calcarea. Frequenti anche i ritrovamenti di frammenti ceramici che testimoniano frequentazioni della zona relative ad epoche successive.

Lago Travato

Si tratta di una cisterna di raccolta delle acque superficiali, realizzata rivestendo in pietra il punto più basso di una dolina (depressione di origine carsica). Conosciuta col nome di lago Travato, attualmente non è più attiva, ma il sito testimonia l’importanza che aveva la raccolta delle acque nella zona, come dimostra la presenza di un svariati pozzi e cisterne nelle vicinanze, anche in connessione con la vicina chiesa rupestre di Sant’Angelo: infatti, prima che la chiesa fosse dedicata al culto dell’Arcangelo Michele, si presume che l’ipogeo fosse legato al culto delle acque di stillicidio. Le fonti di acqua erano da sempre un punto di riferimento per i pellegrini. Questa zona era un punto di passaggio che collegava Bari con Matera, le due città più importanti della zona.

Bosco della parata

Si tratta di una delle poche macchie boschive autoctone di querceto, quindi di una rarità a livello nazionale per la presenza di sei specie di quercia (il fragno, la roverella, il cerro, il farnetto, il leccio e la coccifera). All’interno del bosco vive una fauna molto articolata e rara, in particolare volatili ma negli ultimi periodi sono rintracciabili anche tracce di lupi e cinghiali. Rilevante anche per la nidificazione di specie faunistiche soggette a tutela. I rapaci diurni, in particolare i migratori come il grillaio, sono specie sensibili alle alterazioni ambientali e microclimatiche: pertanto la loro presenza/assenza è un valido indicatore dello stato di salute degli ecosistemi. Come indica il nome stesso, questo bosco rientrava nel sistema delle “difese” di Santeramo.

Bosco denora

Pineta di reimpianto, rientra nel sistema delle “nuove difese” introdotto nel secolo scorso come opera di consolidamento di porzioni del territorio potenzialmente a rischio frana/ristagno d’acqua, ecc. (basti pensare alla Foresta di Mercadante…). L’utilizzo di conifere sempreverdi con prevalenza del pino è di fatto legato alla capacità di attecchimento di questa essenza in substrati come quello murgiano. In teoria, tali essenze dovrebbero costituire solo le specie “pioniere” per poi consentire la sostituzione con le specie autoctone del tipo a quercia. All’interno del bosco si toccherà uno jazzo in posizione atipica.

Bosco lama di lupo

Si tratta di un bosco di pino misto a macchie di querce, il sottobosco è ricco di specie naturali anche commestibili. Rientra anch’esso nelle pinete di reimpianto, anche se sembra essere un “innesto” su una preesistenza.

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Le origini di Terlizzi risalgono al VI secolo d.C., benché le prime testimonianze concrete della sua esistenza risalgano solo alla Donazione di Wacco (VIII secolo), feudatario longobardo che dona al Monastero di Montecassino il casale in Trelicio in quel tempo circondato da macchia mediterranea e querceti (quercus ilex). Da qui deriva, plausibilmente, il toponimo Trelicium o più diffusamente, nelle più antiche pergamene, Terlicium, equivalente a terra iliciumlocus inter ilicia, "terra di lecci" o "luogo posto fra i lecci" oppure Terlitium ovvero "terra contesa", Terlicio "tre luoghi", Terlizzo, Terlizo o Terricium ovvero "terra circondata da torri" .

Dopo la dominazione bizantina, a partire dall'XI, secolo Terlizzi rientra nella sfera d'influenza di Giovinazzo, sotto il dominio del normanno conte Amico, artefice delle fortificazioni in entrambe le città (ed a Terlizzi, del poderoso castello con tre torri, ripreso nello stemma cittadino), all'epoca ancora identificata come castellum. Ma fu nel 1123 che Terlizzi acquisì il titolo di città (come testimonia una stele affissa alla Torre Maggiore del Castello Normanno, unica superstite della struttura, in gran parte crollato tra XVIII e XIX secolo).

Nel Duecento fu capoluogo di contea infeudata alla famiglia Tuzziaco; in seguito fu dominio di Federico Wrunfort. Nel 1230 l'imperatore Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico vinse la lotta contro il papa: Gregorio IX. Subito dopo la vittoria Federico riconobbe tutte le città che lo avevano affiancato negli scontri contro il pontefice, tra cui Terlizzi. Lui, essendo anche un poeta, per ringraziare Terlizzi la agevolò nel commercio e le scrisse anche una frase di benevolenza cioè "Terlitium inter spinas lilium" ovvero "Terlizzi un giglio fiorito fra rovi spinosi".

Nel 1361 divenne signore di Terlizzi Guglielmo Sanseverino, per eredità di uno zio. Questa famiglia detenne la signoria fino al 1407, quando Ottavio/Ottaviano Sanseverino, che è anche signore di Parabita e di Cellino, viene privato di tutti i possedimenti per ribellione a re Ladislao di Durazzo. Subito dopo verrà investito della signoria di Terlizzi (assieme ad altri feudi) Francesco Orsini, conte e poi duca di Gravina. Nel 1532, però, il suo discendente Ferdinando Orsini, 5º duca di Gravina, perde definitivamente la signoria di Terlizzi, che passa ai Grimaldi principi di Monaco marchesi di Campagna che l'amministrarono fino al 1641[3].

Dal 1607 è amministrata dai baroni de Gemmis di Castel Foce, luogotenenti del feudo. Dai Grimaldi passò ai Giudice Caracciolo Duchi di Giovinazzo e Principi di Cellamare, fino a quando, morta Donna Eleonora Giudice Caracciolo senza figli né eredi diretti nel 1770, tutti i corpi feudali furono devoluti alla Regia Corte. Messa all'asta nel 1778 dalla Regia Camera della Sommaria per ordine del Re Francesco I di Borbone, i cittadini terlizzesi, tra cui il Barone letterato Ferrante de Gemmis, per non far nuovamente ricadere la città sotto la servitù feudale del probabile acquirente il Duca Carafa di Andria, promossero il riscatto feudale versando 90.000 ducati alla regia corte nel 1779 e Terlizzi divenne città demaniale. Tale somma però, non essendo nella disponibilità della Università di Terlizzi, fu prestata dal Barone Gennaro Rossi di Napoli il quale aveva ipotecato a sé tutti i corpi feudali di Terlizzi compreso il castello, fu rimborsata nell'arco di oltre un secolo e mezzo con molte difficoltà e vicissitudini giudiziarie chiusesi addirittura nel 1930.

Durante il Fascismo venne edificata la scuola primaria Don Pietro Pappagallo che inizialmente venne chiamata scuola primaria "Benito Mussolini". Infatti Mussolini mirava a potenziare l'apparato istruttivo italiano e comportando la diminuzione del grado di analfabetizzazione. Ma con la caduta del Fascismo, venne rinominata "Don Pietro Pappagallo" proprio in ricordo di quel presbiterio e antifascista italiano e terlizzese che lottò fino alla fine pur di liberare la sua patria dal Fascismo. Ancora oggi, lungo le pareti esterne della scuola, sono riconoscibili le cornici di spazi adibiti all'alloggiamento di stemmi, stemmi che dovevano essere il fascio littorio fascista e che vennero rimossi sempre subito dopo la caduta del Fascismo. Sempre durante il Fascismo, inoltre, la torre dell'orologio di Terlizzi, che ospitava già l'odierno orologio, venne privata delle lancette in oro di cui disponeva l'orologio, molto probabilmente per fonderle in lingotti d'oro per poi venderli e investire il ricavato nel sostenimento della guerra (Seconda Guerra Mondiale). Ancora oggi non manca la presenza di chiusini portanti lo stemma del comune di Terlizzi affiancato dal fascio littorio fascista.

 

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Terlizzi

Il portale dell'antica cattedrale romanica, realizzato da Anseramo da Trani intorno alla seconda metà del XIII secolo, fu posizionato sulla facciata nord della Chiesa del Rosario dal 1863. E' costruito in pietra locale, monolitica nella lunetta e nell'architrave sostenuto da mensole figurate.

Nella lunetta dell'archivolto è rappresentata l'Ultima Cena con il Cristo non al centro ma accanto agli Apostoli, tra i quali si riconoscono Pietro, Giovanni, e Giuda, proteso ad afferrare un pesce. Nell'architrave sono rappresentate scene della vita di Cristo: un angelo in volo annuncia alla Vergine la nascita del figlio; i Magi (uno in piedi, gli altri a cavallo) si avviano verso Betlemme per salutare nella grotta il Bambino, rappresentato poi in croce con ai piedi Maria e Giovanni. Di derivazione bizantina sono la doppia cornice e la rappresentazione per immagini isolate e frontali ma la resa plastica è di matrice schiettamente romanico.

Il centro storico di Terlizzi racchiude in sé vicoli e piazze piene di storia e con tanto da raccontare sui secoli trascorsi. Passeggiare tra le sue vie e magari perdervi nell’incrocio tra i vicoli strettissimi non potrà che portarvi alla piacevole scoperta di questo luogo. Nel centro storico di Terlizzi è possibile osservare una tradizione tipica dei piccoli borghi italiani e, una volta, anche delle  città, andata oramai persa quasi dappertutto: la gente per strada. Persone, giovani ed anziani, che con le proprie sedie occupano interi vicoli semplicemente per passare il tempo facendo due chiacchiere con i vicini, e bambini che giocano per strada con monopattini e palloni.

Tra le Chiese troviamo la Cattedrale. Poi Santa Maria La Nova, in via Vittorio Emanuele: in questa chiesa, la cui costruzione iniziale risale al 1500, gli aristocratici un tempo costruirono il loro pantheon, facendo realizzare cappelle e lastre commemorative.
Molto particolare è anche la chiesetta di Santa Lucia, in piazza Cavour, che si trova in una posizione quasi strana, incastrata e nascosta tra un vecchio palazzo nobiliare sulla sinistra (Palazzo Scalera) e l’ex monastero sulla destra (per chi guarda).
Ho potuto vedere purtroppo solo dall’esterno della recinzione la piccola chiesa medievale di Santa Maria di Cesano, che si trova nella campagna terlizzese, non lontano dalla via Appia-Traiana; purtroppo la chiesa è visitabile solo in occasione di alcune feste.

Terlizzi ha la fortuna di aver conservato molti palazzi di famiglie nobili: quello che mi ha colpito di più è il palazzo del barone De Gemmis, che si trova in via Vittorio Emanuele nei pressi della chiesa di Santa Maria La Nova di cui parlavo prima.
Tuttavia lungo il paese ci sono altri palazzi imponenti, come Palazzo Marinelli, in corso Dante Alighieri, e palazzo Valdura-Schettini, in largo Plebiscito.

 

Il rinvenimento di alcune tombe risalenti al V - IV secolo a.C., testimonia la presenza sul territorio, dove ora insiste Toritto, di un nucleo abitativo con annessa necropoli già in epoca peuceta. Nei secoli successivi anche Toritto seguirà le stesse sorti di Altamura con un progressivo decadimento dovuto al fatto di essere stato tagliato fuori dalle nuove vie di comunicazione che si andavano affermando.

 

E' in periodo tardo medievale che si documentano nuovamente testimonianze di una ripresa dell'urbanizzazione del territorio. Feudo normanno nell'anno mille (a quest'epoca si fa risalire il nucleo primordiale del castello), con la rinascita della vicina Altamura nel XIII secolo, entrava nella sua sfera di influenza economica, giuridica ed ecclesiastica.

A quest'epoca risale la riedificazione del Castello che si staglia sulla piazza e che era la dimora del Duca. Fino alla fine del XV secolo Toritto passa di feudatario in feudatario fino al 1493 quando fu acquistato dal nobile Stefano Pignatelli e rimase proprietà di questa famiglia fino al 1592 quando divenne feudo dei della Tolfa. A loro si deve l'ingrandimento del Castello. Nel XVII secolo ai della Tolfa subentrarono i Telesio. Tra la fine del '700 a l'inizio dell'800 si edificarono nuovi palazzi, nacquero nuovi piccoli quartieri, si costruirono nuove strade o si allargarono quelle già tracciate.

La strada dell'oliva dolce, oggi via Ettore D'Urso è uno degli esempi più belli di sistemazione urbanistica del '700, con gli ampi marciapiedi sui quali stendere le mandorle al sole, ponendo le premesse per la definizione del nuovo moderno assetto di Toritto.

 

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Toritto

Vi si trovano due piazze, la "piazza vecchia" (piazza Vittorio Emanuele II), sulla quale si affaccia il medioevale "Palazzo marchesale" (o "Castello marchesale", attestato dal 1167), e la "piazza nuova" (piazza Roma, poi piazza Aldo Moro), alberata e con al centro una fontana dedicata ai caduti delle guerre mondiali.

Presso la "piazza vecchia" si erge la Torre dell'Orologio con una porticina sulla via di Santa Maria, sul cui frontale è scolpito in rilievo "1564".

Toritto

Grotta di san Martino

La grotta di san Martino è una grotta sotterranea di origine carsica, quindi simile a quella delle ben più famose grotte di Castellana, ma più piccola. E' stata visitata da diversi gruppi di studiosi; la prima pianta della grotta, riportata in foto, è stata rilevata dal Centro Ricerche di Storia e Arte Bitontina il 4 marzo 1971.

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