A
Il Comune di Acquaviva delle Fonti si trova nell’entroterra pugliese. Sorge in provincia di Bari, a un’altitudine di circa 300 metri sul livello del mare, a una distanza ravvicinata sia dalla costa adriatica sia dalla costa ionica. Il suo nome deriva dalla grande falda acquifera che scorre nel suo sottosuolo. Le teorie più accreditate relative alle origini di
Acquavivafarebbero risalire i primi insediamenti al IV –V secolo nei pressi
della collina di Salentino, nelle vicinanze dell’abitato attuale. Gli
scavi effettuati nel 1976 portarono alla luce diverse abitazioni, vicino alle
quali furono ritrovati scheletri umani, testimonianza del fatto che il luogo
fosse abitato stabilmente. Gli abitanti di questo primo centro furono indotti
a spostarsi a valle, probabilmente a causa di qualche devastazione o attirati
dalla fertilità dei terreni e dalla ricchezza delle acque sorgive.
NUMERO TELEFONO COMUNE DI ACQUAVIVA: Centralino telefonico del comune: (+39) 080 3065111 Polizia Municipale: (+39) 080 761014 |
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Da visitare, nel borgo di Acquaviva, è sicuramente la
cattedrale, chiesa parrocchiale
intitolata a Sant’Eustachio. È una delle quattro basiliche palatine della
Puglia. La sua costruzione fu terminata nel 1594 e la chiesa venne consacrata
nel 1623. Al suo interno, colorato e arioso, attirano lo sguardo i numerosi
archi, le volte a vela e la cripta. |
Piazza dei Martiri, Acquaviva
delle Fonti Telefono: (+39) 080 769742 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Suggestiva è anche la Torre
dell’Orologio che, nel suo aspetto attuale, è il risultato di
un’opera di ristrutturazione realizzata tra il 1824 e il 1825. La costruzione
della Torre, voluta dal duca d’Atri Andrea Matteo Acquaviva, risale però ai
primi anni del Cinquecento come confermato dallo stemma del duca datato 1559
ancora presente sulla campana più grande. Piazza dei Martiri. (Nella Sezione
Palazzi) |
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Tra le architetture che caratterizzano la città, spicca il Palazzo De Mari-Alberotanza,
realizzato per volere del principe Carlo De Mari alla fine del XVII secolo.
Il palazzo, che nella sua costruzione inglobò un torrione dell’ex castello
normanno, è opera dell’architetto genovese Riccobuono. Sulla facciata
principale è presente una triplice balconata e un elegante portone di
ingresso. Il palazzo si compone di oltre 100 ambienti e si caratterizza per
una corte interna con loggiato al primo piano e per lo stemma araldico dei
principi De Mari. Piazza dei Martiri. (Nella Sezione
Palazzi) |
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La Cassarmonica di Acquaviva
delle Fonti domina la centralissima Piazza Vittorio Emanuele
II che ospita Palazzo De Mari, sede del Municipio, e che si
trova a pochi metri dalla Cattedrale di Sant’Eustacchio. L’opera venne realizzata con il contributo della cittadinanza
nel 1907 per onorare il Gran Concerto Bandistico della
città, premiato con numerosi successi in diverse zone d'Italia. La cassarmonica
venne realizzata in cemento armato, composta da una grande cupola
sorretta da otto colonne. Sui capitelli delle colonne è possibile ammirare le
riproduzioni dei profili dei più grandi musicisti pugliesi. Al di sopra,
invece, venne posizionata una grande scultura che raffigura Santa
Cecilia e i musici. Una grande scritta in caratteri romani domina il fascione
e riporta l’anno di conclusione dei lavori, il 1930, e la scritta
latina Laetare et disce ovvero, rallegratevi ed imparate. |
Piazza Vittorio
Emanuele II, Acquaviva delle Fonti |
ADELFIA Storia di Canneto Storia di Montrone
Secondo quanto asserito nel Settecento da don Cataldo de Nicolai, Montrone
sorse nel 982, il commerciante bizantino Roni Sensech, in fuga da Bari sotto
l'incalzare delle truppe longobarde, si stabilì su un'altura poco vicina, che
si presentava particolarmente adatta al pascolo e al commercio del bestiame.
Nacque così il villaggio di Mons Roni. Tra i suoi primi abitanti, vi era un
sacerdote bizantino che in una delle tre grotte della luogo dipinse una
Natività. In corrispondenza di quella grotta nel 1086 fu edificata la
cappella detta Madonna del Principio, consacrata poi dall'arcivescovo di Bari
Ursone. nel 1167 Guglielmo II il Buono riconobbe l'università di Montrone e
la diede in feudo a Goffredo Tortomanni, cui succedette Pasquale de Palma.
Nel 1276, Rodolfo de Colant, luogotenente di Carlo I d'Angiò, vendette il
feudo alla famiglia Sparano di Bari, che nel 1339 lo cedette al notabile
napoletano Gualtieri Galeoti. I suoi successori lo alienarono in favore di
Gualtiero di Aspruch nel 1380. Nel 1390, divenne possesso del notabile barese
Nicolò Dottula che dotò il borgo di un castello turrito, nucleo dell'attuale
palazzo marchesale, e ne mantenne il possesso fino al 1417. Il nuovo
feudatario, Nicolò Fusco di Ravello, nel 1423 vendette Montrone al nocerino
Niccolò Offieri. I suoi discendenti lo alienarono nel 1481 in favore del
conte di Conversano Giulio Antonio Acquaviva. Dal 1519 al 1629 il feudo fu
posseduto dalla famiglia Galeoti. Successivamente andò al principe di
Valenzano Aurelio Furietti, prima che ne entrasse in possesso la famiglia
bolognese dei Bianchi (1698), che nel 1790 cambiò il proprio nome per via
dotale in Bianchi Dottula. Il 5 aprile 1799, in seguito all'uccisione
del trombettiere dell'esercito napoleonico, di passaggio in Terra di Bari, ad
opera di un montronese di fede borbonica, furono uccisi 83 cittadini, inclusi
quelli che si erano rifugiati nella cappella della Madonna del Principio. Con
il ritorno dei Borbone fu innalzata una croce a memoria dell'eccidio. Nascita di Adelfia NUMERO TELEFONO COMUNE DI ADELFIA: Telefono: (+39) 080
4598571 |
Adelfia Architetture Religiose (Nella Sezione Luoghi di Culto) Chiesa di Santa Maria del Principio a Montrone (1086). Chiesa della Madonna della Stella a Canneto (1186). Chiesa Madre di Montrone, intitolata a san Nicola di Bari,
venne ricostruita attorno al 1711 e consacrata
nel 1726; il campanile fu innalzato del 1744 al 1747.
Nel 1833 il pittore
molfettese Saverio Calò ne affrescò gli interni; nel 1926 il
barese Bernardo Caprioli eseguì la decorazione in oro zecchino della parte
superiore della chiesa. Vi è contenuta la statua del patrono di Montrone e
compatrono di Adelfia, san Trifone martire, opera
dell'andriese Riccardo Brudaglio (1783). Chiesa Matrice di Canneto, dedicata all'Immacolata, fu costruita, consacrata e ampliata
tra il 1761 e il 1763.
Custodisce le reliquie di san Vittoriano martire, patrono di Canneto e
compatrono di Adelfia. Architetture Civili (Nella Sezione Palazzi) Palazzo Marchesale di Montrone: costruito nel 1396 dal feudatario Niccolò Dottula, fu
ampliato nel 1519 dal patrizio napoletano
Giambattista Galeoti e decorato con affreschi di scuola napoletana, rifinito
nella struttura attuale nel 1790 dal marchese di Montrone Luigi Bianchi
Dottula. Casina don Cataldo (Castello dei
Fascina) a Canneto (XVII secolo), fu costruita dal Nicolai
lungo la strada per Bitritto. Palazzo Angiuli in via Valenzano a Montrone (fine XIX secolo), affrescato. Nella cappella
interna, dedicata all'Immacolata Concezione, si celebra annualmente un
concerto ed una messa pro Terra Santa con il patrocinio dell'Ordine del Santo
Sepolcro. Palazzo Angiuli in c.so Umberto a Montrone (inizio XX secolo), affrescato. Villa Gigia (Villa Monteleone) a Canneto (XIX secolo). AD COERCENDAM MULIERUM PROCACITATEM
FRANCISCUS PAULLUS NICOLAI HUIUSCE TERRAE MARCHIO III ANNO DOMINI MDCCLXI presumibilmente un antico carcere delle donne adultere o solo
un locale posto a monito per frenare la possibile avvenenza delle donne o
mera correzione di atti delittuosi o ancora elemento educativo, resta ad oggi
una suggestivo angolo di storia. Architetture militari (Nella Sezione Palazzi) Torre normanna di Canneto: costruita da Alfonso Balbiano negli anni dal 1147 al 1153,
è alta 19 metri e composta di 4 piani; termina con un coronamento aggettante
di archetti pensili su
mensole. È stata dichiarata monumento nazionale nel 1920,
insieme all'adiacente palazzo marchesale di Canneto. |
Alberobello nasce tra il ‘400 ed il ‘500 ad opera di alcuni contadini
mandati sul luogo dai Conti di Conversano, all’epoca proprietari del
territorio. La legge vigente, a quei tempi, nel Regno di Napoli, in
particolare la Prammatica de Baronibus, sottoponeva ogni nuovo
insediamento urbano ad un’autorizzazione regia, che si otteneva previo
pagamento dei tributi dovuti. Per evitare il balzello, i Conti di Conversano
imposero ai contadini, mandati a colonizzare quello che allora era un bosco
di querce, di costruire solo costruzioni precarie, che non avessero i
caratteri della stabilità delle dimore ordinarie. Di qui i trulli, costruiti
in pietra a secco, per facilitarne la demolizione, in modo tale che in caso
di ispezione regia non si scorgessero i tratti di un insediamento urbano,
evidentemente abusivo. Questa storia di precarietà si è trasformata
gradualmente in una storia di civiltà, la civiltà della pietra a secco. Il paesaggio agrario è caratterizzato da una folta vegetazione di mandorli ed ulivi tipica del terreno carsico mentre, dalle rocce calcaree stratificate, viene estratto il materiale utilizzato per la copertura dei trulli. Le dimore a trullo infatti sono dominate dall’uso esterno della pietra a sfoglie, le “chiancole” che rivestono il cono e creano il meraviglioso centro urbano, unico al mondo, che oggi tutti vengono ad ammirare. NUMERO TELEFONO COMUNE DI
ALBEROBELLO: Telefono: (+39) 080 4321200 |
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Il Museo del Territorio, ex Casa Pezzolla |
Piazza XXVII Maggio. Alberobello (BA) Telefono: (+39)
380 4111273 (Nella Sezione Musei) |
I Trulli La nascita dei primi trulli risale all’epoca
preistorica. Già in questo periodo, infatti, erano presenti nella Valle
d’Itria degli insediamenti e iniziarono a diffondersi i tholos,
tipiche costruzioni a volta usate per seppellire i defunti. |
Alberobello
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Trullo Sovrano Situato a nord del paese, alle spalle della Chiesa dei Santi Medici Cosma e Damiano,
rappresenta il più avanzato esempio di trullo disposto su due piani. La maestosa
cupola conica, alta circa 14 metri, si erge imponente al centro di un gruppo
costituito da dodici coni.
Il Trullo Sovrano è, dunque, un edificio di transizione che
preannuncia il mutamento generale della tecnica di costruzione dei trulli. |
Piazza Sacramento, 10 Alberobello Il termine "Trullo Sovrano" è stato coniato dal Notarnicola, sostituendo l'antico toponimo Corte
Papa Cataldo, che si riferiva all'intero vicinato. Questo deriverebbe dal
nome del proprietario il sacerdote Cataldo Perta. Questo nome è stato citato
in un importante documento notarile del 15 aprile 1797, proprio in relazione
ad alcune modifiche apportate alla casa, non conformi alle prescrizioni
dettate dai feudatari, che a quanto sembra esercitavano un controllo sulle
abitazioni. Il succedersi degli avvenimenti ha impedito che le imposizioni
del Feudatario avessero corso e pertanto la facciata del Trullo Sovrano si
può con sicurezza datare al 1797 o al massimo al precedente anno. |
Chiesa Trullo, Chiesa di Sant’Antonio Dopo aver ammirato la suggestiva foresta di trulli, quasi a
coronamento dell'area storica denominata Rione Monte, sorge la Chiesa di
Sant'Antonio. |
Via Monte Pertica, Alberobello Telefono: (+39) 080 4324416 In pietra calcarea e costruita con la tecnica tipica dei trulli
(di cui riproduce la volta conica), questa chiesa si propone come punto di
collegamento e mediazione tra passato e presente, antico e moderno. |
I Trulli Siamesi Il trullo Siamese è forse tra i più antichi trulli di
Alberobello, se è vera l'iscrizione epigrafica del portale che riporta la
data 1400, oltre al resaturo eseguito dai fratelli Mataresse nel 1997. A
prescindere dalla veridicità della data che lascia nel dubbio molti storici,
sta di fatto che la struttura ne avvale la storicità remota. In realtà, la
struttura compatta e possente della muratura potrebbe storicamente confermare
questa origine, in quanto i trulli più antichi di solito presentano un
perimetro circolare e murature molte robuste. Infatti la pianta è quasi
ellittica e il trullo è costruito su una roccia sporgente, circoscritto da un
contrafforte di grossi macigni. Il trullo dispone di due cupole unite centralmente, su di una
spicca in alto un piccolo abbaino mentre sull'altra campeggia il simbolo
dipinto con latte di calce del sole. All'interno c'è un solo focolare
collocato affianco all'uscio e non vi è nessuna finestra. |
Il trullo ha due prospetti che si affacciano su due stradine
diverse (uno su via Monte Nero e l'altro alle spalle su via Monte Pasubio). Alberobello Questa stranezza è legata alla vicenda di due fratelli che
abitavano insieme nel trullo e che si innamorarono della stessa donna.
L'aneddoto racconta che la donna era stata promessa in sposa al primogenito,
ma finì per innamorarsi del fratello più piccolo con il quale si involò. I
tre iniziarono a vivere sotto lo stesso tetto, ma la convivenza divenuta
insostenibile spinse il fratello maggiore, che si avvalse del diritto di
primo genitura, a scacciare i due amanti. Il fratello minore non accettò
questa regola, anzi protestò e fece valere il suo diritto di eredità e
perciò, alla fine, pensò bene di dividere il trullo a metà e di creare un
secondo uscio indipendente sul retro. Il trullo è stato restaurato nel 1997 e attualmente ospita un
negozietto di souvenir. |
Il centro storico di
Altamura si presenta con una forte identità: con i suoi 3.199
abitanti, ha una storia e caratteristiche proprie che permettono di
considerarlo un piccolo borgo all'interno della città. I famosissimi ritrovamenti fossili dell'Uomo di Altamura sono
testimonianza della presenza umana in questo territorio già 40.000 anni prima
di Cristo. In un tempo molto più recente, intorno al 500 a.C., vennero
costruite le mura megalitiche che diedero il nome alla città
(Alte-Mura). A questo periodo seguirono molte dominazioni e conquiste, che
videro una conclusione solo con l'arrivo, nel 1232, di Federico II, il cui
regno diede il via alla rinascita della città, che si ripopolò di genti
arabe, greche ed ebree e si dotò della sua famosa cattedrale. E' in questo
periodo storico che la città assume il suo aspetto caratteristico con i
"claustri", piccole piazzette circondate di viuzze. Successivamente Altamura subì
diverse signorie e visse un periodo particolarmente florido tra il
1500 e il 1700. Nel 1748 fu istituita l'Università degli Studi che
partecipò a diffondere ideali di uguaglianza e libertà promossi a quel tempo
dalla Rivoluzione Francese. Conquistata da questo nuovo spirito, la
cittadinanza, quando la città fu assediata nel 1799 dall'esercito della Santa
Sede, si mobilitò in una lunga resistenza, evento per il quale gli storici
del Novecento iniziarono a chiamare la città "Leonessa della
Puglia". NUMERO TELEFONO COMUNE DI ALTAMURA: Telefono: (+39) 080 3141014 (+39) 080 3165111 |
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Cattedrale di Altamura La cattedrale d'Altamura, una delle poche costruzioni sacre
volute da Federico, non fu vista ultimata da lui. La prima pietra fu posta
nel 1232 contemporaneamente alla fondazione della città; la costruzione della
chiesa andò molto a rilento e solo nel Trecento, a più di cinquant’anni dalla
morte dell’Imperatore, poté fregiarsi del magnifico portale, uno dei più
belli di Puglia. Egli la concepì come un " unicum " architettonico,
al pari di Castel del Monte. Ne fece un "Unicum" anche dal punto di vista giuridico
perché la rese libera da ogni giurisdizione vescovile; la tolse, infatti, al
potere del vescovo della vicina Gravina e la mise alle sue dirette
dipendenze, come una cappella palatina, ossia appartenente al Palazzo Reale.
Purtroppo l’impianto originario di questa basilica a tre navate, con solenni
matronei, è quasi del tutto irriconoscibile a causa dei numerosi
rimaneggiamenti subiti alla fine del XIV sec., nel XV sec. e nei decenni
successivi, e nel XIX sec. |
Corso Federico
II di Svevia, 77 Altamura Telefono: (+39) 080 3117032 L’impronta federiciana è riconoscibile nel fianco destro, dove
si aprono sette arcate ed un portale voluto da Roberto D’Angiò. Non resta
molto dell’edificio medievale che, secondo gli studiosi, doveva avere una
facciata anche sul lato opposto, con l’abside incassata nello spessore del
muro, sul quale oggi si apre la facciata principale. All’esterno è da
ammirare il portale, fiancheggiato da due leoni cinquecenteschi con il
timpano impreziosito da una statua di Cristo benedicente. Sull'architrave è
raffigurata l'ultima cena con il Cristo che è baciato da San Giovanni; sulla
tavola pani e pesci e nella lunetta la Madonna seduta con il Bambino.
Inferiormente la scena dell’Annunciazione, realizzata in due altorilievi
posti a fronte, uno a sinistra, con l’angelo in ginocchio, e l’altro a
destra, con la Vergine che piega il capo al divino annuncio e si copre il
petto con le braccia incrociate. I due grandi campanili si alzano come
braccia, in mezzo un magnifico rosone a 15 raggi con la ghiera riccamente
scolpita. |
Santuario della Madonna del Buon
Cammino Situato sulla strada che una volta conduceva a Bari, risale al
1747. Venne fatto costruire dal canonico Giambattista Nicolai al posto di una
piccola nicchia che rappresentava un segno di protezione per i viandanti,
lungo il cammino che attraversava le strade della Murgia, strade spesso
solitarie e insidiose. |
Via Mena, Altamura Telefono: (+39) 080 3145922 |
Altre importanti chiese della città sono la chiesa della Madonna del Rosario, del Sacro
Cuore, di San Giovanni Bosco, di Santa Maria della Consolazione,
di San Nicola e della Santissima Trinità. (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
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Di notevole interesse antropologico è il Museo Etnografico della civiltà contadina,
dove sono esposti oggetti relativi all'artigianato, all'agricoltura, alla
pastorizia e alla viticoltura, insieme a reperti di abbigliamento
tradizionale e giochi antichi, il tutto risalente al periodo compreso tra la
fine del 1800 e il 1930. (Nella Sezione Musei) L'A.B.M.C. (Archivio Biblioteca
Museo Civico) vanta una collezione di 13
incunaboli, 434 cinquecentine, 140 pergamene, circa 90.000 pagine di
manoscritti, nonché un importante archivio fotografico e di disegni
architettonici dell'800 e del '900. (Nella Sezione Biblioteche) |
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Uomo di Altamura Si tratta degli unici resti di scheletro umano intero del
Paleolitico, appartenuti a un Homo neanderthalensis vissuto tra i
180.000 ed i 130.000 anni fa, un caso eccezionale sia dal punto di vista
geologico sia da quello archeologico, integro nella struttura scheletrica e
in ottimo stato di conservazione. L’Uomo di Altamura era probabilmente un maschio adulto di
160-165 centimetri di altezza che, durante una battuta di caccia, cadde
in uno dei tanti pozzi carsici presenti nella zona. Le fratture e le ferite
riportate gli impedirono di uscire dalla grotta, che da quel momento divenne
la sua tomba per sempre, a 8 metri di profondità. Con il passare dei
millenni, le sue ossa vennero letteralmente inglobate nelle concrezioni
calcaree fino alla scoperta, avvenuta nel 1993 da parte di un gruppo di
speleologi. Lo straordinario reperto archeologico fu individuato dal
CARS - Centro altamurano ricerche
speleologiche all’interno della Grotta di Lamalunga, a circa 3
Km da Altamura, caratterizzata da un sistema di cavità carsiche e
stretti cunicoli. Vi si accede attraverso un inghiottitoio profondo
circa dieci metri superato il quale, dopo un percorso di circa sessanta
metri, ci si imbatte nello splendido scheletro fossile. Nel 2017 è stata presentata al pubblico ed esposta nel Museo
Nazionale di Altamura, una perfetta ricostruzione dell’uomo di Altamura,
cominciata eseguendo una riproduzione digitale del cranio con dati
morfologici raccolti mediante l’utilizzo dello scanner laser e
della fotogrammetria, per poi arrivare a un modello in scala di
impressionante impatto, opera dei fratelli Kennis, già noti per aver ridato
vita a Öetzi, l’uomo del Similaun, conservato nel Museo Archeologico di
Bolzano. |
Altamura La rete museale dedicata all'Uomo di Altamura si articola nelle
tre sedi del Museo Nazionale Archeologico di Altamura, la Masseria Lamalunga
e il Palazzo Baldassarre. E-Mail: rete@uomodialtamura.it PALAZZO BALDASSARRE Centro Storico, Giorni e Orario apertura:
CENTRO VISITE LAMALUNGA Strada Provinciale 157 Altamura - Quasano, km.1,9 Giorni e Orario apertura: Dalle ore 09:00 alle ore 18:00 Da Giugno a Settembre Dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle 17:00 alle 21:00
Dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore 14:00 alle ore 18:00 Visita guidata Comitive: 3€ (Minimo 10 persone) Gratuità: docenti in servizio/accompagnatori, guide, titolari di
agenzie di viaggio, minori di 5 anni Strada Provinciale 157 Altamura - Quasano, km 1,9 Telefono: (+39) 339 6144164 Biglietti cumulativi Visita guidata Attività extra visite guidate ed escursioni Lamalunga o Baldassarre + Belvedere del Pulo (Minimo 10
persone): biglietto + 3€ Lamalunga o Baldassarre + Grotta della Capra o Grotta Prima (Minimo
10 Persone): Biglietto + 3€ Visite guidate al Museo Archeologico 3€ (Minimo 10 Persone) Laboratori didattici per gruppi e scolaresche da concordare
All'interno del territorio del Parco Nazionale
dell'Alta Murgia, a 3 km dall'abitato di Altamura, il Centro Visite di
Lamalunga, gestito dal Comune di Altamura, sviluppa il discorso
espositivo/didattico intorno al fenomeno del carsismo per
approfondire la conoscenza dell’ambiente dell’Alta Murgia e della speleologia,
per inquadrare e illustrare le tematiche e le attività che hanno condotto
alla scoperta della grotta dove è conservato lo scheletro fossile. Una
selezione di minerali e fossili illustra la storia della terra, con
particolare riguardo per la geologia del territorio e si possono osservare da
vicino le speciali attrezzature con cui gli esperti esplorano le cavità
carsiche, traendo informazioni importanti per la conoscenza della natura.
Nella Stanza dei pipistrelli si può vivere l’esperienza della
ecolocazione, cioè orientarsi e individuare gli ostacoli tramite l’emissione
di ultrasuoni. Il percorso di visita, che comprende l’utilizzo di sussidi
audiovisivi, può essere integrato con specifiche attività didattiche,
destinate precipuamente a un’utenza scolastica. Partendo dal centro visite allestito presso la Masseria, sono possibili escursioni per raggiungere l’imbocco della Grotta dell’Uomo, la Grotta della Capra, il Pulo, il parco della Mena. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI
ALTAMURA Dal Lunedì al Venerdì dalle ore 8:00 alle ore 19:45 Lunedì Chiuso Biglietti È possibile acquistare il biglietto per 1 solo sito della Rete
museale oppure un biglietto "integrato", valido per un sito
della Rete museale (Palazzo Baldassare o il Centro Lamalunga) e per
altri 2 o 3 siti del territorio, a scelta tra musei, cattedrale, grotte,
masserie e forni. Con il biglietto integrato riceverete in regalo una pagnotta del
celebre pane di Altamura DOP. DOVE ACQUISTARE •https://uomodialtamura.it/go/14/biglietti.aspx - Palazzo Baldassarre - Centro Lamalunga - Info Point Biglietto integrato •https://uomodialtamura.it/go/14/biglietti.aspx - Palazzo Baldassarre - Centro Lamalunga - Info Point - Museo Diocesano Matronei - Via Arco del Duomo, n. 1 - Forno F.lli Di Gesù - Via E. Pimentel, 15 BIGLIETTO PER 1 SITO: Gratuito per: minori di 5 anni, diversamente abili, docenti
accompagnatori, guide turistiche, titolari agenzie di viaggio BIGLIETTO INTEGRATO 2 SITI Il biglietto include: - ingresso e visita guidata a Palazzo
Baldassare oppure al Centro Lamalunga BIGLIETTO INTEGRATO 3 SITI Il biglietto include: - ingresso e visita guidata a Palazzo
Baldassare oppure al Centro Lamalunga BIGLIETTO DEGUSTAZIONE Comitive (minimo 10 persone): € 3.00
Per docenti accompagnatori, guide turistiche, minori 5 anni,
diversamente abili, titolari agenzie di viaggio. INFO E CONTATTI Per qualsiasi informazione o chiarimento su biglietti, acquisti
e visite chiamate i nostri numeri (+39) 080 8910777 e (+39)
320 0466133 E-Mail: segreteria@uomodialtamura.it |
Archivio
Biblioteca Museo Civico (A.B.M.C.) L'idea di creare in Altamura un'importante istituzione
culturale fu manifestata dal conte Celio Sabini in una lettera del 6
settembre 1946 indirizzata al prof. Francesco Lospalluto, docente di Latino e
Greco presso il locale Liceo Ginnasio "Cagnazzi" e direttore
onorario della Biblioteca Comunale di Altamura con la quale accompagnava un
cospicuo dono di 1122 volumi e 562 fascicoli. Il nobile mecenate auspicava la costituzione in Altamura di un
Archivio Biblioteca Museo Civico” con lo scopo di: Raccogliere i documenti, le pubblicazioni, i ricordi, le
opere d’arte d’interesse nazionale ed in particolare pugliese e, più
propriamente, altamurano e, quindi, avente attinenza con le famiglie e con i
singoli di Altamura, onde evitare che, con il ramificarsi di alcune famiglie,
con l’esodo di altre e con l’estinguersi di altre ancora, i documenti, le pubblicazioni,
i ricordi e le opere d’arte da queste possedute, vadano fuori di Altamura e,
infine, dispersi. Tentare di ricuperare e riportare ad Altamura i
documenti … d’interesse altamurano e che risultino già dispersi. Costituire e mantenere una raccolta completa e viva, che
parli della vita di Altamura nei secoli, perché sia di esempio e di sprone a
nuove opere e di incitamento a studi e a pubblicazioni. Dotare Altamura, centro di studi e di cultura dell’Italia
Meridionale, ancor più che delle Puglie, di una biblioteca la più ricca ed
aggiornata che sia possibile, ad uso di studiosi e di studenti» L’idea si concretizzò nella sera del 4 novembre 1948. Nella riunione tenutasi presso la Biblioteca Comunale cui
convennero numerosi cittadini fu approvata la proposta avanzata dal conte
Celio Sabini di fondare l’Archivio Biblioteca Museo Civico (A.B.M.C.) e
veniva costituito un comitato per procedere alla legalizzazione del nascente
Ente con atto rogato dal notaio Ferdinando Schifini in data 19 ottobre 1949. L’A.B.M.C. si arricchì in poco tempo di volumi, documenti,
reperti archeologici e museali, dipinti versati da numerosi privati ma anche
dal Comune di Altamura che divenne socio perpetuo e con il quale
l’A.B.M.C. stipulò nel 1951 una convenzione. L’A.B.M.C. ha ottenuto il 6 dicembre 1963 dal Presidente
della Repubblica il riconoscimento di Ente morale e il 12 giugno 1985 quello
di Ente di interesse locale da parte della Regione Puglia. Dal 1954 pubblica la rivista storica “Altamura”. L’Archivio Il nucleo originario dell'archivio era composto da quello
storico comunale, custodito fin dalla fine dell'Ottocento presso il locale
Museo civico. |
Piazza
Zanardelli, 30 Altamura Telefono: (+39) 080 3111708 La Biblioteca La biblioteca dell'Ente costituisce per numero di volumi e
specificità delle raccolte una delle più ricche della Regione. Il Museo
Civico Come per l'Archivio, anche gran parte del materiale museale
custodito dall'A.B.M.C. proviene dal patrimonio conservato nell'ottocentesco
Museo civico di Altamura che fu sciolto nel 1909. Tutti gli oggetti furono
conservati presso i locali del Liceo Classico "Cagnazzi" e salvo
alcune eccezioni (come il primo fondo pergamenaceo e il polittico
quattrocentesco del Vivarini che furono affidati rispettivamente all'Archivio
di Stato di Bari e alla Soprintendenza di Bari) ceduti nel 1949 dal Comune
all'Ente in occasione della stipula della convenzione.
Giorni e Orario apertura: Dal Lunedì al Venerdì dalle ore 09:00 alle ore 13:00; e dalle
ore 16:00 alle ore 19:00 |
Si dice che a Bari “nessuno è straniero” e del
resto come potrebbe essere diversamente, visto che in 4000 anni di storia il
capoluogo pugliese è stato governato dai popoli più disparati: dagli ostrogoti ai longobardi,
passando per i bizantini e i saraceni. Guidati dalle preziose pubblicazioni
“Bari Bizantina” di Nino Lavermicocca e “Bari nella storia” di Vito Antonio
Melchiorre, cercheremo di illustrare in breve tutte le varie dominazioni
subite dai baresi. I Romani (dal 326 a.C.
al 476 d.C.) – E’ il 326 a.C. quando i baresi chiedono aiuto ai Romani per
difendersi dalle invasioni sempre più pressanti dei Sanniti, popolazione
proveniente dall’Appennino. Fra trattative pacifiche e azioni militari Bari
entra così a far parte della Repubblica Romana, riuscendo a ottenere il
titolo di municipium: può
eleggere i propri rappresentanti al governo della città e avere leggi
proprie, ma deve pagare le tasse all'Urbe e partecipare alla vita militare
della “Capitale”. Tra le testimonianze ancora visibili di questo periodo
storico ci sono le colonne posizionate sul lungomare nelle vicinanze del
Fortino e l’antico pavimento che si trova in piazza del Ferrarese. I Saraceni (dall’847
all’872) - Bari nell'847 viene invasa dai Saraceni, arabi di razza berbera
provenienti dall’Egitto. Sotto l'emirato di Sawdan Bari diviene porta
esclusiva verso l'Oriente: i baresi affinano le doti di commercianti,
adottano abbigliamenti e tessuti orientali, imparano l'arte del ricamo e
della coltivazione del cotone. Nella Basilica di San Nicola è forse presente
l’unica testimonianza di quel periodo: su un pavimento a mosaico dove sembra
ripetersi il monogramma cufico di Allah (“Allah è grande”). Ma la presenza
araba la si ritrova anche nel linguaggio: in cognomi come Morisco o in termini dialettali tra cui felusce usato
per indicare il denaro.
Gli Angioini (dal 1268
al 1442) – Durante il governo degli Angioini Bari passa un periodo
oscuro, continuamente minacciata e conquistata da uno o l'altro dei
componenti della stessa famiglia Angiò e relegata a dover consegnare il suo
fiorente commercio nelle mani di Veneziani, Fiorentini e stranieri in genere.
Simbolo della presenza degli angioini è l'Arco posto ad accesso di Piazza San
Nicola, aperto da Carlo II. Poi sotto la regina Giovanna II d'Angiò
diviene duca di Bari il principe di Taranto: Giovanni Antonio del Balzo Orsino. I Borbone di Spagna (dal 1734 al
1798) - La guerra di successione polacca, dopo la pace
di Vienna, porta sul trono di Napoli Carlo III Borbone di Spagna. Il re
visita la città nel 1741 con la moglie Maria Amalia Walburga e dà il via a
varie opere pubbliche. All’ingresso del Fortino si trova una targa che
ricorda la concessione dei lavori. Nel 1759 il regno passa al figlio
Ferdinando IV che autorizza l’espansione della città al di là delle mura
medievali. I lavori non verrano però portati avanti per gli stravolgimenti
politici che di lì a poco trasformeranno l’Europa e l’Italia. NUMERO TELEFONO COMUNE DI BARI: Telefono: (+39) 080 5771111 |
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Basilica di San Nicola Uno dei simboli della città di Bari, sorge nel cuore della città
vecchia, in una larga piazza, dove, prima della sua costruzione, vi era il
palazzo del catapano bizantino
(distrutto durante una ribellione popolare). L'edificio fu eretto tra
il 1087 ed il 1197,
allo scopo di custodire le reliquie di san Nicola,
trafugato da Myra da alcuni marinai nel 1087. La
sua struttura è uno dei migliori esempi di architettura romanica pugliese. |
Largo Abate Elia, 13 Bari Telefono: (+39) 080 5737111 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
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La cattedrale di San Sabino Fu eretta tra XII e il XIII secolo, dopo la distruzione della
città (avvenuta nel 1156) ad opera di Guglielmo I di
Sicilia. Come la basilica, anche questa chiesa è uno dei migliori
esempi di Romanico pugliese:
ha una facciata semplice, e, come il resto del complesso, si caratterizza per
la presenza di lesene, archi, bifore e monofore. In alto presenta un maestoso rosone dalla cornice variegata. I
tre portali che immettono nell'interno sono datati all'XI secolo, ma sono
stati rimaneggiati nel XVIII secolo. |
Piazza
dell'Odegitria, 1 Bari Telefono: (+39)
080 5210605 (Nella Sezione
Luoghi di Culto) |
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Palazzo dell'Acquedotto Pugliese Nel 1924 l'Ente Acquedotto Pugliese si dotò di una sede
centrale, affidando a Cesare Vitantonio Brunetti un edificio in Via Cognetti,
a poca distanza dal mare. L'imponente candida facciata bugnata che corre
attorno ai quattro lati dell'edificio dona l'aspetto inespugnabile di una
fortezza. Tuttavia, varcato l'accesso, si possono ammirare gli splendidi
interni scaturiti in ogni minimo particolare dalla fantasia liberty di Duilio Cambellotti:
il tema dominante è quello dell'acqua, che viene proposto nei grandi
affreschi della Sala del Consiglio, nei pavimenti, negli intarsi in legno e
madreperla degli oltre 140 mobili originari. |
Via Salvatore Cognetti, 33 Bari Telefono: (+39) 338 5618934 (Nella Sezione
Palazzi) |
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Palazzo Mincuzzi Nel cuore del quartiere Murat, all'angolo tra l'elegante via
Sparano, strada della moda e dello shopping barese, e via Putignani, Aldo
Forcignano elaborò nel 1923 un progetto con soluzione d'angolo per
l'edificio, che mantiene tuttora chiare destinazioni commerciali. La facciata
è un coacervo di colonne, lesene bugnate, capitelli ionici e mascheroni tra i
quali si sviluppano le molte finestre, tutte scolpite da Nicola Buono,
scultore del vicino paese di Capurso. Gli interni, ricchi di
decorazioni Liberty, sono
dominati da un monumentale scalone e illuminati dalla cupola vetrata che
sovrasta l'edificio. |
Via Sparano da Bari, 98 Bari (Nella Sezione
Palazzi) |
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Palazzo Fizzarotti Edificato su Corso
Vittorio Emanuele II e radicalmente ampliato negli anni
1905-1907 da Ettore Bernich e
Augusto Corradini, si presenta come un imponente edificio in stile eclettico.
Molti degli stilemi del romanico pugliese vengono fusi con diverse tradizioni
architettoniche. La facciata, composta da tre piani in stile veneziano sui
quali si apre un leggero loggione colonnato, è un omaggio alla liberazione
della città occupata dai Saraceni compiuta dalla Serenissima nel 1022. Gli
interni, accessibili mediante un suggestivo androne marmoreo, ospitano
diverse decorazioni che richiamano l'epoca federiciana, allegorie delle
attività economiche della Puglia e simboli esoterici. L'edificio oggi è
adibito ad uso residenziale, ma ospita anche la sede della Delegazione
Regionale della Puglia della Gran
Loggia d'Italia di Piazza del Gesù, oltre ad un centro
polifunzionale con sale per esposizioni e numerosi studi professionali. |
Corso Vittorio Emanuele, 193 Bari Telefono: (+39) 080 5212988 Giorni e Orario apertura: Dal Lunedì alla Domenica (Escluso il Sabato) dalle ore 09:00
alle ore 20:00 (Nella Sezione Palazzi) |
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Palazzo de Gemmis Elegante palazzo ottocentesco dei Baroni de Gemmis, neoclassico.
Sulla facciata è posta una lapide marmorea in ricordo di Giuseppe Garibaldi,
accolto nel suo arrivo a Bari dal Barone patriota Nicola de Gemmis, primo Sindaco di Bari.
Il Palazzo ospitò anche la raccolta del bibliofilo ing. Gennaro de Gemmis,
fondatore della omonima biblioteca, la più ampia sulla storia della Puglia.
Il Palazzo fu requisito per usi militari durante la Seconda Guerra Mondiale. |
Bari (Nella Sezione
Palazzi) |
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Il Castello
Normanno-Svevo E’ una fortezza costruita nel 1131 da Ruggero II di
Sicilia. Nel 1156 Guglielmo I di
Sicilia, lo distrusse quasi interamente e, subito dopo, Guido il
Vasto, su commissione di Federico II di
Svevia, si occupò della sua ricostruzione. Dopo gli interventi di
Federico II, durante il XVI secolo, furono effettuati vari
interventi per adeguarlo alle esigenze difensive dell'epoca. Il complesso è
caratterizzato dalle torri quadrate che lo sovrastano e da un fossato largo
e profondo. |
Piazza Federico
II di Svevia 4 Bari |
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Il Fortino di Sant'Antonio
Abate Situato sul lungomare Imperatore Augusto, di fronte al vecchio
porto (ribattezzato Molo Sant’Antonio), il Fortino di Sant’Antonio Abate,
insieme a quello di Santa Scolastica, è uno dei quattro baluardi che hanno
scandito la cinta muraria barese fino al XIX secolo. |
Lungomare Imperatore Augusto
Bari Telefono: (+39) 080 5773846 Il fortino ha avuto bisogno di diversi interventi di
consolidamento. Nel corso del XV secolo fu riedificato completamente per
volere di Isabella d’Aragona e della Universitas barese; nel XVI secolo gli
fu restituito l’aspetto fortificato che, dopo un lungo periodo di abbandono,
è stato recentemente ripristinato dal Comune e dalla Soprintendenza ai beni
culturali. |
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La Muraglia La Muraglia è ciò che resta delle fortificazioni verso mare che
proteggevano Bari dal XII al XIX secolo. |
Lungomare
Augusto Imperatore Bari |
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Parco 2 Giugno Nel quartiere Carrassi di Bari, il Parco 2 Giugno è un
immenso polmone verde, il più grande parco pubblico della città situato
proprio ai margini del centro. |
Largo 2 Giugno Bari All’interno del Parco si trova la Biblioteca dei Ragazzi,
ospitata nel centro Futura, cui si accede da viale della Resistenza.
Le giostrine in legno e plastica sono ben tenute e molto amate dai
piccoli. Biblioteca Dei Ragazzi-e Via della Resistenza, 178 Telefono: (+39) 080 9262102 Giorni e Orario apertura: Martedì dalle ore 09:00 alle ore 13:00; e dalle ore 16:00 alle
ore 19:00 Mercoledì dalle ore 09:00 alle ore 13:00 Giovedì dalle ore 09:00 alle ore 13:00; e dalle ore 16:00 alle
ore 19:00 Venerdì dalle ore 10:00 alle ore 12:00 Sabato dalle ore 16:00 alle ore 19:00 Domenica dalle ore 10:00 alle ore 13:00 E-Mail: biblioteca@progettocitta.org |
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Biblioteche Biblioteca Nazionale Sagarriga Visconti-Volpi; Biblioteca
Provinciale De Gemmis; Biblioteca Comunale; Biblioteca "Gaetano Ricchetti"; Biblioteca Multimediale Del Consiglio Regionale "Teca Del
Mediterraneo"; Biblioteca Sportiva Regionale Del CONI; Biblioteca Della Fondazione Gianfranco Dioguardi; Biblioteche Dell'università Degli Studi E Del Politecnico Di
Bari; Biblioteca Di Quartiere "Don Bosco - Buona Cultura” (Nella Sezione Biblioteche) |
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Pinacoteca di Bari “Corrado Giaquinto” Dal marzo 1987 è esposta in
Pinacoteca la Collezione Grieco, cinquanta prestigiosi dipinti italiani del
secondo Ottocento (gli artisti maggiormente rappresentati sono i macchiaioli:
Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Giuseppe Abbati, Cristiano Banti, Telemaco
Signorini, Raffaello Sernesi, Giovanni Boldini, etc.) e del primo Novecento
(Pellizza da Volpedo, Morbelli, Sironi, De Chirico, Carrà, De Pisis, Viani,
Campigli, etc.). |
Via Spalato n.19 - Lungomare
Nazario Sauro,27 Bari Telefono: (+39) 080 5412420 La Pinacoteca “Corrado
Giaquinto” è collocata al 4° piano dello storico Palazzo della Provincia di
Bari. Vi si accede dall’ingresso principale, sul Lungomare Nazario Sauro,
oppure dall’ingresso laterale su via Spalato. (Nella Sezione Musei) |
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Museo Etnografico Africano Il Museo
venne istituito nel 1970 presso il Convento dei Frati Cappuccini ed espone il
materiale raccolto dai Padri Missionari. Seguendo le varie stanze si possono
trovare strumenti musicale e maschere provenienti dal Mozambico, lire
dell'Etiopia e flauti. Sono esposte monete risalenti al periodo delle colonie
portoghesi, ventagli realizzati con foglie di palma, oggetti d'avorio e di
legno, tutto materiale che documenta, in parte, la cultura e le civiltà
africane. Si segnala, inoltre, una sala in cui è stata ricreata un'abitazione
caratteristica dei popoli del Mozambico. |
·
Via Bellomo, 94
- Convento dei Frati Cappuccini, Bari ·
Telefono: (+39) 080 5610034 (Nella Sezione
Musei) |
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Museo Diocesano - Sezione Bari Museo d'arte cattolica con
dipinti, sculture e manoscritti, i più antichi dei quali risalenti all'VIII
secolo. |
Via dei Dottula, Bari (Nella Sezione Musei) |
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Museo
Nicolaiano di Bari Raccoglie
quei tesori storico artistici legati
alla Basilica di San Nicola. |
Largo Urbano II, Bari Telefono: (+39) 080 5231429 (Nella Sezione Musei) |
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Gipsoteca del Castello Normanno Svevo
E’ allestita in alcune sale del maniero e
custodisce una cospicua raccolta di calchi tratti dai più celebri monumenti di Puglia.
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Piazza Federico II di
Svevia, 4 Bari Telefono: (+39)
0805286219 (Nella Sezione
Musei) |
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Museo - Raccolta di Fisica Il
numeroso e vario patrimonio del Museo Civico di Bari comprende molti beni
artistici e documentari ricevuti in donazione dalla famiglia Tanzi nel 1935. Ripropongono alcuni illustri componenti
della famiglia venuta a Bari al seguito di Isabella Sforza d’Aragona. |
Strada Saggers,
13 Bari Telefono: +39
0805772362 (Nella Sezione
Musei) |
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Altri Musei ·
Cittadella mediterranea della
scienza; ·
Museo etnografico africano; ·
Gipsoteca del Castello Normanno
Svevo; ·
Museo nicolaiano; ·
Museo della cattedrale; ·
Museo storico civico; ·
Museo
del Sacrario militare; ·
Orto Botanico di Bari; ·
Museo di zoologia; ·
Museo di scienze della terra; ·
Museo raccolta di fisica; ·
Museo dell'acqua - Palazzo
dell'Acquedotto Pugliese; ·
Museo della Fotografia del
Politecnico di Bari; (Nella Sezione Musei) |
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Teatri |
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Teatro Petruzzelli Il Teatro Petruzzelli è il più prestigioso
contenitore culturale di Bari e della Puglia ed è il quarto
teatro italiano per dimensioni, nonché il più grande teatro privato
d’Europa. I lavori per il Teatro Petruzzelli iniziarono nel 1898 e
terminarono nel 1903. L’inaugurazione risale al 14 febbraio dello stesso
anno, con “Gli Ugonotti” di Giacomo Meyerbeer. Nel 1954 fu dichiarato
Monumento di interesse storico e artistico e, nel 1973, Teatro di tradizione.
Devastato da un incendio doloso nel 1991, è tornato agli antichi splendori il
4 ottobre 2009. |
Corso Cavour, 12 Bari Telefono: (+39) 080 9752810 Il Petruzzelli è un teatro di pianta all’italiana. La
trabeazione presentava un fregio e un attico in cui era incastonato il gruppo
in cemento di Pasquale Duretti “Apollo che incorona la Musica”. Nel 1899 al
barese Raffaele Armenise fu commissionato il grande telone del
sipario e, nel 1901, la decorazione pittorica della cupola. Dopo l’incendio, molti
elementi sono stati magistralmente ricostruiti. Listino Prezzi sul Sito Web Ufficiale: Prezzi Ingresso: 5€ per gli adulti; 1€ per gli studenti, i bambini e i disabili; Gratuito per gli accompagnatori del disabile. |
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Teatro Piccinni Si affaccia sul centrale Corso Vittorio Emanuele II
di Bari il Teatro comunale Piccinni, il più antico della città. |
Corso Vittorio Emanuele II, Bari Telefono: (+39) 080 5212484 E-Mail: tpp@teatropubblicopugliese.it |
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Teatro dell'Anonima, gestito dagli attori baresi Dante Marmone e Tiziana
Schiavarelli, chiuso nel 2013 |
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TeatroTeam Il Teatro Team svolge da 25 anni un ruolo pilota per tutta
la regione, nell’ambito dello spettacolo. Articola la propria attività
preminentemente nella fruizione quasi totale dei vari segmenti dello stesso.
Infatti le Stagioni che si sono succedute nell’ultimo decennio, sono
articolate in rassegne finalizzate a precisi indirizzi artistici.
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Via Prezzolini Bari Botteghino: Piazza
Umberto, 36 Telefono: (+39) 080 5210877 (+39) 080 5241504 Orario e Giorni apertura Botteghino: Dal Lunedì al Sabato dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore
16:30 alle ore 19:30 E-Mail: teatroteam@teatroteam.it |
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Teatro Forma La Fondazione Orfeo Mazzitelli nasce dal desiderio dei figli
Dante e Maria Teresa di ricordare la figura del padre Orfeo, genitore
esemplare e grande maestro di vita, pioniere per vocazione e uomo di grande
coraggio, imprenditore illuminato e pilota capace di gesta eroiche. E' stato
il primo al Sud (e tra i primi in Italia) a dar vita a una televisione
privata, mirata a un'informazione locale e sempre al servizio del cittadino.
Il Teatro F.OR.MA non poteva che omaggiarne le orme, dando vita non a un
teatro qualunque, ma a un gioiello tecnologicamente e stilisticamente
all'avanguardia, con una meticolosa e attenta cura dei particolari. Un
contenitore culturale unico nel suo genere, un progetto estremamente
estremamente suggestivo - la città delle onde - che argina la fuga dei
giovani talenti e offre agli artisti pugliesi una possibilità di crescita
personale, elevando Bari a città leader della cultura. |
Via Giuseppe Fanelli, 206/1 Bari
Telefono: (+39) 080 5018161 E-Mail: Per informazioni inerenti la concessione del teatro, o per
eventuali proposte artistiche amministrazione@teatroforma.org Giorni e Orario Apertura: Dal Lunedì al Venerdì dalle ore 10:00 alle ore 18:00; Il
botteghino resterà aperto nei fine settimana (Sabato e Domenica) lì dove ci
siano spettacoli in programma. |
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Teatro Kismet OperA Il Kismet nasce a Bari nel 1981 come compagnia teatrale ragazzi
per iniziativa di giovani attori provenienti da una scuola universitaria di
formazione all’attore diretta da Carlo Formigoni; seguendo poi il suo “felice
destino” – kismet in sanscrito – viene riconosciuto dal Ministero per i Beni
e le Attività Culturali Teatro Stabile d’ Innovazione. Nel 1989 inaugura la sua casa teatrale scegliendo, volutamente
un ex capannone industriale, luogo preposto a valorizzare un’idea di teatro
come officina artistica, fucina di idee, luogo d’incontro, centro di cultura
e di dialogo permanenti. |
Nuovo Teatro Abeliano Teatro Kismet Biglietti: http://www.teatridibari.it/botteghino/ |
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Teatro Duse Nasce per volontà di due artiste della musica: Mia Fanelli,
in passato impegnata nel campo della musica leggera d’autore. |
Via Cotugno 21, Bari Telefono: (+39) 080 5046979 E-Mail: info@duseteatrobari.it |
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Teatro-Cinema Royal |
Corso Italia, 112 Bari Telefono: (+39) 328 2549669 |
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Teatro Purgatorio |
Via Salvatore Pietrocola,
19 Bari Telefono: (+39) 080 5796577 Per informazioni sulla programmazione del Teatro Purgatorio (+39) 080 5796577 (+39) 334 7776111 |
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Piccolo Teatro di Bari |
Strada II Borrelli, 43 Bari Telefono: (+39) 080 5428953 |
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Casa di Pulcinella Nel 1988 il Granteatrino ha fondato la Casa di
Pulcinella, un teatro stabile di burattini e marionette, dotato di una
sala teatrale, di spazi per attività espositive e per i laboratori. A
sottolineare la valenza internazionale del teatro di marionette, la Casa
di Pulcinella è gemellata con la Maison de Polichinelle di
Saintes in Francia. Intorno al Teatro si è raccolto un nuovo pubblico,
soprattutto di bambini, ragazzi, giovani, ma anche un nucleo artistico di
scrittori, musicisti, scenografi che ha trovato nel teatro di figura un
interessante terreno di confronto e di ricerca. La Casa di Pulcinella, dalla sua nascita ha allevato intere
generazioni all’amore per il teatro ed è entrata a far parte della formazione
culturale di migliaia di bambini. Dal 1989 il Teatro programma la rassegna invernale ‘La maschera
e l’ombra’ che ha proposto al pubblico le migliori compagnie di teatro di
figura italiane e straniere. |
Arena della Vittoria, 4 Bari Telefono: (+39) 080 5344660 |
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Teatro Barium |
Via P. Colletta, 6 Bari Telefono: (+39) 080 5617264 E-Mail: manifatturatabacchi@libero.it Giorni e Orario apertura: Lunedì – Martedì –
Mercoledì dalle ore 17:00 alle ore 21:00 Dal Giovedì alla Domenica
dalle ore 10:00 alle ore 13:00; e dalle ore 17:00 alle ore 21:00 |
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Teatro di Cagno |
Corso Alcide de Gasperi, 320 Bari Telefono: (+39) 080 5027439 (+39) 348 7632546 (+39) 334 7926917 |
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Teatro Bravò |
Str. Privata Stoppelli, 18 Bari Telefono: (+39) 380 3433656 |
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Teatro Abeliano |
Via Padre Massimiliano Kolbe, 3 Bari Telefono: (+39) 080 5427678 E-Mail: botteghino@teatroabeliano.com amministrazione@teatroabeliano.com |
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Teatro Palazzo |
Corso Sidney Sonnino, 142/D Bari Telefono: (+39) 080 9753364 |
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Auditorium Diocesano Vallisa |
Str. Vallisa, 11 Bari Telefono: (+39) 080 5216279 E-Mail:
info@vallisa.it |
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Il borgo di Bitetto,
chiamato in dialetto barese Vetétte, è la “Città dell’Oliva Termite”:
sorge in provincia di Bari, a circa 17 chilometri dal capoluogo e alle
pendici dell’altopiano delle Murge. Le prime fonti scritte di Bitetto risalgono al 959 d.
C. ma le sue origini sembrano risalire a tempi molto più antichi, come
testimoniano i corredi funerari ritrovati nel territorio circostante e datati
IV secolo a. C. Sede vescovile a partire dall’XI secolo, in epoca normanna parte
del territorio appartenente al borgo venne accorpato alla nascente città di
Altamura, dove molti abitanti di Bitetto andarono a stabilirsi. Con l’ascesa
degli Angioini, poi, il paese divenne uno dei centri più sviluppati della
zona. Nel corso del 1300 Bitetto fu saccheggiata da truppe di
ungheresi e ceduta prima agli Arcamone e poi, all’inizio del 1400, a Lorenzo
de Attendolis. Queste dominazioni ebbero come conseguenza un peggioramento
delle condizioni di vita della popolazione, ulteriormente provata dalla peste
e dalla carestia che colpirono il paese nel corso del quindicesimo secolo,
riducendo di molto il numero degli abitanti: il paese si riprese, dal punto
di vista demografico, solo nel corso dell’Ottocento. NUMERO TELEFONO COMUNE DI BITETTO: Telefono: (+39) 080 3829212 |
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Chiesa
di Santa Maria Assunta |
Largo
Chiesa, 1 Binetto Telefono: (+39) 080 7839444 (Nella sezione Luoghi di Culto) |
Tra le principali attrazioni che caratterizzano Bitetto troviamo
le chiese. La Cattedrale di San
Michele Arcangelo è il più importante monumento del Borgo. Edificata
in stile romanico nel 1335 da Mastro Lillo da Barletta, presenta delle ricche
statue in pietra e dei capitelli nel portale centrale. L’interno, suddiviso
in tre navate, e il campanile risalgono al XVIII secolo. |
Piazza del
popolo Bitetto Telefono: +39 0809921028 E-Mail: info@parrocchiabitetto.it (Nella sezione Luoghi di Culto) |
La Chiesa di Santa Maria La
Veterana (o Vetere) ha origini antiche e le prime
tracce della sua storia risalgono a un documento del 959, anche se altri
documenti sembrano far risalire la sua edificazione tra la fine del 1200 e
l’inizio del 1300. |
Piazzetta Santa Maria Bitetto Telefono: (+39) 080 990609 (Nella sezione Luoghi di Culto) |
La Chiesa di San Domenico si trova fuori dalle mura medievali e risale al periodo
che va tra la fine dell’XI secolo e la metà del XII. Sede vescovile, Bitetto ospito
i Frati Minori Osservanti nel Convento del beato Giacomo, risalente al 1432
che, attualmente, è la sede di formazione per i chierici di teologia. Simbolo
del potere nobiliare il Palazzo baronale, o palazzo dei Noya, venne
costruito nel 1773 a ridosso delle mura del Borgo. |
Piazza
Umberto I Bitetto (Nella sezione Luoghi di Culto) |
·
Chiesa Di Santa Maria La Veterana ·
Il Convento Del Beato Giacomo ·
Chiesa Di San Marco,
Ormai Distrutta ·
Chiesa Di San Rocco ·
Chiesa Di San Rocco Vecchio, Abbandonata
Nel XVIII Secolo ·
Chiesa Di Santa Maria
Mater Domini ·
Chiesa E Monastero Di Santa Chiara,
Soppresso Agli Inizi Del XIX Secolo A Causa Dello Scarso
Numero Di Monache ·
Chiesa Della Vergine Benedetta ·
Chiesa Di Maria
Maddalena ·
Chiesa Di San Giuseppe ·
Cappella Della Madonna Delle
Grazie ·
Chiesa Del Monte Di Pietà (Nella sezione Luoghi di Culto) |
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Il Sedile è
l’antica sede del Comune, ed era il punto di riferimento per tutto ciò che
concerneva l’amministrazione, la giustizia e le attività economiche. Al
suo interno erano conservate le unità di misura per il confronto con quelle
usate dai forestieri. Qui inoltre risiedeva il Mastro Mercato, che regolava
lo svolgimento di mercati, fiere e aste. |
Bitetto (Nella sezione Palazzi) |
Il Palazzo del Barone |
Situato a ridosso delle mura medievali e della Porta
Piscina. Bitetto (Nella sezione Palazzi) |
La casa dei Cavalieri di Malta Di questo monumento medievale, sito nel centro storico, si sa
pochissimo: la stessa attribuzione all'Ordine dei Cavalieri di Malta proviene
dalla tradizione locale. Studi recenti attestano, tuttavia, la presenza di
numerosi possedimenti di quest'Ordine cavalleresco in Contrada Bavotta
(nell'agro di Bitetto), dove i Melitensi erano tenutari di una masseria
denominata "Calcara alla Bazia". La presenza, inoltre, di una
vistosa croce ottagonale sulla soglia dell'antico 'hospitale' di S.Giacomo, a
pochi metri dalla casa-torre, parrebbe confermare la tradizione popolare.
Databile tra il XIII e il XIV secolo, la costruzione, in conci ambrati, è a
due piani. All'esterno della facciata una scala rampante parte dalla strada
fino ad arrivare all'ingresso del primo piano, sormontato da un architrave
con cornice a denti di sega. Al secondo piano una bifora ogivale ravviva la
parete spoglia. Ai lati della bifora, a livello del piano d'imposta
dell'arco, fuoriescono due mensole decorate e forate. Il lato orientale
presenta due ingressi ogivali al piano terra. L'intero edificio ha sul retro
una corte di servizio, grazie al quale si scopre l'impianto "a Croce di
Sant'Antonio|tau" della casa poiché, perpendicolarmente al corpo della
fabbrica, si innesta un'ala occultata da edifici successivi, anch'essa a due
piani. |
Bitetto |
Il Monumento ai Caduti Il monumento, dedicato ai caduti bitettesi della Prima guerra
mondiale, fu eretto nel 1923, opera dello scultore Tonini di Roma,
grazie all'avvocato Domenico Abruzzese, ai cittadini, all'amministrazione
comunale e alla comunità bitettese risiedente negli Stati Uniti d'America.
Esso è costituito in pietra bianca con iscrizioni metalliche ed elementi
statuari, tra cui spicca quello bronzeo della Vittoria Alata, che campeggia
sulla sommità del monumento. Alle sue spalle è presente un cannone di bronzo,
residuo bellico del 1918, tolto agli austriaci. |
Piazza
Umberto I Bitetto |
Il Museo Della Devozione E Del
Lavoro |
Viale Beato, 1 Bitetto Telefono: (+39) 080 9921063 (Nella
Sezione Musei) |
Mura La muraglia era caratterizzata da imponenza e solidità, che
avrebbero garantito la salvezza della città in caso di assedio. in tempi
critici, le vie esterne erano vigilate da soldati posti di guardia su alcuni
dei trentasei torrioni di forma rettangolare che insistevano sul perimetro
della cerchia muraria, a quindici metri l'uno dall'altro, ma a due a due per
custodire le porte di accesso. Esternamente appariva compatta e ininterrotta,
senza alcuna apertura per non indebolirne le difese. Una prima muraglia viene
attestata già dal 1099, epoca in cui vi era una turricella a oriente e
una casa vecchia. La preesistenza di una cinta fortificata è confermata
da Lorenzo Giustiniani, che scrisse nel 1797: "Sotto Carlo I [Bitetto]
incominciò a riedificarsi nel luogo del castello fortificato d'intorno di
torri e di mura, verso il 1266 e da quel tempo è rimasta sino al presente di
piccola estensione". |
Bitetto |
Porte Si poteva accedere alla città attraverso tre porte, abbattute
nel XIX secolo durante il processo di
espansione della città al di fuori del borgo antico. Esse erano aperte di
giorno, dopo che la campana della Cattedrale aveva suonato il Mattutino, fino alle due di notte. |
Bitetto |
Porta Piscina Si erigeva ad est, accogliendo i viaggiatori da Bari e
da Modugno, ed era la porta più importante
della città. Era l'onore del Comune e il vanto della famiglia De Angelis:
Flaminio De Angelis, infatti, ottenuto il titolo di principe della città
volle dimostrare la riconoscenza per i doni ricevuti col feudo rendendo più
imponente e ampia la porta (1634). Sul portale anticamente si stagliavano tre
stemmi: quello del Comune, quello di Filippo IV di
Spagna (allora re di Napoli) e quello della famiglia De
Angelis. |
Bitetto |
Porta Comunale Posta a sud, veniva chiamata anche delle beccherie perché
fuori di essa erano situati il macello e le due botteghe del fornello per
cuocere la carne di proprietà comunale. |
Bitetto |
Porta della Maddalena Era posta a ovest e prendeva il nome dalla cappella lì situata. |
Bitetto |
Osservatorio Faunistico Regionale |
Via Generale Michele Palmiotti, 43 Bitetto (Nella Sezione Musei) |
Bitonto Sull'ansa del solco carsico di superficie torrente Tiflis o lama
Balice lungo una strada orientata Nord-Sud ( dall'approdo costiero di Palese-S.Spirito-Giovinazzo),
si formò il primo insediamento antropico di Bitonto alcuni millenni prima di
Cristo. Numerosi sono i depositi (dolmen e menhir) del Paleolitico e del
Neolitico sulle vie Megra, Tauro, Cela, e Bazzarico. Con l'invasione illirica,
in età del Ferro, genti provenienti dall'opposta sponda adriatica
costituiscono in Puglia l'area etnica degli Japigi ( Apuli dell'età classica)
con i clan dei Dauni ( odierna Capitanata-prov. di Foggia), Peucezi o
Pediculi (abitanti delle colline in prov. di Bari), Messapi (Salento). Centro importante a struttura paganica dei Peucezi
fu Butuntum (bitonto) al pari di Metapontum, Hidruntum, Tarentum,
Sipontum. Investiti dalle influenze culturali della Magna Grecia i
"Popoli Bitontini" conservarono intatta sino all'invasione romana
la propria indipendenza. Pur socia di Roma nel III sec. a.C. , coniava monete
proprie con le immagini di Atena, peculiare dea, e la legenda in greco
"Bytontinon". La zona acropolare doveva raccogliersi intorno al
tempio di Minerva sullo spalto del Tyflis, mentre quella residenziale
necropolare era disposta sull'asse della via Minucia poi Traiana
(Roma-Benevento-Canosa-Ruvo-Bitonto-Bari-Brindisi), con divaricazione per
Ceglie-Norba-Egnatia. Bitonto fu municipio in età repubblicana ed imperiale, annotata
come stazione di sosta sull'itinerario classico investito nel terzo secolo
dalla penetrazione cristiana (pellegrino di Bordeaux, itinerario di Paolino
da Nola, anonimo Ravennate). Con la decadenza della struttura amministrativa
curiale romana, emerge quella paleocristiana, come appare dai recenti scavi
sottopavimentali della Cattedrale. Goti, Longobardi, Slavi e Saraceni
lasciarono la loro improntanegli usi, costumi e tendenze artistiche. il 975
d.c. il catapano Zaccaria al seguito di milizie di Bisanzio, sconfisse a
Bitonto i saraceni e uccise il loro capo Ismaele. L'esoso governo bizantino
creò malcontento, tanto che all'alba del mille, la città di Bitonto aderì
alla lega dei Comuni di Puglia, capitanata da Melo ed Argiro. Fu in questo
periodo che numerosi abitanti del contado e dei casali si rifugiarono in
città dando vita ad una vera fioritura artistica e civile. Il 1098 Guglielmo
d'Altavilla si definisce "Dominator civitatis Botonti" e instaura
una sorta di contea feudale. Riacquistata l'autonomia con i normanni di
Sicilia ( Ruggiero II, Guglielmo I e II), Bitonto divenne centro importante e
si avviò la costruzione della nuova cattedrale sulle vestigia di quella
paleocristiana e alto medievale. Artefice di questo straordinario sviluppo fu
il concittadino Maggiore che ascese alla suprema carica di regio giustiziere
dopo il 1156 con la conquista e il saccheggio di Bari da parte di Guglielmo
il "Malo". Con Federico II (1194-1250) Bitonto mantenne il suo
status di "Civitas specialis" e fu uno dei luoghi di
concentrazione di collette e tasse da parte dello Svevo, che usò
"il bastone e la carota" nei confronti dei bitontini e delle
istituzioni locali ( Benedettini, Vescovo) discriminati per aver parteggiato
con il papa. Carlo I d'Angiò normalizzò la situazione locale e dette corpo ad
una nuova nobiltà ( Rogadeo, Bove, Planelli, Labini, ecc..) dedita ai
traffici ed al commercio. Fra i cittadini più meritevoli di quel tempo
annotiamo Sergio Bove, Regio secreto e fedele Miles e Giacomo Rogadeo,
portulano d'Adriatico, ambedue priginari di Ravello sulla costa Amalfitanta.
Nei secoli XIII e XIV fu città di "antico regio demanio" dipendente
dalla corona, ricca e popolosa ( la seconda città in terra di Bari dopo
Barletta). Conobbe la prima infeudazione nel 1412 con Giacomo Caldora, duca
di Bari e signore di Bitonto. Seguirono nel corso del quattrocento i
Ventimiglia, gli Orsini, gli Acquaviva d'Aragona e i Cordoba, eredi del Gran
Capitano che nel 1503 concquistò per la Spagna il Mezzogiorno d'Italia.
L'anelito per la libertà era forte e potente nell'animo dei bitontini, i
quali, grazie ai meriti di vescovi come Cornelio Musso o di forti personalità
come Ambrogio Azaro Mariano, riuscirono a riscattare la città il 27 maggio
1551 con il versamento al duca di Sessa e ala corona di Spagna di ben 66000
ducati. Riavuta l'autonomia e la regia demanialità, Bitonto si adornò di
nuovo emblema araldico ( l'ulivo, con la dicitura " ad pacem promptum
designat oliva Botontum", fu sostenuto da due leoni, simboli del
reggimento democratico attraverso i sedili e beccato da cinque stormi, chiaro
riferimento alle cinque infeudazioni subite). Nel 1565 la città si dette nuovi Statuti che furono da modelli
per Molfetta, Trani e Bari. Il 1585 vennero fissati i nuovi termini
confinari, definiti tra l'Adriatico e l'Alta Murgia. popolosa e attiva ( nel
1669 Bitonto era la seconda città di Puglia dopo Lecce), vide il fiorire di
circoli, accademie e botteghe d'arte ( celebre quella di pittura di Carlo
Rosa e famosa l'Accademia degli Infiammati). In questo contesto emersero
concittadini come Tommaso Traetta, precursore nella musica della riforma del
melodramma, Giordano Vitale,anticipatore della matematica non Euclidea,
Bonifacio Nicola Logroscino, divo dell'opera buffa. Il 25 Maggio 1734 sotto
le mura di Bitonto si svolse una memorabile Battaglia fra Austriaci e
Spagnoli, questi ultimi guidati dal generale Montemar. Tale Battaglia fu
determinante per la guerra di sucessione Polacca e diede il riacquisto
dell'indipendenza del mezzogiorno sotto Carlo III di Borbone. Nel 1860 attiva
fu infine la partecipazione dei bitontini al processo di unità d'Italia con
Vincenzo Rogadeo che fu nominato dal Garibaldi Primo governatore di Puglia.
Nel clima di fervore postunitario, il Rogadeo, senatore del regno e sindaco
di Bitonto (1870-1875), tento l'emancipazione morale e civile dei cittadini,
istituendo un Gabinetto di Lettura, una Scuola Serale di Disegno, affidata al
pittore Francesco Spinelli, quale direttore, un Consorzio per oli tipici, curando
la viabilità e sinanche la costruzione di strade ferrate. In un contesto
contadino ed analfabeta, il popolo bitontino rimase deluso dalla rivoluzione
borghese e, dopo i tristi fatti del 1893 (uccissione di un delegato della
finanza), presero corpo prima il movimento socialista e sucessivamente quello
cattolico-democratico con Giovanni Ancona Martucci ed il vescovo Berardi.
Furono, però, Gaetano Salvemini e Giovanni Modugno a squotere le coscienze
nel paese tra il 1911 e il 1919. Dagli anni ' 50 vi è stato un continuo
processo di trasformazione della società e dell'economia bitontina, che
rimane essenzialmente agricola e terziaria. NUMERO TELEFONO COMUNE DI BITONTO: |
|
Concattedrale Dedicata A San
Valentino Edificata nel XII secolo in stile romanico pugliese, con una
facciata tripartita di lesene e tre portali, con pianta a croce latina e un
soffitto a capriate lignee, bassorilievi e mosaici antichi. All’interno della
cattedrale sono conservati i simulacri di Maria Santissima Addolorata e di
Maria Santissima Immacolata, la patrona della città. |
Piazza Cattedrale, 19 Bitonto Telefono: (+39) 080 3752100 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Chiesa di San Francesco d’Assisi Chiamata anche “Chiesa della scarpa”, fu costruita nel 1283 nel
punto più alto della città grazie ad un terreno ceduto dalle monache
benedettine del monastero di santa Lucia, a testimonianza della visita nella
città di San Francesco D’Assisi nel 1222. |
Piazza Minerva Bitonto (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Chiesa di San Niccolò ai Teatini o
San Gaetano Edificata nel 1609 secondo il progetto di Dionisio Volpone di
Parabita, eretta in piazza Cavour in completo stile barocco. |
Piazza Cavour Bitonto (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Chiesa del Crocifisso Edificata dal 1664 secondo il progetto di Carlo Rosa, sede della
Parrocchia di San Silvestro Papa. |
Via Vecchia Cappuccini Bitonto (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Chiesa del Purgatorio Situata nei pressi di palazzo Sylos-Calò, edificata nel 1670
sotto il disegno di Michelangelo Costantino. |
Via Domenica Cimarosa Bitonto (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Chiesa di San Domenico Edificata per volere dei Domenicani nel 1258 assieme al
convento. |
Via San Domenico Bitonto (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Basilica dei Santi Medici Edificata nel 1960 grazie al progetto dell’architetto bitontino
Antonio Scivittaro, professore di Architettura all’Università di Napoli,
consacrata dal vescovo di Bitonto Aurelio Marena nel 1973 ed elevata a
basilica minore da papa Paolo VI. |
Piazza 26 Maggio 1734 Bitonto (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Palazzo Vulpano-Sylos, monumento
nazionale Costruito nella seconda metà del Quattrocento per volere di
Giovanni Vulpano con elementi tardo-gotici aragonesi e rinascimentali. |
Via A.
Planelli, 51 Bitonto (Nella
Sezione Palazzi) |
Palazzo Sylos-Calò Costruito tra il 1529 e il 1583 da Giovanni Alfonso Sylos in
stile tardo-rinascimentale. |
Via dei Mercanti Bitonto Telefono: (+39) 080 099708 (Nella
Sezione Palazzi) |
Palazzo De Ferraris-Regna Risale al XIV secolo e fu realizzato dai De Ferraris, nobile
famiglia genovese che scelse di trasferirsi a Bitonto. |
Piazza Camillo Benso Conte di Cavour, 8 Bitonto (Nella
Sezione Palazzi) |
Teatro Traetta Si trova situato ai margini del centro storico della città con
una facciata suddivisa in due parti, una in pietra e una superiore ad
intonaco. |
Largo
Umberto Teatro, 17 Bitonto (Nella Sezione Palazzi) |
Porta Baresana Denominata anche Porta della marina, in quanto rivolge il
suo sguardo verso l'ex frazione a mare di Bitonto, Santo
Spirito, fu costruita presumibilmente nel XVI secolo. Tuttavia un secolo più tardi
fu ricostruita in seguito a un danneggiamento. La facciata anteriore conserva
uno stile rinascimentale con l'accesso costituito da un arco a tutto sesto e
affiancato da paraste terminanti
in un architrave. Su
questo è stata aggiunta la copia di una predella policroma, un dipinto
rappresentante i santi protettori della città. Più in alto la facciata reca
uno stemma dei Savoia che
sostituisce lo stemma della città aggiunto nel 1551 in occasione del riscatto
della città dal feudatario. La parte superiore della facciata anteriore è
costituita dal vano dell'orologio, aggiunto
nel Novecento. Sul vano dell'orologio si erge
una statua dell'Immacolata, che nasconde la campana dell'orologio. La
facciata retrostante presenta un fornice a ghiera affiancato da paraste in
bugnato, similmente alla facciata esterna ma con degli zoccoli di basamento
più alti. Sull'architrave, che presenta lo stemma della città si erge
il timpano in
cui è situato, nel mezzo, il secondo quadrante dell'orologio. |
Via Giandonato Rogadeo,già dei Mercanti Bitonto Telefono: (+39) 080 3743571 |
Torrione angioino E’ una torre cilindrica
del XIV secolo. Faceva parte di una piazzaforte con ventotto torri e
cortine. Fu utilizzata come torre di
avvistamento e di difesa, e i suoi sotterranei furono adibiti
a luogo di detenzione. Ha un'altezza che supera i 24 m, e un diametro di
circa 16. È dotata di mura spesse quasi 5 m che rendono la torre
molto resistente. È realizzata in bugnato e termina con una merlatura. Alla base il torrione è
inanellato dalle casematte che, in basso, lasciano il posto a uno zoccolo a
stella che segna il perimetro interno del fossato,
profondo oltre 4 m. L'interno è composto da tre ambienti poveri. Quella
del piano terra è di pianta circolare
e ci si entra da una apertura di appena 80 cm. La copertura è a volta
semisferica. Il primo piano conserva una pianta ottagonale e la copertura è
formata da una volta a crociera.
Il secondo piano è, infine, nuovamente di pianta circolare. Il torrione
dal 2009 è sede di una galleria d'arte
contemporanea allestita nelle casematte, grazie a un intervento di
riqualificazione che ha anche riportato alla luce il fossato. |
Piazza Camillo Benso Conte di Cavour Bitonto Telefono: (+39) 080 3739912 |
Porta La Maja o del Carmine Il nome è un'evoluzione della forma con cui era definita la lama
su cui la porta si affaccia: "lama major". È detta, però, anche
"del Carmine"
(la stessa porta reca l'iscrizione IANUA CARMELI). Fino alla prima metà
del Seicento la porta era costituita da
un semplice ambiente chiuso da una volta a botte acuta, esattamente
come appare dalla facciata interna. Dal 1677 la
facciata esterna viene inglobata in un ricco paramento così come appare oggi.
Si tratta di una coppia di colonne binate a fasce orizzontali, poggianti
su piedritti e terminanti con capitelli
tuscanici, che sorreggono due trabeazioni da cui si innalzano i
rispettivi timpani.
Con il nuovo paramento l'arco diventa semicircolare e le sue decorazioni si
sovrappongono all'architrave. Nell'ambiente superiore è uno stemma dei Savoia
e una statua della Madonna del Carmine.
Una cornice unifica l'ambiente sovrastante al resto della struttura. |
Piazza La Maja Bitonto Fiancheggiano la porta una torre normanna rettangolare, sulla
destra, e una torre angioina cilindrica, sulla sinistra. Secondo Luigi Sylos,
fino agli inizi del XVII Secolo la
porta era ancora quella di epoca romana, posta probabilmente più in alto e
più a est di quella attuale (dove in antichità, sempre secondo il Sylos, accoglieva
la via Minucia-Traiana,
biforcatasi dalla porta Robustina) e "spostata" nella sede
attuale quando fu costruito il primo ponte sulla lama (il "ponte del
Carmine", poi andato distrutto nell'alluvione del 1846); inoltre, sempre
secondo lo storico bitontino sarebbe errata l'attribuzione della provenienza
del nome della porta dal latino majora, ma più probabilmente alla divinità
romana "Bona Dea" (la "Ginecea" dei greci antichi, protettrice delle mogli,
che secondo Lattanzio veniva
chiamata anche Maja), di cui, sempre nel periodo romano c'era un tempio sulla
Appia, prima che questa giungesse a Bitonto. Il riferimento al Carmine deriva
anche dal fatto che si trovasse in prossimità del convento dei Carmelitani (ora
l'immobile ospita l'orfanotriofio provinciale femminile Maria
Cristina di Savoia). |
Torri di campagna Oltre alle torri che costellano la cinta muraria della città,
sono presenti, nell'agro bitontino, diverse torri di campagna, realizzate
soprattutto per scopi difensivi: Torre Santa Croce fu addossata alla
chiesa omonima nel XV secolo; Torre Spoto, è situata nelle
vicinanze della strada che porta a Ruvo di Puglia. È realizzata su tre
livelli, i primi due coperti da volte a botte, mentre il terzo livello è
privo di copertura. Questa torre è stata il quartier generale di Montemar e
delle sue truppe durante la battaglia di Bitonto; Torre D'Agera, del XV secolo; è situata in direzione
di Giovinazzo e apparteneva alla nobile
famiglia degli Agera. Fortemente degradata, si estende su due livelli e
conserva una bifora; Torre Pingiello, fu innalzata
probabilmente agli inizi del 1700. Nei pressi della torre sono stati
rinvenuti frammenti ceramici databili al V secolo a.C.; Torre Carriere, appartenente a una
famiglia proveniente dal Veneto, risale invece
al 1621, come riporta l'architrave dell'ingresso; Situata a ridosso della lama è la torre Pozzo Cupo del XVI secolo; Torre Morea, si trova sulla strada
che portava a Silvium (Gravina di Puglia).
Fu realizzata nel XVI secolo, si eleva su due piani ed è adornata
all'ingresso da una nicchia un tempo affrescata; Torre Ranocchio, datata ai primi anni
del XVI secolo; si erge su due piani ed è situata in direzione di Palo del Colle. |
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Guglia dell’Immacolata La Guglia della Madonna venne realizzata in Piazza Cattedrale
per lo scampato pericolo della scossa tellurica avvenuta nel
1731, scossa che causo numerose rovine in Daunia e nel Nord Barese. Fu
elevata durante il vescovado di Lucantonio Gatta (1723-1737), per voto alla
protettrice Maria SS. Immacolata. Commissionata dalla famiglia Calamita, e
riferibile all’architetto Vito Valentino, uno dei maggiori protagonisti
dell’edilizia civile e religiosa in Puglia nel primo settecento. La piramide,
a base quadrangolare, smussata agli angoli, si eleva restringendosi nei suoi
quattro ordini, segnati da forti cornici ove, sino al 1934, insistevano 12
sculture angeli- che in piedi o sedute, con lampade votive. La guglia si
conclude con la splendida scultura in bronzo dell’Immacolata, ritratta
nell’atto di protezione e rivolta verso Via Mercanti, la strada di accesso
alla Cattedrale nei secc. XVII XVIII. Nato come fascia di rispetto della Cattedrale, ha assunto la sua
attuale forma qua- dalla sistemazione degli edifici che si affacciano su di
esso. Si deve al Vescovo Aurelio Marena frutto di vari restauri effettuati
nel corso del suo presulato. Sui tre muri (due appartenenti al palazzo
vescovile ed un terzo al Museo diocesano) che lo delimitano (il quarto rappresentato dalla
facciata settentrionale della cattedrale) sono collocati senza un ordine
preciso targhe lapidee stemmi, riferibili a Vescovi e a personaggi illustri
che nel corso dei secoli hanno effettuato cospicue elargizioni a favore della
Chiesa Calamita Al Palazzo Vescovile si accede attraverso un portale proveniente
dalla Chiesa del Convento di S. Agostino, opera di Nuzzo Barba. |
Piazza Cattedrale Bitonto Di qualche importanza artistica, inoltre è da ricordare un
puteale a muro di età romanica ed una vera di pozzo risalente al XVIII
secolo, spostata dalla sua primitiva collocazione e nata al centro del
cortile negli anni ’50. Accanto al portale d’accesso al Palazzo vescovile in
alto, a destra per chi guarda, si notano due finestrelle con delle grate di
che corrispondono al carcere dei preti, formato da due piccole stanze, attivo
sino alla prima metà dell’ottocento e sotto la giurisdizione del Vescovo
pro-tempore. Nel lapidario, ricavato in un locale prospiciente il cortile, è
stipata una grossa raccolta di frammenti e sculture provenienti dal l’arredo
marmoreo della Cattedrale, come il ciborio, l’iconostasi, la cattedra
episcopale, l’ambone, le travi dipinte della Cattedrale romanica, figure
grottesche e mostruose Il tutto copre i secc. XII-XIV, ma vi sono aggiunte
posteriori, come un tronetto in legno della fine del sec. XVI, proveniente
dalla chiesa di S. Caterina d’Alessandria. |
Al centro di
piazza “26 Maggio 1734”, svetta l’Obelisco
Carolino, monumentale testimonianza della battaglia che, in quel
luogo ed in quella data, si svolse tra le truppe spagnole ed austriache,
battaglia determinante per la guerra di successione, per la ricostruzione del
regno meridionale, e che riportò sul trono di Napoli i Borbone con Carlo (VII
di Napoli e III di Sicilia). L’obelisco alto 18 metri, è di tufo rivestito da lastre di marmo
bianco di Carrara, mentre di roccia dolomia bitontina sono gli scalini, i
quattro cantonali e gli otto medaglioni incastonati sullo stelo. |
Via XXIV Maggio, 1734 Bitonto |
Museo Pinacoteca «Monsignor
Aurelio Marena»
|
Corte Vescovado 2 70032 Bitonto Telefono: (+39) 080 3741289 (+39) 080 3751359 (Nella Sezione Musei) |
Museo civico «Eustachio Rogadeo»
|
Via G.D. Rogadeo, 52 Bitonto Telefono: (+39) 080 3751877 (Nella Sezione Musei) |
Bitritto Il nome del borgo medievale (un locus
bitrictum o vetrictum trovasi citato già dall'XI secolo) forse alludeva ad una
distruzione plurima (lat. "bis-tritum", cioè "distrutto due
volte") oppure, tesi più accreditata, alla presenza di due torri
(attualmente ne resta una soltanto). A lungo soggetto a signorie e
vassallaggi, divenne comune indipendente in epoca napoleonica con l'arrivo
dei Sanfedisti nel Regno di Napoli. Paese di forte emigrazione in passato, la festa
patronale (primo martedì di marzo) rappresenta per molte famiglie
un'occasione di riunione. Bitritto ha quindi origini alto-medioevali anche se
di recente sono stati portati alla luce residui di civiltà risalenti alla
preistoria. Sin dalle sue origini l'economia è basata sull'agricoltura. NUMERO TELEFONO COMUNE DI BITRITTO: Telefono: (+39) 080 3858111 |
|
Castello Baronale Normanno-Svevo L’imponente fortezza di origine duecentesca, oggi sede
del Municipio, si erge nel cuore del centro storico di Bitritto, a
pochi passi dalla torre civica. |
Piazza Leone Bitritto |
La Casa-Torre La sua origine viene fatta risalire ai secoli XIV-XV circa
(1350-1450) ed è un edificio difficile da interpretare, pieno di simboli che
hanno un indiscutibile fascino culturale ed artistico che merita di essere
preservato e valorizzato per conservare intatta e duratura la nostra
identità. A Nord e ad Ovest è unito ad altre costruzioni ma a Sud e ad Est presenta un
prospetto ben visibile con uno sviluppo altimetrico su quattro piani, anche
se ha una superficie di piano alquanto ridotta (25-30 mq circa). I muri sono
a conci irregolari di pietra calcarea, legati fra loro da malta tipici
dell’epoca medioevale/normanna e poco più in basso della metà dell’altezza
complessiva c’è un motivo a beccatelli, lungo le due facciate visibili, molto
frequente nelle strutture difensive di avvistamento e nelle fortificazioni
del tempo o forse era la sede del corpo di guardia di un barone locale. Sviluppandosi su vari livelli, il modello della Casa Torre si
presenta con un locale adibito a deposito e poi ad attività commerciali al
piano terra, che in un recente passato, forse gli anni Venti, era adibito ad
enoteca o a cantina chiamata allora ‘la Venette’ (vedi foto antica). Poi c’è
un locale per abitazione al primo piano, un ulteriore piano per magazzino o
deposito, dove conservare i beni in dotazione. Non ci sono servizi igienici e
i collegamenti sono quasi verticali e in legno, il primo piano è fatto su
volta, mentre gli orizzontamenti superiori e le coperture sono in legno. La
base originaria è più chiusa e compatta ,mentre lo sviluppo superiore del
fabbricato è di epoca rinascimentale, frutto di una più raffinata ricerca
stilistica e formale. Originale è la finestrella del primo piano che presenta
un architrave a piccolo bugnato ed è affiancata a destra da un bassorilievo di
ruota dentellata che reca il monogramma bernardiniano I H S (Jesus Hominum
Salvator). |
Piazza Leone tra Via Giusti
e via 1° Resa Bitritto Più ampia e spaziosa è la finestra del secondo piano di origine
rinascimentale con mensola decorata a foglia e cornice modanata, ci sono
anche due mensoline con forme di creature mostruose o cariatidi sui lati e
una protome umana al centro ed uno scudo araldico in basso. Questo è molto abraso ed è stato identificato con uno stemma
analogo murato sul fronte di una casa attigua lungo la Via Giusti, chiamata
‘Casa De Filippis’. Forse gli studiosi locali l’hanno interpretato come un
simbolo religioso (Bitritto allora era un feudo ecclesiastico) con un’aquila
ad ali spiegate sul mare o un pellicano simbolo dell’amore di Cristo verso
gli uomini e forse simboleggia la potenza di Cristo e la sovranità della
Chiesa, ma anche come simbolo più laico appartenente ad una nobile ma ignota
famiglia locale proprietaria dell’immobile. Infine il livello più alto della Casa Torre presenta una loggia
a tre archi certamente rinascimentale con colonne in stile classico, il cui
fusto è a sezione circolare liscia, la base è costituita da un piccolo
piedistallo quadrato, i capitelli di stile ionico sono costituiti da
rappresentazioni floreali, con fiori e foglie tutte diverse. Il tetto di
copertura è in legno che era tutto marcito e pericoloso, ma spero sia stato
restaurato recentemente. Secondo gli studiosi la casa torre simboleggia il
desiderio secolare ed universale di libertà civile e politica e necessita di
un prossimo ed adeguato intervento di restauro con un progetto di recupero
funzionale. |
La chiesa di Sant'Angelo, o più precisamente di S. Michele
Arcangelo, si ritiene sia stata costruita a cavallo tra l'XI e il XII secolo,
svolgendo la funzione di collegiata di Bitritto dal 1171 al 1579. |
Bitritto La chiesa è ormai profondamente sfigurata da rifacimenti
posteriori, manomissioni e mutilazioni, sia antiche che recenti. La facciata,
in conci di pietra ben lavorati, elevata nella parte centrale con un timpano
triangolare in pietra tufacea. Al centro di essa si apre un portale a sesto
acuto ribassato. Sopra al portichetto si nota una nicchia oculare con la
statuina della Madonna del Carmine. Al di sopra della fabbrica si eleva un
basso campanile in tufo, a due piani coronato da una bassa piramide. L'interno della chiesa (15,90x6.30) presenta una singola navata
con volta a botte lunettata in cui si aprono, rispettivamente, tre finestre
ad arco ribassato per lato. Ai lati della nave, vi sono tre profonde cappelle
ad arconi a tutto sesto.Sul lato sinistro c'è la sagrestia, a pianta
rettangolare e volta a botte. |
Chiesa Madre di Santa Maria di
Costantinopoli |
Via Notar Giuseppe Loconte Bitritto Telefono: (+39) 080 631237 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
C
Capurso è un’accogliente cittadina a sud est di Bari, da cui dista
circa 10 km. Grossa parte del territorio è da considerarsi superficie agraria
(uliveti e vigneti in prevalenza), anche se le aziende agricole sono in forte
diminuzione. E’ presente un’importante zona artigianale che si estende a
ridosso dell’abitato. Da segnalare la tradizionale produzione artigiana di
materassi. Secondo la tradizione il Comune di Capurso prende il
nome da una testa d’orso (caput ursi) che sarebbe stata seppellita
da alcuni pastori nel punto in cui poi vennero erette le fondamenta delle
prime case del paese. Già nel corso del ‘600 lo stemma del borgo era
rappresentato da un’immagine raffigurante questo feroce animale.
NUMERO TELEFONO COMUNE DI CAPURSO: Telefono: (+39) 080 4551124 |
|
Il Santuario della
Madonna del Pozzo e la Cappella del Pozzo sono i luoghi
più visitati dai pellegrini. Grazie a due recenti interventi di
riqualificazione urbana della Villa Comunale e dei giardini di Largo
Piscino la zona è stata maggiormente valorizzata. |
Via Madonna del Pozzo, 29 Capurso Telefono: (+39) 080 4554102 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
La Chiesa Matrice fu
costruita nel XVI secolo grazie al deciso intervento della Regina Bona
Sforza che mise a disposizione una certa quantità di suoi beni. Lo
stemma della Regina è conservato nella parte alta del prospetto sud della
Chiesa, dedicata al SS. Salvatore. |
Via Carone, 2 Capurso Telefono: (+39) 080 4551511 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Il Convento e
la Chiesa di San Francesco da Paola, costruiti nella seconda metà
del XVII secolo, hanno conservato la struttura originaria e importanti opere
pittoriche al loro interno. Dal 1995 vi è stata istituita la Parrocchia
dedicata al Santo da Paola. |
Largo San Francesco da Paola, Capurso Telefono: (+39) 080 4551438 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Altre importanti chiese del territorio urbano sono dedicate
a S.Antonio Abate, S. Antonio di
Padova, la Madonna delle Grazie, la Chiesetta del Purgatorio. |
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Lo sviluppo della città al di fuori del centro storico è
piacevolmente segnato da una serie di palazzi sette/ottocenteschi ben conservati che rendono
gradevole la passeggiata al visitatore e costituiscono importanti
testimonianze dello sviluppo urbanistico della città. |
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Il monumento più famoso di Casamassima, comune della provincia
di Bari, è la Torre dell’Orologio.
La sua immagine, infatti, viene spesso utilizzata come icona simbolo del
paese. In origine, gli accessi al borgo antico erano due, costituiti da
altrettante porte: la Porta del Lago e la Porta dei Molini (o della Piazza),
così chiamata perché conduceva ai molini del feudatario. Nel XVIII secolo fu
aggiunto, per volere dei feudatari dell’epoca, i De Ponte, un nuovo accesso
sul lato nord delle mura, la cosiddetta Porta Nuova. Oggi, delle tre, l’unica
porta superstite è quella dei Molini, che ha assunto la denominazione di
Torre dell’Orologio nel 1841, quando su progetto dell’architetto Michele
Pesce fu realizzata la torre piramidale con orologio, coronata da una
struttura con colonnine doriche. Questa oggi si affaccia sulla piazza
principale del paese, piazza Aldo Moro, e costituisce l’unico ingresso al
borgo antico, il cosiddetto “Paese Azzurro”. |
Casamassima |
Tra le Murge Baresi, al centro della Puglia, sorge Casamassima conosciuta anche
come “Paese azzurro”, appellativo coniato dal pittore Vittorio Viviani per le
abitazioni tinteggiate di celeste che un tempo caratterizzavano il centro
abitato del Borgo. Fondata da un generale romano della famiglia Massimi, come
racconta una leggenda, o risalente all’VIII – IX secolo come confermato dalle
fonti scritte e dagli scavi archeologici. Le origini
di Casamassima sono intessute tra leggenda e realtà. Nel 1195 il territorio viene assegnato dall’imperatore Enrico VI
di Svevia alla famiglia Massimi o Massimo, con l’obbligo di cambiare il
proprio cognome in quello di Casamassima da cui il nome attuale del Borgo. Contesa da numerose famiglie, inserita all’interno di doti
nobiliari fino all’abolizione del feudalesimo, agli inizi dell’800,
Casamassima ha da sempre rappresentato terreno di conquista data la sua
posizione centrale e strategica. A partire dal XIX secolo il borgo vive un
ampliamento di tipo urbanistico fuori dalle mura caratterizzato soprattutto
dalla costruzione di edifici dell’alta borghesia. NUMERO TELEFONO COMUNE DI
CASAMASSIMA: Telefono: (+39) 080 671414 |
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Tra le attrazioni più conosciute troviamo il Borgo antico, o “Paese azzurro”, di origini medievali:
uno snodarsi di piccole viuzze e chiassi (vicoli stretti e senza uscita), di
corti e abitazioni in pietra che un tempo erano tutte azzurre. “Nel 1656 – scrive a tal proposito De Tommaso
proprio sul profilo facebook Il Paese Azzurro – a Bari sbarcarono dei marinai
con la peste che contagiarono 20mila persone portandole alla morte. La malattia,
diffusasi rapidamente, dal capoluogo raggiunse in breve tempo le porte della
nostra Casamassima, che si chiuse a riccio all’interno delle sue mura,
evitando qualsiasi contatto con il mondo esterno e sperando che un miracolo
la risparmiasse dalla pestilenza. Il miracolo si compì: Casamassima non fu
colpita dal contagio pertanto, nel 1658, il duca Orlando Vaaz, oltre a far
edificare una chiesetta in onore della Madonna di Costantinopoli, nel
rispetto di un voto alla stessa fatto, ordinò che tutte le case fossero
riverniciate con calce viva per riportare igiene e pulizia. E allo stesso
tempo diede l’ordine che tutte le abitazioni fossero imbiancate aggiungendo
però alla calce viva l’azzurro, ovvero il colore del manto della
Madonna”. A tutto questo dunque – secondo De Tommaso – si deve il fatto che
Casamassima sia poi diventata il Paese Azzurro. |
Per accedere al borgo antico bisogna
attraversare la Porta dell’orologio, risalente al 1841, a cui si accede
dalla piazza principale di Casamassima. Casamassima Tra le varie versioni che spiegano perché Casamassima sia
diventata il Paese Azzurro ce n’è una secondo la quale le casalinghe, nel
fare il bucato, aggiungessero la polvere azzurra all’acqua, per evitare che i
vestiti si ingiallissero. Una volta terminato il lavaggio di maglie e
pantaloni, però, le donne non buttavano via l’acqua utilizzata allo scopo,
anche perché allora non esistevano i rubinetti, ma era necessario recarsi
alle fontane del paese. Quella stessa acqua, dunque, veniva poi mescolata alla calce e
riutilizzata per riverniciare le pareti, o anche usata per lavare i muri
delle case, dando di fatto la caratteristica colorazione azzurra alle
abitazioni del |
Numerosi gli edifici religiosi che caratterizzano il Borgo come la chiesa Matrice, conosciuta
come Santa Croce, risalente al 1321 ma rimaneggiata nel corso dei
secoli. Il campanile e l’abside costituiscono gli elementi più antichi del
complesso. Costruita esternamente con conci regolari, la chiesa conserva al
suo interno numerose opere come il Crocifisso (alto circa 3 metri) dello
scultore Adolfo Rollo, uno dei più grandi produttori al mondo di opere
religiose e la scultura in pietra della Madonna delle Grazie, attribuita a
Stefano da Putignano (XVI sec.). |
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Il Monastero di
Santa Chiara rappresenta uno degli edifici più importanti del Borgo.
Fondato nel 1573 come Orfanotrofio diviene nel 1660 il monastero delle
Clarisse fino alla fondazione dell’Unità d’Italia. Attualmente è in attesa di
restauro. Da vedere la Cappella di San Michele,edificata nel 1658 da
Donato Amenduni in adempimento a un voto per essere stato preservato dalla
peste. Sull’altare troneggia una statua del santo, in legno dipinto, di
scuola napoletana del ‘600. |
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Tra gli edifici maggiormente degni di nota situati fuori dal Borgo
antico troviamo la Chiesa del
Purgatorio, costruita tra il 1722 e il 1758 in stile tardo barocco e
la Chiesa Santa Maria delle
Grazie, edificata nel 1575 e oggi sede di ospedale e poliambulatorio. Si
presenta come una tipica chiesa francescana con una rigorosa e modesta
facciata. Al suo interno si trovano il sepolcreto dei Frati Osservanti,
stemmi e varie sepolture delle famiglie gentilizie, nonché diversi dipinti
risalenti al secolo XVII. Tra le numerose chiese rurali disseminate sul
territorio da citare la Chiesa
Santa Maria del Soccorso (S. Lucia), probabilmente costruita dai
monaci basiliani prima dell’anno mille, e la Badia di San Lorenzo,
convento fondato alla fine del 900 dai benedettini. |
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Simbolo del potere feudale il Palazzo Ducale, noto come il Castello. Edificato nel XII
secolo presenta elementi interessanti come la torre normanna e il portale di
arte spagnola. Adiacente al castello si trova l’Arco delle Ombre, o “della
Malomere”. Questo nome venne coniato dopo l’Unità d’Italia quando il borgo
era scarsamente illuminato e, coloro che vi transitavano, portavano con sé un
lume per cui da lontano si aveva la sensazione di vedere fantasmi in
movimento. |
Via Castello Casamassima Telefono: (+39) 080 3441478 |
Cimitero Polacco “korpusu” Il cimitero viene visitato tutto l’anno da numerosi cittadini
polacchi, oltre che oggetto di visita guidata su richiesta. Ma con esso,
rammentiamo, obbligatoria è la salvaguardia dei due capannoni rimasti in
largo Padula, preziosa testimonianza storica e ricordo della solidarietà
umana instauratasi tra la popolazione casamassimese e il personale medico
polacco, a tutt’oggi ancora versanti in un notevole stato di degrado ed
abbandono e purtroppo ancora oggetto di una controversia, che nonostante
tante promesse non si risolve, vincolando i due preziosi edifici. Sembra
anche scemata la perseveranza dei sostenitori di portare a termine
l'operazione, ma la speranza, che è sempre l’ultima a morire, ci induce
comunque a vedere prima o poi realizzata la proposta per il riutilizzo delle
strutture ad attività socio-museali legate al Korpusu. Ricordiamo brevemente l‘origine di questo importante
insediamento risalendo al 1943 quando gli Alleati, partiti dalla Sicilia per
Roma, attraversarono Casamassima distribuendo cioccolato e sigarette. La
seppur breve sosta in una località da sempre geograficamente strategica,
richiese l’installazione di un Ospedale Militare, che fu allestito
nell’edificio scolastico Guglielmo Marconi e quattro capannoni complementari,
e affidato al Corpo Polacco che vantava validi chirurghi tra le sue fila.
L’elevato numero di decessi tra i feriti gravi obbligò gli alleati a
requisire un terreno ove insediare il Cimitero Militare Polacco “Korpusu” a 4
km dall’abitato sulla statale 100 per Bari. L’ingresso monumentale, molto sobrio, è costituito da quattro
pilastri in marmo, che sostengono i cancelli, congiunti da un architrave con
un’iscrizione celebrativa in bronzo: “BONUM CERTAMEN CERTAVI/FIDEM
CONSERVAVI–IDEO/REPOSITA EST MIHI CORONA IUSTITIAE (Ho combattuto una
battaglia gloriosa, ho conservato un ideale, perciò mi è stata deposta la
corona della giustizia). Le 431 tombe in pietra di semplice struttura
eseguite da un muratore casamassimese sono disposte in file ordinate tipiche
dei cimiteri anglo-sassoni: le cristiane riconoscibili dalla croce in pietra,
le ortodosse con la doppia croce, le musulmane con il simbolo della luna e
stella, le ebraiche con la stella a sei punte. Le file sono separate da un
viale centrale che dall’ingresso arriva ad un grande altare in marmo sul
quale si erge la Madonna Nera di Vilco venerata in Polonia. Alla base del
monumento una scritta in polacco recita: “Morti per un ideale affinché la
forza non domini sul diritto umano”. |
Cassano delle Murge è una cittadina collinare di circa 14.000 abitanti, il cui
territorio comprende il capoluogo comunale e i piccoli nuclei di Borgo Parco
la Vecchia e Lagogemolo, oltre agli insediamenti residenziali di Borgo
Circito, Borgo Fra Diavolo, Borgo dei Pini Mercadante e Borgo Incoronata. Il nome di Cassano compare per la prima volta in un
documento risalente all’inizio del XIV secolo. Il toponimo deriva dal termine
latino “Cassius” al quale si è aggiunta, nel 1863, la specificazione “delle
Murge”, in riferimento al contesto geografico nel quale sorge l’abitato. La storia della cittadina rispecchia quella dell’intero
territorio regionale che, dopo un lungo momento di stasi altomedievale, vide
invece una ripresa sotto i normanni e gli svevi, in particolare nel periodo
in cui fu imperatore Federico II di Svevia. Nei secoli successivi si alternarono diversi dominatori, dagli
angioini agli aragonesi, dagli spagnoli agli Asburgo, fino ad arrivare ai
Borboni che, tornati in possesso del regno delle due Sicilie dopo la
dominazione napoleonica, restarono al potere fino all’annessione al Regno
d’Italia, nel 1861. NUMERO TELEFONO COMUNE DI CASSANO
DELLE MURGE: Telefono: (+39) 080 3211200 |
|
Le origini medievali di Cassano delle Murge sono ancora visibili
nelle “case-torri” presenti nel
centro abitato. Edificate a partire dal XII secolo, come le torri alle quali
erano ispirate, ebbero scarso valore abitativo. Oggi resta la casa-torre
di via San Giovanni, che racconta l’architettura e la storia del periodo in
cui venne costruita. |
Cassano
delle Murge
Particolare riflesso dell'architettura medievale furono, a
partire dal secolo XII, le "case-torri" che, come le torri
alle quali si ispiravano, ebbero scarso valore abitativo: una bottega o
fondaco al piano terreno e uno o due piccoli vani sovrapposti nei piani
superiori, collegati da ripidissime scale di legno. A Cassano, che nel 1139 contava poche centinaia di anime,
l'architettura rispecchiò quei caratteri di cui innanzi, come sta a
testimoniare la superstite casa-torre di Via San Giovanni, trasformata
con l'aggiunta di una scala esterna e porta soprana. Per contro, queste
povere e neglette case, l'una a ridosso dell'altra, con aggrovigliati tetti
scuri, una varietà di ciminiere, gradini che conducono al primo piano, e
gradoni a sedile appoggiati alle pareti esterne, annualmente ripetute da mani
di calce bianca, ancora oggi, danno un aspetto veramente suggestivo,
caratteristico, "naturale" e formano un autentico artistico
paesaggio incorniciato dalle sovrastanti ridenti colline, che abbracciano
Cassano tra ponente e mezzogiorno, e minacciose, paiono messe là per
separarlo dal resto dell'umanità. |
Nel centro della cittadina si possono ammirare la chiesetta
di Santa Maria dei Martiri, oggi
sconsacrata; la Cripta del Crocifisso, il campanile della chiesa Matrice, in stile romanico. |
Cassano
delle Murge
(Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Il palazzetto
Miani-Perotti, di stile neoclassico e opera dell’architetto cassanese
Vincenzo Ruffi; la Torre Civica con la sede municipale; due
torri che sono sopravvissute alla cinta muraria medievale che fu invece
distrutta e diverse cappelle risalenti al Seicento e al Settecento. |
Cassano
delle Murge
(Nella Sezione Palazzi) |
Castellana
Grotte
Architetture Religiose ·
Chiesa Di Papa San Leone I Magno
Compatrono ·
Santuario Di Maria SS. Della Vetrana ·
Chiesa Di San Francesco d'Assisi ·
Chiesa Del Caroseno ·
Chiesa Di Santa Maria Del Suffragio
(Purgatorio) ·
Chiesa San Nicola Di Genna ·
Chiesa Di San Giuseppe; ·
Chiesa Di Sant'Onofrio; ·
Chiesa Di San Leonardo; ·
Chiesa Del Salvatore; ·
Monastero Dell'immacolata; ·
Chiesa Della Madonna Della Grotta; ·
Chiesa Di Santa Rosa; ·
Chiesa Di San Bartolomeo Di Padula. ·
Chiesa-Santuario Ex Parrocchia
Di San Marco
Evangelista Patrono In Contrada Zingarello Festeggiato A Fine
Agosto. (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Castellana nasce nell'alto Medioevo grazie alla colonizzazione operata dal
Monastero di San Benedetto di Conversano nel secolo X, precisamente nel 901. Ciò è
testimoniato da una pergamena che si riferisce all'atto di vendita di
Ermenefrido, figlio di Ermuzio, e sua moglie Trasisperga a favore di
Ianniperto. Il documento parla di un Castellano Vetere e di un Castellano
Novo. Nel 1098 il Conte Goffredo di
Conversano, di origini normanne, dona a San Benedetto tutto il
territorio e consente all'abate di radunarvi gente per popolarlo. La sua fondazione ufficiale viene fatta risalire nel
dicembre 1171, quando l'Abate Eustasio donò il
feudo di Castellano con buone condizioni di vassallaggio a due otrantini, Nicola
e Costa, nel tentativo di ripopolare l'agglomerato di case esistenti, molte
delle quali andate distrutte nel corso delle contese tra Ruggero II di
Sicilia e i dinasti normanni,
per goderne nuovamente delle rendite. Il borgo vicus ricostruito
ben presto si costituisce in universitas ed, in questo periodo è
collocata la presunta visita di Federico II di
Svevia e della sua sosta di una notte sotto l'ormai
inesistente Olmo di Porta Grande. Durante la dominazione sveva il monastero
conversanese di San Benedetto viene abbandonato, e nel 1226 Papa Clemente IV concede il convento
di Conversano a un gruppo di monache cistercensi fuggite dalla Morea, regione della Grecia centrale. A
loro vengono assegnate tutte le proprietà dell'antica abbazia, compresa
Castellana, e la giurisdizione ecclesiastica: ovvero la potestà ordinaria su
clero e popolo di Castellana più il diritto di impugnare il pastorale e
cingere la mitra. Nei primi anni del quattrocento, Castellana cercò di liberarsi
dalle dipendenze feudali della Contea di Conversano e dalla badessa del
monastero benedettino di Conversano a cui versava le decime. Approfittando
della lotta che imperversava la casata dei d'Angiò per il trono del Regno di
Napoli, nel 1407 trecento giovani castellanesi, guidati dal valoroso Ottavio
da Castellana, si schierarono dalla parte del Re Ladislao d'Angiò all'assedio
di Taranto contro Maria d'Enghien, sorella della badessa e
vedova del principe Raimondo
Orsini Del Balzo. Ammirati per le loro prove di valore, i combattenti
castellanesi passarono alle cronache come i Leoni di Fortezza. Ottenuta
la vittoria con la resa di Maria d'Enghien, con a seguito il suo matrimonio
risolutore col re Ladislao d'Angiò, Castellana ottenne il privilegio
promesso. Dopo la morte di Ladislao, nel 1426, la Regina Giovanna II di
Napoli nomina duca di Bari il nobile abruzzese Giacomo
Caldora, il quale ottenne, tra gli altri, anche il territorio di Castellana.
I Caldora ebbero potere sino al 1440 quando Antonio, figlio di Giacomo e suo
successore al titolo di duca di Bari, venne spodestato dal viceduca Mariano
de Riguardatis da Norcia, che offrì l'intero ducato, assieme a Castellana,
a Giovanni
Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto e figlio di Maria
d'Enghien dal suo primo marito. Nel 1456, Castellana e l'intera contea di Conversano
(comprendente anche i centri di Casamassima, Castiglione, Noci e Turi)
costituirono la dote di Caterina, figlia di Giovanni Antonio Orsini Del
Balzo, andata in sposa al duca d'Atri Giulio
Antonio Acquaviva. Gli Acquaviva,
che detennero i diritti feudatari fino alla loro abolizione nel 1806, furono
feudatari più umani verso il popolo, mettendo in condizione i coloni di
divenire piccoli proprietari che trasformarono il territorio, coltivando uva
e grano e traendone rilevanti benefici economici. NUMERO TELEFONO COMUNE DI CASTELLANA
GROTTE: Telefono: (+39) 080 4900239 (+39) 080 4900238 (+39) 080 4900224 |
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Castellana
Grotte
Architetture Civili · Torre civica o torre dell'Orologio è
stata edificata nel 1848; ·
Palazzo Municipale; ·
Monumento dei Caduti; ·
Biblioteca civica; ·
Curia Baronale; ·
Neviera di San Nicola di Genna; ·
Specchia di Pozzo Stramazzo. |
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Le Grotte di Castellana – un complesso di cavità sotterranee di origine carsica, di
notevole interesse turistico, tra i più belli e spettacolari d’Italia – sono ubicate
nel Comune di Castellana-Grotte, a circa 1,5 km dall’abitato. La genesi delle Grotte di Castellana, un vasto sistema di
caverne che si sviluppa per circa 3 chilometri ad una profondità media di 70
metri, è uno degli aspetti più appariscenti del carsismo pugliese. Per carsismo, termine derivato dalla parola
slava kar (pietra, roccia), che ha generato il toponimo Carso
attribuito alle regioni della Venezia Giulia e della Slovenia, si intende
l’insieme dei fenomeni prodotti, sia in superficie che nel sottosuolo,
dall’azione dissolutiva esercitata dalle acque piovane su un determinato tipo
di roccia, i calcari soprattutto. Dalla regione del Carso il termine si è poi
applicato a tutte le altre aree geografiche che presentano gli stessi aspetti
superficiali e ipogei. La storia della Grave delle Grotte di Castellana inizia nel
Cretaceo superiore (novanta-cento milioni di anni fa), quando la Puglia era
sommersa da un antico mare nel quale vivevano vaste colonie di molluschi e
vegetali marini. Per milioni di anni generazioni e generazioni di queste
forme di vita si erano succedute le une alle altre e, morendo, i loro gusci
svuotati e le loro carcasse si erano accumulati sul fondo del mare formando
un gigantesco deposito di fango e di sabbia che, con il suo lento ma continuo
accrescimento, si era via via compresso fino a formare uno strato di calcare
dello spessore di diversi chilometri. A partire da sessantacinque milioni di anni fa, il progressivo
innalzamento delle terre aveva portato la regione al suo aspetto attuale e
nella massa calcarea emersa, a causa della sua rigidità, si erano formate
estese fratture che l’avevano fortemente incisa. L’acqua eluviale d’intense
precipitazioni, percolando nel sottosuolo aveva, poi, formato un’estesa falda
acquifera sotterranea, tale da disciogliere gradualmente il calcare e di
allargare le fratture; queste avevano finito per unirsi le une alle altre per
il crollo della roccia frapposta formando, così, piccoli condotti via via
mutati in ambienti sempre più ampi. Nei luoghi in cui le fratture
s’intersecavano in gran numero (fenomeno nella Grave più rilevante che in
qualsiasi altro punto del sistema carsico castellanese) si erano determinati
estesi e ripetuti crolli; questi si erano ampliati sempre più verso l’alto,
riducendo, con il passare del tempo, lo spessore di roccia che separava la
cavità dall’esterno finché lo strato residuo, ormai assottigliato, non era
crollato facendo giungere all’interno della Grave il primo raggio di luce. L’aspetto certamente più affascinante del paesaggio estetico
delle Grotte di Castellana è il loro concrezionamento: il rivestimento, cioè,
delle nude pareti delle caverne da parte di depositi di calcare che,
attraverso tempi lunghissimi, sono stati portati in sospensione dall’acqua
piovana nel suo lento attraversamento degli strati rocciosi sovrastanti. Una volta raggiunti i vuoti delle caverne, l’acqua di
stillicidio cadendo al suolo lascia, sia sulla volta che sul pavimento, un
deposito di carbonato di calcio che permette la crescita delle stalattiti, le
formazioni che pendono dal soffitto, e delle sottostanti stalagmiti. Con il trascorrere del tempo il progressivo accrescimento della
stalattite e della stalagmite porterà alla loro unione e alla formazione di
una colonna. Oltre a queste forme elementari, esistono molte altre tipologie
di concrezionamento, quali le colate e le cortine, dovute allo scorrimento
dell’acqua, le concrezioni coralloidi e i cristalli di laghetto, generati in
ambiente subacqueo e, infine, le concrezioni eccentriche, che sfidano la
legge di gravità, e le perle di grotta, strati successivi di calcite
originati attorno ad un microscopico granello di roccia. Un capitolo a parte meritano le cosiddette stalattiti
eccentriche. Queste formazioni, di dimensioni generalmente ridotte, non
obbediscono alla legge di gravità come le normali stalattiti. Esse si
accrescono invece lateralmente, a semicerchio e perfino verso l’alto, dando
vita a forme spettacolari. |
Castellana Grotte La visita al pubblico delle Grotte di Castellana si snoda lungo
un percorso agevolmente percorribile e con la presenza esperta di guide
multilingue. Una straordinaria escursione nelle Grotte a 70 metri circa di
profondità in uno scenario stupefacente di stalattiti, stalagmiti, fossili,
cavità, caverne dai nomi fantastici. Itinerario completo, della lunghezza di 3
chilometri e della durata di 120 minuti circa Itinerario parziale, della lunghezza di 1
chilometro e della durata di 50 minuti circa Il costo del biglietto
è di: Le Grotte di Castellana sono aperte tutto l’anno. Per gli orari
di visita, che variano da stagione a stagione, si consiglia di consultare
il calendario. La temperatura nel sottosuolo
varia tra i 14° e i 18°. Per l’escursione si consiglia quindi di indossare
capi di abbigliamento i e adatti alla temperatura del sottosuolo e scarpe da
ginnastica o con suola piatta di gomma. Riduzioni I bambini fino a 5 anni entrano gratis. I ragazzi dai 6 ai 14 anni usufruiscono di
una riduzione sul costo del biglietto e pagano: I gruppi (minimo 20 persone) usufruiscono di una
riduzione sul costo del biglietto e pagano: Le scolaresche hanno diritto ad una riduzione sul
prezzo del biglietto per la visita alle Grotte di Castellana e pagano: È possibile effettuare l’esperienza
di Speleonight al costo di 25 euro a persona. (Per Info
(+39) 080 4998221). Speleonight è un esclusiva visita delle Grotte di
Castellana al buio, che si effettua dopo la chiusura al pubblico, per gruppi
composti da almeno 15 persone. I visitatori sono guidati dalle guide del Gruppo Puglia
Grotte equipaggiate con casco, bomboletta e illuminazione ad acetilene:
questo serve a mostrare lungo la passeggiata, i colori, le sensazioni e le
emozioni vissute dai primi esploratori. Le esperte guide speleologiche guidano i partecipanti in
un’escursione unica, nel corso della quale si potranno ascoltare i suoni
delle Grotte e scorgerne e osservarne la fauna che la popola, o provare
intense emozioni come procedere in solitudine per un tratto. (Per Info su Come si Effettua la Visita: http://www.grottedicastellana.it/le-grotte/speleonight/ ) Info Giorni e Orario apertura: http://www.grottedicastellana.it/orari/ |
Cellamare I primi insediamenti nella zona risalgono a tempi antichi, come
testimoniano i reperti archeologici, di epoca italiota, ellenica e romana,
rinvenuti nei dintorni dell’abitato. Il toponimo compare nella forma di
Cellamarii nello statuto della località, redatto dall’arcivescovo barese
Rainaldo, nella seconda metà del 1100; è un composto corrispondente a “cella
al mare”, da intendere nel senso di ‘cella rivolta verso il mare’. Fondata
intorno al secolo XI, insieme a Capurso riuscì a respingere i saraceni che,
dopo aver devastato vari paesi, tra cui Valenzano, cercavano di occuparla. In
essa si rifugiarono i profughi di Bari, distrutta dal normanno Guglielmo
il Malo, verso la metà del XII secolo. Possedimento della mensa arcivescovile,
passò poi sotto diversi signori, condividendo le sorti del resto della
provincia, assoggettata a svariate dominazioni fino all’ingresso nel Regno
d’Italia. Del patrimonio storico-architettonico fanno parte: il castello
feudale; la torre civica o dell’orologio, costruita nella prima metà del
Novecento; l’ottocentesca parrocchiale della Santissima Annunziata,
contenente, tra l’altro, la reliquia di Sant’Amatore e un pregevole dipinto,
del XII secolo; le chiese di San Michele Arcangelo e della Madonna delle
Grazie. NUMERO TELEFONO COMUNE DI CELLAMARE: Telefono: (+39) 080 4657911 |
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Piazza Don Bosco Nel censimento del 1931 compariva ancora la denominazione
"Largo Piazza". Per i nostri antenati era semplicemente la "Piazza", su cui, la sera si intrattenevano per sapere quello che era successo durante la giornata, mentre erano stati in campagna, e dove incontravano i datori di lavoro, che li ingaggiavano per l'indomani. |
Cellamare Su questa piazza si affacciano la Chiesa Matrice e
la Torre dell'orologio. Successivamente si volle dare una denominazione
e si scelse il nome di Giovanni Bosco, Santo del lavoro, Patrono degli
apprendisti, gran educatore di giovani. Fu proclamato Santo nel 1934 e, in
quell'occasione, gli amministratori di Cellamare vollero dedicare a lui la
piazza più bella del paese, nel borgo antico. Durante il fascismo si chiamò
Piazza della Rivoluzione. E' lunga m. 60 e larga m. 31. |
Largo Castello Antistante il
Castello, è lungo m. 34 e largo m. 13. Sfociano su questo largo: Via
Castello, Via G. Pacifico, Via D. Dinatale e Via G. Losurdo. |
Cellamare Durante il fascismo si voleva cambiare la denominazione, ma la
Prefettura non lo permise, in quanto ricordava un luogo della Cellamare
medievale. Lo stesso dicasi per Via Caracciolo che richiama alla mente il
periodo in cui il paese fu sotto la dominazione dei feudatari di questo nome
prestigioso e nobilissimo. |
Via Castello E' la via, che conduce al Castello. È la via che conduce al
castello. È una delle più antiche del paese. Durante il fascismo fu chiamata
Via Arnaldo Mussolini (il 10 dicembre 1938 deliberazione podestarile n. 68).
Va da Piazza Don Bosco a Largo Castello. |
Cellamare |
Via San Sabino Ricorda San Sabino da Canosa, vescovo del VI secolo che, oltre
ad essere il patrono di quella città, fu anche il primo patrono di Bari,
prima dell'arrivo dall'Oriente del quadro miracoloso della Madonna di
Costantinopoli e di San Nicola di Mira. Non dobbiamo dimenticare che
Cellamare fu feudo della Curia di Bari. Non c'è da meravigliarsi, perciò, che
una delle sue vie, nel borgo antico, sia dedicata a San Sabino. Va da Piazza
Don Bosco a Via Caracciolo. |
Cellamare |
Via Forno È una delle strade che risalgono al Medioevo. Lì c'era il forno
pubblico ancora oggi funzionante. |
Cellamare |
Largo Giovanni Losurdo Giovanni Losurdo era figlio di Michele e di Losurdo Rosa. Nacque
a Cellamare il 28 giugno 1892. In qualità di soldato del 19° Fanteria prese
parte alla Grande Guerra. Morì a 24 anni il 27 agosto 1916 a Saciletto in
seguito a bronco polmonite destra contratta in zona di guerra. |
Cellamare |
Via Giuseppe Pacifico Giuseppe Pacifico era figlio di Francesco. Nacque a Cellamare il
26 febbraio 1894. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale, come soldato del
reggimento Fanteria. Morì a Gradisca, per le ferite riportate in
combattimento. |
Cellamare Parte da Largo Castello e arriva su Via Marconi. |
Via Vito Giuseppe Ronchi Vito Giuseppe Ronchi era figlio di Vito e di Nardulli Francesca.
Nacque a Cellamare il 3 aprile 1895. Prese parte alla Grande Guerra in
qualità di soldato nell'Arma dei Bersaglieri 8° Reggimento -19° Reparto
d'assalto. Morì all'età di 23 anni, in zona di guerra il 10 maggio 1918, in
seguito a ferite riportate in combattimento. Fu insignito della medaglia
d'argento al valore militare. |
Cellamare Va da Via Castello a Via San Sabino. |
Via Vito Scattaglia Vito Scattaglia era figlio di Francesco e di Digioia Antonia.
Nacque a Cellamare il 2 giugno 1893. Fu soldato del 9° Fanteria. Prese parte
alla Grande Guerra. Morì a Straussina I'8 aprile 1916 in seguito a ferite di
proiettile riportate in combattimento. Aveva solo 23 anni. |
Cellamare Parte da Via Castello e termina in Via San Sabino. |
Via Amatore Di Gioia Amatore Di Gioia era figlio di Francesco e di Ronchi Angelica.
Nacque a Cellamare il 13 febbraio 1887. Prese parte alla Grande Guerra in
qualità di soldato del 135° Reggimento-32° Fanteria. Morì a 29 anni in zona
di guerra (Monte Civaron -Regione Mesola) il 13 agosto 1916 per una pallottola
di fucile al cuore. |
Cellamare Parte da Via Castello |
Via Donato Di Natale Donato Di Natale era figlio di Giuseppe e di Spinelli Teresa.
Nacque a Cellamare il 25 aprile 1895. Era mitragliere. Apparteneva alla 2073°
Compagnia. Prese parte alla Grande Guerra. Morì a 22 anni il 7 ottobre 1917 a
Mesgrigny (Aube -Francia) per intossicazione di gas e paralisi respiratoria. |
Cellamare Va da Largo Castello a Via Pacifico |
Via Caracciolo È dedicata alla nobilissima Famiglia Caracciolo, che si
imparentò con la Famiglia Giudice, altrettanto nobile, e si ebbe così il ramo
Giudice-Caracciolo. Il feudo di Cellamare rimase in possesso di questa
famiglia per quasi due secoli. Durante il Fascismo legava Via Martiri Fascisti (oggi Via
Libertà) a Via Marconi. |
Cellamare |
Conversano Le sue origini risalgono all'età del ferro e il primo nucleo
abitativo che vi si insediò, costituito da popolazioni indigene, le diede il
nome di Norba, ovvero città fortificata. Nel III sec. a. C. la città fu occupata dai Romani, ma, una volta
caduto l'Impero per mano delle invasioni barbariche, ne subì il declino. Un nuovo nucleo fortificato si formò soltanto nell' Alto Medio
Evo e prese il nome di Casale Cupersanem, che grazie a Goffredo d'Altavilla
divenne un vero e proprio centro di potere esteso per buona parte della
Puglia centro-meridionale, tra Bari e Brindisi e fino a Lecce e Nerito
(Nardò). Dopo la morte di Goffredo, la contea passò in eredità al
primogenito Roberto ed in seguito al figlio Alessandro; con l'andare del
tempo, però, essa passò di mano in mano tra diversi casati: dagli Altavilla
ai Bassavilla. poi i Brienne, i d'Enghien, i Lussemburgo, che contribuirono
all'ampliamento del castello, gli Orsini e gli Orsini del Balzo. L'ultimo conte Orsini del Balzo, Giovanni Antonio, diede in dote
la contea alla figlia Caterina, andata in sposa a Giulio Antonio Acquaviva
d'Aragona, duca di Atri e conte di Teramo. Iniziava così nel 1455 il lungo possesso del feudo di Conversano
da parte della casata degli Acuaviva che, salvo una parentesi di quattro
anni, lo avrebbe detenuto ininterrottamente sino al decreto di abolizione
della feudalità di Giuseppe Bonaparte nel 1806. Notevoli furono le figure di alcuni conti di casa Acquaviva, fra
cui quella di Giulio Antonio, valoroso guerriero al servizio degli Aragonesi,
che si distinse nella guerra di Toscana(1478/1480), rimanendo vittima di un
agguato turco. Suo figlio Andrea Matteo, anch'egli uomo d'armi, ma soprattutto
dotto umanista, partecipò alla congiura dei baroni del 1485 contro il re
aragonese; si schierò contro gli Spagnoli nel conflitto che oppose Francia e
Spagna fra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento per il possesso
del Regno di Napoli. Celebre fu anche Giangirolamo II, detto il Guercio delle Puglie,
che tenne la contea dal 1626 al 1665, distintosi per il suo dispotismo e per
la sua crudeltà. Egli accolse alla sua Corte il pittore napoletano Paolo
Finoglio, autore a Conversano di importanti opere: dagli affreschi della
camera degli sposi alle dieci tele che compongono il ciclo illustrante la
"Gerusalemme Liberata" di Torquato Tasso. Mentre tornava a
Conversano dopo i sedici anni di prigione scontati nelle carceri della
Spagna, in seguito alle violenze compiute sulla città di Nardò, egli si
ammalò di malaria e morì nel marzo del 1665. Dopo la morte del Guercio la contea di Conversano si avviò verso
una lenta decadenza, accentuatasi da un'epidemia di peste che colpì la
popolazione e indebolì l'economia locale. Furono circa settanta i vescovi che tennero la cattedra
conversanese; fu Stefano I ad iniziare, a partire dal 1266, la lotta tra i
vescovi, gelosi del potere delle "Badesse" insediate nel Monastero
di San Benedetto che costituiva un potere eccezionale in Italia, simile solo
ad altri rari casi nel mondo cristiano. Il potere della Chiesa fu allentato dal graduale affermarsi
della borghesia cittadina la quale si frapponeva tra il partito dei
cosiddetti "galantuomini" e quello dei "cafoni", ossia
della povera gente. Fra la fine dell'Ottocento ed il primo ventennio del Novecento
la lotta politica e sociale si intensificò al punto da provocare l'assasinio
dell'onorevole Giuseppe di Vagno nel 1921. Anche gli anni del dopoguerra furono caratterizzati da continue
lotte sociali ad opera soprattutto della popolazione contadina, le cui
condizioni furono decisamente migliorate per opera del sindacato che riuscì a
garantire ai lavoratori, ai disoccupati, ai bisognosi e ai pensionati una
migliore condizione di vita. NUMERO TELEFONO COMUNE DI
CONVERSANO: Telefono: (+39) 080 4094111 (+39) 080 4094 110 |
|
Il castello di Conversano è
una struttura trapezoidale di origine normanna, ma successivamente modificata e
rimaneggiata, soprattutto nel XV e nel XVII secolo, in modo da tramutarla da
fortezza originaria qual era in fastosa dimora signorile. Effettuando il giro del perimetro della costruzione, possiamo
notare ancora un grosso torrione cilindrico
(XIV secolo), un bastione dodecagonale munito di
merlatura per le bocche da fuoco, risalente al 1460,
tre massicci torrioni quadrati (XI-XII secolo), di cui il torrione maestro è
di età normanna e sorge su preesistenti
mura megalitiche (per alcuni tratti
ancora visibili), e qualche resto di finestre ogivali e circolari. La porta
d'ingresso, il muro di cinta del cortile e la pregevole galleria che gira
nell'interno dell'atrio risalgono invece al 1710,
anno in cui furono fatte costruire dalla contessa Dorotea
Acquaviva. Sul lato di Piazza della Conciliazione sorge l'ingresso
monumentale tardo barocco. L'ingresso nel castello avviene non da Piazza Castello, bensì
dalla adiacente Piazza della Conciliazione, dove si accede tramite il portale
del 1710, di linee barocche. Si arriva così nel cortile
interno, a portico e loggia su due lati. L'appartamento
dei signori presenta ancora in alcune sale l'antico arredamento dei
secoli XVI-XVII. Spettacolare, per bellezza ed
estensione, è inoltre la vista dall'alto della torre che domina il cortile,
eretta nel XIV secolo da Gualtiero di
Brienne. Attualmente, alcune parti del Castello restano in mano di
privati. |
Conversano All'interno del castello, dopo una serie di restauri, è stata
collocata la pinacoteca comunale. In essa Sono contenute svariate opere tra
le altre cose le grandi tele raffiguranti episodi della Gerusalemme
liberata ad opera del pittore seicentesco napoletano Paolo Domenico Finoglio, invitato a
Conversano da Giangirolamo
II d'Acquaviva; il ciclo di opere serve per esaltare il potere e
il prestigio della casata che ha commissionato l'opera al pittore. (Nella
Sezione Musei) |
Dell'antica murazione
megalitica di Norba permangono visibili tracce all'interno del Castello e
nelle immediate vicinanze, all'iniziio della rampa di San Benedetto, nonchè
inglobate nel nuovo assetto ottocentesco di Piazza XX settembre sotto il
Belvedere; inoltre le ritroviamo di fronte a via Signorella. |
Conversano |
La Cattedrale
di Conversano, dedicata a Santa Maria Assunta, s’innalza nel cuore
del centro storico all’interno delle antiche mura megalitiche, isolata dalle
costruzioni circostanti. |
Via Monsignore Lamberti Conversano Telefono: (+39) 080 4951123 (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Castello di Marchione Nome del castello e della contrada che lo cinge, non si conosce
l’origine di tale titolo. Adagiato sulla strada provinciale
per Putignano a circa 6 chilometri dal centro di Conversano,
il Castello di Marchione fu casa di caccia degli Acquaviva d’Aragona,
conti di Conversano. |
Strada Provinciale 101 Conversano Telefono: (+39) 080 4959774; (+39) 080 4959777 (+39) 328 4983880 E-Mail: info@castellomarchione.com |
Torre e rovine di Castiglione Un'alta torre a base quadrata, probabilmente con un nucleo trecentesco e rifacimenti del tardo Cinquecento. L'ingresso alla torre è in
posizione sopraelevata e richiedeva presumibilmente un ponte levatoio; la
sommità è coronata di beccatelli. Attorno alla torre vi sono i resti di una
cinta muraria con basamento megalitico che delimitava la cima del colle, dove
sono emersi i resti di alcune strade, case e botteghe e i ruderi di una
chiesa di impianto basilicale con abside semicircolare, della quale si ha
memoria con il titolo dell'Annunziata. |
A circa 5 km dal centro cittadino in direzione
sud-est, sulla cima di un colle boscoso della contrada Castiglione Conversano Il toponimo Castiglione, associato
ad un centro abitato di modeste ma non trascurabili dimensioni, ricorre
infatti nei documenti dal X secolo al 1494 quando
probabilmente la piccola comunità si raccolse in Conversano. Ma il villaggio
occupava in realtà il sito di un insediamento abitato almeno dall'età del bronzo e
vivo in epoca romana, alla quale sembra fare riferimento l'impianto
urbanistico. Secondo alcune interpretazioni,Castiglione potrebbe
corrispondere alla località riportata nella Tabula
Peutingeriana col toponimo Ad Veneris. Oggi l'intera area è stata
recuperata ed è tutelata insieme ai laghi di Conversano. |
Santuario di Santa Rita e Chiesa dei
Santi Cosma e Damiano Nel cuore del centro storico di Conversano, l’imponente
complesso architettonico con la Chiesa e il Convento dei Santi Cosma e
Damiano risale al ‘600, quando fu edificato sui resti della romanica Chiesa
di San Matteo. |
Largo San Cosma Conversano |
Villa Garibaldi La realizzazione del "giardino pubblico" di
Conversano, collocabile nell'ultimo ventennio dell'Ottocento non fu il
risultato di un unico progetto, ma la naturale conseguenza dell'uso pubblico
di un'area adibita a "passeggiata". |
Conversano Per quanto concerne lo spazio della "passeggiata", i
lavori eseguiti in quegli anni mirarono a dare una gradevole aspetto
esteriore alla sporgenza del "Palo", anche salvaguardando
l'integrità di alcuni alberi già esistenti. Solo nella seconda metà
dell'Ottocento l'area venne destinata a "giardino" e quindi
sottoposta ad una nuova ridefinizione verso cui spingevano diverse
motivazioni: la naturale posizione del "Belvedere", la sua
favorevole esposizione ai venti freschi e inoltre la piacevole vista su un
ampio panorama che al di là della verde campagna, spazia fino al vicino
Adriatico. |
Pinacoteca Comunale di Conversano |
Corso Domenico Morea, 2 Conversano
Telefono: (+39) 080 4958524 (Nella Sezione Musei) |
Museo civico archeologico di
Conversano |
Via San
Benedetto, 16 Conversano Telefono: (+39)
080 495917 (+39) 080 4951228
(Nella Sezione Musei) |
Corato Le prime notizie certe sulla località risalgono al Medioevo e
più precisamente ai tempi della dominazione normanna (XI
secolo); stando però a un’antica tradizione le origini dell’abitato
andrebbero riportate all’epoca romana. Dopo i normanni fu
assoggettata agli svevi e,
quando, alla morte del grande imperatore Federico II,
Carlo d’Angiò estese il suo potere sull’Italia meridionale, rimase schierata
dalla parte di Corradino di Svevia,
che ne esaltò la lealtà, attribuendole l’appellativo di “COR SINE LABE DOLI”,
‘cuore senza macchia di tradimento’, riportato sullo stemma cittadino.
Passata poi agli aragonesi,
dall’inizio del XVI secolo fu sotto il dominio degli spagnoli, cui
subentrarono, nel Settecento, gli Asburgo e i Borboni.
Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo assistette al fallimento di
un tentativo di insurrezione, capeggiato dal patriota locale Federico Quinto.
Il periodo napoleonico segnò l’inizio di una fase di sviluppo civile e
urbano, che raggiunse i massimi livelli dopo l’unità d’Italia. NUMERO TELEFONO COMUNE DI CORATO: Telefono: (+39) 080 9592111 |
|
La città ha molto da offrire dal punto di vista
storico-culturale. Da vedere assolutamente la Chiesa madre di Santa Maria Maggiore, la Chiesa della Madonna
delle Grazie e la Chiesa e Convento del Carmine. La Chiesa
madre fu costruita nel 1139, ma purtroppo oggi sono pochi i resti
dell'architettura originaria a causa del restauro dopo il terremoto del 1629.
La Chiesa della Madonna delle Grazie invece è una chiesa rurale di epoca
settecentesca, situata in contrada Bracco, che collega Corato a Ruvo. La
Chiesa e il Convento del Carmine sono estremamente importanti per Corato
perchè il culto del Carmine è molto sentito in questa zona e ci sono
testimonianze in proposito sin dal XVII secolo. |
Corato (Nella Sezione dei Luoghi di Culto) |
Numerosi sono i Palazzi della città che testimoniano
le antiche sedi del potere di Corato: Palazzo
Gioia, Palazzo De Mattis, Palazzo Lamonia, Palazzo Catalano, Palazzo Gentile
Griffi e Palazzo Spallucci. Tra tutti i palazzi, degno di nota è
il Palazzo De Mattis soprannominato il "Palazzo dalle
pietre pizzute" per la particolarità delle bugne a punta di
diamante con cui è stato rivestito il palazzo. L'edificio è un esempio di
architettura rinascimentale in Puglia, e appartiene a Patroni Griffi. |
Corato (Nella Sezione Palazzi) |
L'attuale abitato di Gioia
del Colle nasce intorno a un castello di origini bizantine. Il suo nome deriva da Joha, riduzione del cognome Joannakis,
famiglia bizantina presente in questi luoghi in età medioevale, ma
sull'origine del toponimo ci sono molte opinioni e perfino leggende. Una delle
più famose è quella secondo una nobil donna in viaggio nella zona perse dei
gioielli tra cui una bellissima e preziosissima collana. Al luogo dove la
collana venne ritrovata venne dato il nome "Gioia del Colle". La
complessa ed originale storia della città di Gioia del Colle è illustrata
anche nel suo particolare stemma araldico: una coppa a forma di calice
ricolma di gioielli e bordata da motivi agricoli. Diversamente dagli stemmi
dei paesi limitrofi, quello di Gioia del Colle, risalente al 1934, non si lega
ad alcun simbolo raffigurante casati, marchesati o ducati, ma racconta la
presenza di una civiltà eterogenea che va dalla povertà alla ricchezza,
dall'artigianato al latifondo. Si ispira ad una scultura eseguita nel 1480 da
Joannes de Rocca, su di una pietra murata nella sede dell'Università di
Gioia, raffigurante tre stemmi: quello di Gioia con la scritta Universitas
Joe, quello Aragonese con la corona reale e quello dei conti Acquaviva di
Conversano. L'abitato fu ricostruito dal normanno Riccardo
Siniscalco, per poi essere distrutto da Guglielmo I di
Sicilia detto "il Malo". Fu rifondato nel 1230 da Federico II di
Svevia al ritorno dalla Crociata. Sembra che il castello
fosse una residenza in cui sostava durante le sue battute di caccia. Fu poi
completato dagli Angioini che aprirono delle finestre sulla cortina. Fra il 1600 e 1800 i successivi proprietari (gli Acquaviva
d'Aragona, i De Mari, e Donna Maria Emanuela Caracciolo) hanno
tolto al complesso l'aspetto di una residenza fortificata. La città "nuova" però avrebbe origine da un
insediamento ben più antico: Monte Sannace, distante circa 5 km
dall'abitato odierno. Scavi archeologici, ancora oggi, portano alla luce
vestigia di un villaggio di Peucezi risalente al VII secolo a.C. Gioia nasce durante
il dominio bizantino per poi passare sotto il dominio normanno, infeudata al
conte Riccardo di
Altavilla. A Federico II si deve la ricostruzione del castello.
Fu principato di
Taranto e feudo dei principi De Mari di Acquaviva delle
Fonti fino all'abolizione delle feudalità. NUMERO TELEFONO COMUNE DI GIOIA DEL COLLE: Telefono: (+39) 080 3494232 |
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Castello normanno-svevo Origini bizantine Il nucleo più antico del Castello, corrispondente all'ala Nord,
è di epoca bizantina,
risalente al IX secolo. Esso
consisteva di un recinto fortificato di forma rettangolare in pietra
calcarea. Era presente un piccolo cortile, adiacente alla muraglia
meridionale, che si apriva verso l'esterno in quella che adesso è piazza dei
Martiri del 1799. Il Castello aveva la funzione principale di dare riparo
alla popolazione in occasione di scorrerie di genti nemiche. Periodo Normanno Tra l'XI e il XII secolo il Castello
venne ampliato da Riccardo
Siniscalco, della dinastia normanna degli Altavilla (Siniscalco è titolo di alto
funzionario reale presso i Normanni), Duca di Puglia e primo feudatario del
territorio dell'odierna Gioia del Colle. Il documento più antico in cui viene
fatta menzione del Castello risale al 1108: sembrerebbe quindi ancora
precedente l'intervento di ampliamento normanno. Riccardo Siniscalco
trasformò il fortilizio bizantino in una roccaforte feudale, allargando il
cortile verso Sud e recintandolo con un solido muro, e costruendo un mastio
nell'angolo Sud-Ovest, successivamente denominato "Torre De' Rossi”. Il
Re di Sicilia, Ruggero II,
sempre di stirpe normanna, modificò parzialmente la fortificazione, con
l'aggiunta di altre due torri negli angoli Nord-Est e Nord-Ovest, non più
esistenti. Il Castello e l'abitato circostante sarebbero stati, poi,
distrutti da Guglielmo I il
Malo, quando questi recuperò il potere sulla terra di Bari. Periodo Svevo La sistemazione attuale si deve a Federico II di
Svevia, il quale attorno al 1230 rifondò
il Castrum di ritorno dalla VI crociata in Terrasanta, aggiungendo una torre
nell'angolo Sud-Est, cosiddetta "Torre Imperatrice", innalzando
cortine murarie nel cortile, per ricavarne ambienti chiusi, di servizio al
piano terra (cucina, depositi, stalle, scuderie), di rappresentanza e
residenziali al primo piano. In tal modo l'edificio assunse una struttura grossomodo
quadrangolare, con cortile interno e quattro torri angolari, tipica dei
castelli federiciani. Il Castello così voluto dall'Imperatore faceva parte
della rete di residenze e fortificazioni disseminate nel territorio
dell'Italia Meridionale, dalla Capitanata fino alla Sicilia, destinate al controllo militare
delle fertili regioni del Regno. Per tutta l'età sveva, infatti, il Castello
di Gioia del Colle fu sede di una guarnigione militare e solo pochi ambienti
erano lasciati liberi e a disposizione del sovrano. Da alcune cronache e
testimonianze, seppure posteriori, sembra, tuttavia, che il puer
apuliae amasse risiedere nel Castello di Gioia per le sue battute di
caccia nei boschi della Silva Regia. Periodo angioino, aragonese ed età
moderna Con la sconfitta di Manfredi nella battaglia
di Benevento del 1266, l'egemonia sveva sull'Italia meridionale
terminò. Il Castello di Gioia del Colle seguì le medesime sorti. Dopo gli Svevi, esso passò sotto il dominio
degli Angioini e degli Aragonesi. Dopo l'uccisione di Manfredi,
secondo la leggenda nato a Gioia del Colle, il Castello divenne quindi
proprietà dei Principi di Taranto fino al '400, dei Conti di Conversano fino al '600 e dei Principi di Acquaviva
fino agli inizi del '800. Nel corso
di questi secoli il Castello fu gradualmente trasformato da costruzione
militare a dimora residenziale ed adattato alle nuove esigenze abitative,
avendo perso ogni importanza militare e civile, pur mantenendo il suo
impianto strutturale. Dal '600, perdendo a mano a mano importanza, il
Castello cominciò una lunga fase di degrado e a subire deturpazioni, mantenendo
tuttavia la struttura originaria a differenza di altri castelli di Puglia, che subirono vari adattamenti
adeguandosi a nuove esigenze militari. Per questa ragione il Castello di
Gioia del Colle costituisce una delle testimonianze più fedeli del periodo
normanno-svevo. Età contemporanea Il Castello divenne di proprietà di Donna Maria Emanuela
Caracciolo nel 1806 fino al 1868.
Nel 1884 fu comprato dal canonico
Daniele Eramo, mentre agli inizi del XX secolo passò al marchese di Noci, Orazio De Luca Resta, il quale
richiamò l'attenzione sul monumento, promuovendone il restauro, ed in seguito
ne propose la donazione al Comune di Gioia del Colle. A questo periodo
risalgono i primi lavori di restauro effettuati dal 1907 al 1909 da
parte dell'architetto Angelo Pantaleo, sotto l'egida del Ministero delle Belle Arti, che miravano
a recuperare l'aspetto originario, effettuando tuttavia delle ricostruzioni
arbitrarie impostate su un'immagine stereotipata del Medioevo: tra queste
alcune monofore, bifore e la trifora nella cortina muraria interna del lato
Sud, nonché il trono e gli arredi in pietra dell'omonima sala. Nelle sue
ricostruzioni, comunque, l'architetto adoperò materiale di reimpiego, anche
di notevole pregio, scrupolosamente recuperato nelle demolizioni delle superfetazioni
- strutture posteriori, risalenti ad epoche di degrado - presenti nel
cortile. Nel 1957 il Castello,
molto malridotto, perché tenuto in uno stato di abbandono dagli eredi del
Marchese De Luca Resta, venne acquistato dal Ministero
della pubblica istruzione e annoverato tra i monumenti
nazionali. Tra il 1969 ed il 1974 il Castello è stato nuovamente
restaurato, a seguito di alcuni crolli successivi all'intervento del 1907,
questa volta ad opera dell'ingegnere Raffaele De Vita, che recuperò la
funzionalità dei locali al piano terra, rendendolo infine visitabile come
monumento ma anche atto ad ospitare attività culturali. Dal 1977 il Castello è
sede del Museo archeologico nazionale di Gioia del Colle.
Per un breve periodo, inoltre, il Castello ha ospitato la Biblioteca
comunale don Vincenzo Angelillo. |
Gioia del Colle Il Castello consta di un cortile
interno attorno al quale sorgono gli ambienti, organizzati in due piani. Ai due
angoli del lato sud sorgono due torri(denominate “De' Rossi” e
“dell'Imperatrice”, alte rispettivamente 28 m e 24 m), delle
quattro originariamente presenti. Riferimenti a queste torri sono contenuti
negli scritti di Honofrio Tangho del 1640 e
di Gennaro Pinto del 1653. L'aspetto esteriore risente degli apporti stilistici dei
differenti proprietari del Castello; il contributo di Federico II di Svevia è
tuttavia quello che maggiormente ha impattato sull'aspetto finale. L'opera
federiciana si presenta infatti ecletticamente ricca di apporti diversi,
tipica della tendenza dell'Imperatore di affiancare stili molto differenti
tra di loro, con un particolare riguardo all'architettura
islamica. Questo si nota nella varietà di motivi artistici
all'interno del cortile e delle sale, ispirati appunto a modelli arabi
filtrati attraverso modelli crociati, a cui si aggiunge il vistoso apparato
di bugne che conferisce una nota di
monumentalità alla severa ed austera costruzione normanna. Questo
procedimento architettonico, di valore esclusivamente decorativo, si
evidenzia nelle bianche cornici calcaree a bugnato lungo gli spigoli delle
torri e nelle originali aperture esterne sulla facciata delle cortine e delle
torri. Il materiale di costruzione del Castello è prevalentemente pietra calcarea e carparo rosso. La muratura esterna è
costituita di tre diversi tipi di strutture murarie che denunciano tre epoche
diverse di realizzazione: piccoli conci lapidei di pietra calcarea,
sulla cortina nord
e nord-est; bugne rettangolari a bauletto con canaletti incavati, sulla Torre
dell'Imperatrice; bugne rettangolari poco aggettanti e schiacciate molto
consunte dal tempo, su tutto il resto della costruzione. In particolare, il
carparo rosso è stato utilizzato per realizzare le cortine e la parte alta
delle torri; fino a 4,50 m di altezza su di queste ultime, infatti, sono
state utilizzate bugne di pietra calcarea molto chiara, oltre che agli angoli
delle torri e nell'incorniciatura di portali, finestre e di alcune feritoie. Numerose
monofore, bifore, una trifora (quest'ultima risalente al restauro del
Pantaleo del 1907) e feritoie si aprono in maniera
disordinata sulle cortine e sulle torri, confermando le diverse fasi
costruttive. Le cortine alte circa 12 m sono divise in due piani; quelli
inferiori mostrano numerose strette feritoie, quelli superiori diverse
finestre di varia forma. Ingressi Esistono vari ingressi: il principale è costituito da un ampio
portale situato sul lato ovest, un secondo è poco più di una porta sul lato
sud. Entrambi sono sormontati da una corona di bugnato a raggiera. Caditoie a due canne incombono al di
sopra degli ingressi. Un terzo ingresso è stato portato alla luce attraverso la
cortina nord. Cortile Dal portone principale, con il
suo arco ogivale,
si accede al cortile trapezoidale,
dove si trovano la scala per l'accesso al piano superiore nonché i vari
locali del pian terreno. La scalinata presenta dei bassorilievi rappresentanti animali
e scene di caccia. Al centro del cortile si trova un pozzo cisterna per la raccolta dell'acqua
piovana. Le cortine interne sui lati nord ed est del cortile sono state
ricostruite. Forno E Prigione Da un ingresso posto sul lato sud del cortile si accede
alla sala del forno, così chiamata per la presenza di un grande forno,
sulla cui struttura è poggiata una delle torri superstiti, quella detta
dell'Imperatrice. Sotto il forno c'è un piccolo sotterraneo, utilizzato un tempo
come prigione. Sulla parete est della prigione sono
scolpite due protuberanze a forma di seni. La leggenda vuole siano i seni che
ricordano il martirio di Bianca Lancia, che, a causa della gelosia e dell'offesa
arrecatale da Federico II, subito dopo aver dato alla luce il figlio
Manfredi, se li era recisi e aveva ordinato ai suoi
servitori di consegnarli al re marito, insieme al neonato. Sala Del Trono Al termine della scalinata del cortile si accede alla sala del
trono, così chiamata perchè in fondo alla parete sud è appoggiato
un trono in pietra, ricostruzione del Pantaleo. L'arco posto verso la parte terminale della sala,
verosimilmente, aveva il compito di creare una divisione tra la zona "
riservata ", quella del trono, dall'ambiente destinato alle udienze, ai
sudditi, come è dimostrato anche dalla presenza di sedili in pietra presenti
in quest'ultimo ambiente. Originariamente aveva una copertura lignea a capriate; a seguito
del suo crollo, durante l'ultimo restauro il tetto è stata sostituito da una
struttura metallica e il pavimento originario è stato ricoperto
con elementi lignei. Nella sala è presente anche un camino e un'apertura che conduce
in cima alla torre De' Rossi. Sala Del Caminetto Dalla sala del trono si accede alla sala del
caminetto, così chiamata per la presenza di un camino di dimensioni più
ridotte rispetto a quello della sala precedente e di minor pregio dal punto
di vista architettonico. Questa sala è di dimensioni ridotte rispetto alla precedente e
presenta delle aperture anche sulla sulla cortina esterna, a differenza della
sala del trono, che prende luce quasi esclusivamente dalle bifore e
trifore che si affacciano sul cortile interno. Era sicuramente utilizzata dalla regina e dalle cortigiane, che
trascorrevano in quell'ambiente gran parte della giornata. Da questa sala si accede, attraverso una scala interna a quella
che era utilizzata probabilmente come stanza da letto dei sovrani. Attraverso questa sala si accede all' altra torre che è rimasta
in piedi: quella detta dell'Imperatrice, meno alta della precedente, che si
trova sulla proiezione verticale della prigione e del forno. |
Museo nazionale archeologico di
Gioia del Colle |
Piazza dei Martiri del 1799, 1 Gioia Del Colle Telefono: (+ 39) 080 3481305 (Nella Sezione Musei) |
Gravina in
Puglia Non è dato conoscere con certezza l’epoca o il secolo in cui sia sorta la città fondata tra gli anfratti rocciosi e misteriosi sul versante sinistro del burrone, come non si conosce il tempo in cui sia stato fissato alla stessa il nome di Gravina. In geologia il termine “gravina” sta ad indicare una depressione del terreno prodotta da erosione di acque e può essere accostato al tedesco “graben” (fossa) o ai termini prelatini “graba” (roccia) e “rava” (dirupo roccioso) o al “Bothros” greco. Il nome Gravina viene citato nel Chronicon di Romualdo Salernitano, arcivescovo di Salerno dal 1154 al 1181, in occasione della incursione operata dai saraceni nella città nel 976 dopo Cristo. Trovandosi alla confluenza di valli tra antica Peucezia e Lucania, non lontano da Daunia, Magna Grecia e Sannio, regioni storicamente più famose, si può supporre che la città di Gravina si sia affacciata alla storia tra VIII e VII secolo a.C., come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti sul pianoro della collina di Botromagno e nella zona di Padre Eterno, così chiamata per la presenza in una grotta di affreschi bizantineggianti fatti risalire al XII secolo. Grazie ai rapporti e , forse, ad una fusione con popolazioni magno – greche spostatesi nell’interno dopo la distruzione di Sibari (VI sec. A. C.). Ciò spiegherebbe il demotico ∑I
Δ I N Ω N inciso sulle monete
coniate in loco e la presenza di radici greche nel dialetto ancora oggi
parlato. Con la conquista di Roma, la terra divenne un centro di rilievo
sulla via Appia con il nome di Silvium o ad Silvianum e Silutum dei più noti
itinerari antichi. Naturalmente con la caduta dell’Impero Romano (476 d.C.)
la terra non fu immune dalle rovinose scorrerie di bande irregolari di
barbari, che non distrussero completamente i centri abitati, ma ne ridussero
le potenzialità economiche e culturali. E’ chiaro che molti continuarono a
viverci, come testimonia la presenza di chiese rupestri sul versante destro
del burrone. I cittadini più audaci si arrampicarono negli anfratti della
sponda sinistra della gravina per dar vita ai quartieri di Fondovico e
Piaggio. NUMERO
TELEFONO COMUNE DI GRAVINA IN PUGLIA: Telefono: (+39) 080 3259111 |
|
Museo
capitolare di Arte Sacra |
Piazza Benedetto XIII Gravina
In Puglia (Nella Sezione Musei) |
L’Arco di Traiano, risalente al II secolo d.C., è una delle
antiche porte del borgo medioevale di Giovinazzo,
punto di accesso della cinta muraria a difesa della città. Prende il nome dalle colonne miliari che costituiscono
una variante marina della vecchia Via Traiana, la strada che da Roma,
conduceva sino al porto di Brindisi. |
Gravina In
Puglia Il complesso architettonico è formato dall’unione di
due archi ogivali i cui capitelli sono retti dalle quattro colonne
traianee. La porta introduce il visitatore nel pittoresco e suggestivo centro
storico della meravigliosa città perla dell’Adriatico. |
Rioni Piaggio e Fondovico Questi due quartieri sono il cuore storico della città dove
sono concentrate molte delle attrazioni di Gravina. Piaggio e Fondovico sono
di per sé interessanti anche semplicemente per una passeggiata tra le vecchie
case da cui si affacciano anziane signore che stendono il bucato o da cui
provengono i profumi del pranzo. |
Gravina in
Puglia |
Chiesa di San Basilio Magno La chiesa di San Basilio si trova nel quartiere Piaggio è
scavata nella pietra, ha otto colonne e un altare su cui è
posizionata un’icona di Maria: la sua presenza nel paese passa quasi
inosservata se non fosse per il vecchio campanile in tufo che svetta. La chiesa fu per lungo tempo un luogo di culto per gli abitanti
della città per poi rimanere chiusa, inutilizzata e sconsacrata per molti
anni. |
Gravina in
Puglia Telefono: (+39) 080 3269065 Giorni e Orario apertura: Dal Lunedì alla Domenica dalle ore 09.00 alle ore 13.00; e
dalle ore 16.00 alle ore 20.00 Visite a Pagamento |
Ponte Viadotto Acquedotto sul
torrente Gravina Una struttura ad archi lunga 90 metri ed alta 37 metri collega i
due versanti della città. Sospeso sopra il torrente Gravina fu costruito per
permettere il facile accesso dei fedeli dal centro storico (rioni Piaggio e
Fondovico) alla Chiesetta della Madonna della Stella sul lato opposto. |
Gravina in
Puglia |
Museo della Fondazione "E. Pomarici
Santomasi"
|
Via Museo,
20, Gravina In Puglia Telefono: (+39) 080 3251021 (Nella Sezione Musei) |
Grumo Appula La città sorse come centro apulo in epoca pre romana. Plinio fa,
probabilmente, riferimento agli abitanti di Grumo quando, nell'elencare i
popoli della Calabria, come allora era chiamata la Puglia, elenca i "Grumbestini"
assieme a "Palionenses" di Palo del Colle (Palion) e
"Butuntini" di Bitonto(Butuntum).
Nel suo territorio si sono rinvenute sepolture italiche e monete greche e
romane. Alla caduta
dell'Impero romano d'Occidente entra a far parte del regno ostrogoto, cui si avvicenderanno
i bizantini, che restituiranno, seppure per
poco, l'Italia all'Impero all'epoca della
"restitutio" giustinianea del VI secolo. Solo sfiorata dalla
dominazione longobarda, finisce, in seguito, sotto la dominazione normanna, quando il borgo fu compreso
nel feudo di Conversano (Bari), passando, poi,
verso la metà del XIII secolo,
a Goffredo di Montefusco. Nel 1410 fu venduta
da Ladislao di
Durazzo a Pietro
Busio de Senis. Nel XVI secolo, al tempo di Filippo IV di
Spagna, il feudo apparteneva al Regno di Napoli, nel 1600 passò
alla famiglia La Tolfa, poi ai Guevara e nel 1631 al
marchese spagnolo Antonio
Castigliar per 56.000 ducati (ne valeva in realtà 85.000).
Infine, nel 1715 divenne possedimento dei
Caracciolo, prima di essere dichiarata città regia nel 1800. NUMERO TELEFONO COMUNE DI GRUMO
APPULA: Telefono: (+39) 080 3831211 |
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La Chiesa di Santa Maria Assunta duecentesca
capofila a croce greca delle linee romanico-pugliesi. Seguono tante altre chiese di semplice fattura, Maria
Santissima delle Grazie, Maria Santissima di Mellitto, la Cappella di San
Michele, la quattrocentesca Chiesa di San Rocco e la seicentesca Chiesa del
Santissimo Rosario, inoltre sorgono le altre chiese di San Francesco (XIII
secolo), Maria Santissima di Monteverde, San Lorenzo, Sant’Antonio,
Immacolata Concezione e Sant’Anna.
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Grumo Appula |
Cappella di San Michele
Affacciata sul ciglio della strada, in aperta campagna, si offre alla vista la Cappella di San Michele. La facciata è tipicamente rurale e, priva di ogni aggetto di pregio, reca incisa sull'architrave l'inconfondibile data: 1699. La povertà esterna contrasta con la ricchezza degli affreschi
interni: per esempio la volta a botte sembra assecondare il fregio che la
percorre, inoltre sia le pareti laterali che quella sovrastante l'altare sono
affrescate (rispettivamente con motivi cortesi raffiguranti il mondo
terrestre e quello acquatico). |
Grumo Appula Sull'altare è invece riconoscibile l'effige di San Michele ai
lati del quale sono raffigurati San Francesco e San Rocco. Ad interrompere il
fregio laterale destro, vi è un'iscrizione "(Uccis del Angelo
ad...norus...) erexit hac ad/honori...Principem/Agminis angelici/in anno
Domini 1690". |
Il
centro storico palesa evidenti esempi di architettura civica, nella
fattispecie gli emblematici palazzi d’Alessandro e Scippa, senza tralasciare
ovviamente il Palazzo Municipale.
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Grumo Appula |
Locorotondo Non si hanno notizie precise sulle sue pur lontane origini.
Elencata in un documento della fine del secolo XI tra i possedimenti
dell’abbazia di Santo Stefano di Monopoli, ha assunto in passato diverse
denominazioni: da un “casale Locirotundi”, di cui si parla in un atto della
seconda metà del Duecento, si è arrivati ai nomi di Loco Rotondo, Luoco
Rotondo o Luogo Ritondo, del XVII e XVIII secolo. A prescindere dalla forma
assunta, il toponimo si riferisce sempre all’impianto circolare dell’abitato.
La sua storia, nella quale mancano avvenimenti di particolare rilievo, non si
discosta da quella dei territori circostanti che, superato il triste periodo
altomedievale, caratterizzato dalle devastazioni causate dalle invasioni
barbariche e saracene,
furono assoggettati alle dominazioni normanna, sveva, angioina e aragonese.
Inglobata, nel Quattrocento, nel principato di Taranto, retto all’epoca dagli
Orsini del Balzo, dall’inizio del XVI secolo fu sotto il governo spagnolo,
venendo acquistata, verso la metà del Seicento, dal duca di Martina Franca,
Francesco Caracciolo. Nel secolo successivo cadde nelle mani degli Asburgo e
dei Borboni che,
fatta eccezione per il periodo napoleonico, vi dominarono fino all’ingresso
nel regno d’Italia. NUMERO TELEFONO COMUNE DI
LOCOROTONDO: Telefono: (+39) 080 4356203 |
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Sono tanti i monumenti ed
i luoghi di interesse storico e religioso che sarà possibile vedere in
paese. Noi consigliamo di far visita alla Chiesa Madre di San Giorgio
Martire, al Palazzo DeBernardis ed alla Chiesa della Madonna della Greca. Per gli amanti delle piccole chiesette a Locorotondo è possibile
visitare anche la Chiesa di San Rocco, la Chiesa di Maria Addolorata, la
Chiesa di Santa Maria Annunziata e la Basilica Minore dei Santi Cosma e
Damiano. |
Locorotondo |
Modugno ha una storia che risale a tempi remoti, in quanto il territorio
comunale è stato abitato sin dalla Preistoria. Infatti, molteplici sono i
ritrovamenti archeologici avvenuti nel territorio comunale, come quelli di
resti di una necropoli peuceta risalente al VII-VI secolo a.C. Il primo centro urbano fu fondato probabilmente nell'Alto Medioevo, nel periodo della dominazione bizantina, intorno alla Chiesa
di Santa Maria di Modugno. Di questo periodo si conservano i primi
documenti che riportano il nome della città: si tratta di bolle pontificie che annoverano Modugno
fra le sedi vescovili
suffraganee di Bari. Durante le dominazioni normanna e sveva il Sud Italia conobbe un
periodo di sviluppo. Le fonti storiche sono discordanti sui feudatari di
Modugno nel periodo normanno: secondo alcuni, era un possedimento della
famiglia Loffredi, secondo altre fonti, invece,
Modugno fu donata in feudo a Ursone (o Orso) vescovo di Rapolla da Roberto il
Guiscardo, nel 1078, quando fu
trasferito da Rapolla a Bari. Di per certo, Modugno faceva parte del feudo
concesso agli arcivescovi di Bari durante il
regno di Federico II di Svevia. Dal periodo angioino alla
dominazione austriaca Nel periodo angioino, il feudo
di Modugno era conteso fra la famiglia Chyurlia e gli Arcivescovi di
BariNella seconda metà del XIV secolo, sul trono del Regno di Napoli, agli Angiò successero gli aragonesi.
Modugno, fedele agli aragonesi, ricevette da Ferdinando I diversi
privilegi fiscali e la libertà dal giogo
feudale, seppur per un breve periodo. In seguito, nel 1464,
Ferdinando I concesse ai suoi alleati della famiglia Sforza la città di Modugno,
con Palo del Colle e Bari a
formare un ducato. Durante questo periodo (e in particolar modo durante il
governo di Isabella
d'Aragonae Bona Sforza),
Modugno visse uno dei periodi di suo massimo splendore. Alla morte di Bona Sforza, Modugno passò in mano alla corona di
Spagna, che considerava l'Italia come colonia da sfruttare economicamente e
come territorio di frontiera a difesa dai Turchi. Il monarca Filippo II,
avendo bisogno di denaro, nel 1558 vendette
il feudo al viceré di Sicilia Don
Garzia di Toledo per 44.000 ducati. Alla morte del viceré,
Modugno ritorno alla disponibilità della corona; dopodiché, nel 1580 Filippo
II vendette nuovamente Modugno per 40.000 ducati al genovese Ansaldo Grimaldi, suo
consigliere. L'anno seguente la città di Modugno riuscì a raccogliere i
40.000 ducati necessari per rimborsare Grimaldi e acquisire la libertà dal
giogo feudale. Tuttavia, questa ingente spesa e le continue richieste di
denaro del governo centrale portarono al fallimento dell'Università di Modugno nel 1666. La situazione di crisi economica delle finanze comunali e di
vessazioni da parte del governo del regno di Napoli continuò anche durante la
successiva dominazione austriaca. In questo periodo, Modugno fu tenuta in
grande conto presso la corte austriaca dell'Imperatore Carlo VI grazie
all'operato del Ministro dell'Impero, Conte Rocco Stella. Per lo stesso imperatore,
combatté anche un altro nobile modugnese: Giuseppe Carlo Capitaneo. In queste
dispute, il borgo venne parzialmente distrutto e poi ricostruito
dall'Arcivescovo Romualdo. Regno borbonico, periodo napoleonico
e restaurazione Dal 15 maggio 1734 Carlo di Borbone divenne
il nuovo re di Napoli, dando il via al dominio dei Borboni.
Fu promotore di una politica riformista che gli valse la fama di monarca
illuminato. Il modugnese Francesco Struggibinetti fu medico di
corte di Carlo III ed insigne trattatista. Eusebio Capitaneo si
distinse nell'esercito di Carlo III acquisendo nel 1803 il
grado di tenente-colonnello. La Rivoluzione
Francese fece sentire i propri effetti anche nel Regno di Napoli dove ci fu una
insurrezione giacobina che portò alla costituzione della Repubblica
Napoletana. Per contrastare questa Repubblica Napoletana si
costituì, al comando del cardinale Ruffo di Calabria, un
Esercito della Santa Fede (da cui il nome Sanfedisti) formato da popolani che
volevano la restaurazione al trono di Re Ferdinando IV
di Borbone. Essendo stato innalzato a Modugno l'albero della
libertà (che era il simbolo giacobino della Repubblica Napoletana) il paese
fu attaccato dalle truppe dell'Esercito Sanfedista rinforzato dagli abitanti
di Carbonara di Bari e
di Ceglie del Campo (che
erano fedeli al Re Ferdinando IV e quindi filoborbonici). L'assedio di Modugno avvenne
il 10 marzo 1799 e vide vittoriose le forze in
difesa di Modugno. In quella giornata si verificò l'episodio ritenuto
miracoloso dell'apparizione di una donna con in mano un fazzoletto
(identificata nella Madonna Addolorata). Dopo un breve periodo di restaurazione dei Borbone, nel 1806,
per un decennio, si instaurò un governo filonapoleonico prima con Giuseppe
Buonaparte e poi con Gioacchino Murat. In questo breve lasso di tempo, furono
adottate moltissime riforme: vennero aboliti gli ordini religiosi e
confiscati i loro beni (a Modugno gli agostiniani dovettero lasciare la loro
chiesa e i Domenicani il convento);
venne effettuata una riforma agraria e tributaria; venne
adottato il sistema
metrico decimale; fu stabilita la creazione di scuole in ogni
comune (il 1º ottobre 1806 a Modugno
venne creata la prima scuola che constava in due sezioni: quella maschile
affidata al frate Domenico Carroccia e che faceva lezione nei locali
della chiesa
del Purgatorio; e la sezione femminile affidata alla donzella
Morena Anastasia che svolgeva le lezioni in un locale preso in fitto dalla
famiglia Scarli); venne adottato il Codice Napoleonico;
e venne dato nuovo impulso all'economia grazie alla creazione di nuove fiere e mercati. Al termine della repubblica napoleonica, venne restaurato il
Regno Borbonico che durò fino alla unità d'Italia nel 1861.
A questo periodo risale l'abbattimento delle mura cittadine e, negli
anni 1821 e 1822,
venne costruita la strada che collegava Bari ad Altamura che, nel tratto
modugnese, corrisponde alle attuali via Roma e Corso Vittorio Emanuele. Molti furono i modugnesi che erano affiliati alla società
segreta della carboneria. Fra
questi, un'esponente di spicco fu Nicola Longo, noto medico. A Modugno
venne costituita una sede carbonara detta "vendita Spirito Santo". Modugno, dal 1861, fu unita al Regno d'Italia a seguito della
sconfitta dell'esercito del Regno delle
Due Sicilie contro i garibaldini. Il 3 novembre 1861 vennero
cambiati i nomi ad alcune strade e piazze cittadine intitolandole Piazza del
Plebiscito, Corso Vittorio Emanuele, Piazza Garibaldi, Strada Cavour. Durante il primo
conflitto mondiale, molti modugnesi furono arruolati nella “Brigata Regina”
e nella “Brigata Bari”. Nel conflitto perirono 130 soldati modugnesi e
diversi di essi si distinsero per valore e merito. Cosa analoga avvenne nella seconda guerra
mondiale, persero la vita 92 soldati modugnesi. Nel 1943,
a Modugno sostarono sia alcuni reparti di soldati tedeschi in ritirata, sia
degli alleati sbarcati in Sicilia. NUMERO TELEFONO COMUNE DI MODUGNO: Telefono: (+39) 080 5865111 |
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Tra gli itinerari da visitare, di notevole interesse è il Santuario di Santa Maria della Grotta;
rappresenta un insediamento religioso molto suggestivo. Il Santuario di Santa
Maria della Grotta sorge in quella che fu un'Abbazia Benedettina. Molto
belli gli affreschi del '300 e il gruppo scultorio, avente
come tema quello della Pietà. |
Modugno (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Nel centro storico di Modugno è possibile ammirare un
numero importante di edicole votive,
tipiche strutture di carattere architettonico, di dimensioni molto contenute,
che ospitano al loro interno simboli religiosi. In particolare, ricordiamo
quelle dedicate alla Madonna di Costantinopoli, al Suffragio e alla
Natività. Non mancano testimonianze di architettura civile che
meritano qualche scatto fotografico. |
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Il Palazzo
Angarano-Maranta, eretto nel XVII secolo, Palazzo Crispo, terminato
due secoli più tardi, Palazzo del
Municipio, che un tempo rappresentava l'Ex Monastero di Santa Maria della
Croce, il castello di Balsignano,
costruito nel XV secolo, che colpisce per la sua struttura decisamente
massiccia e per la presenza all'interno, di un affresco che ha come soggetto
la Madonna, seduta sul trono con il bambino. |
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Balsignano era un antico borgo della Puglia che oggi si trova nel
territorio comunale di Modugno, a sud-est
del centro abitato, in direzione di Bitritto. Si conservano i resti di
un casale fortificato
e delle chiese di Santa Maria di Costantinopoli e di San Felice. Nei pressi del casale sono stati
rinvenuti i resti di un insediamento neolitico.
Le prime notizie storiche riguardanti il casale fortificato di
Balsignano sono datate 962: in un documento si
parla di un castrum in loco "basiliano". Il nome potrebbe
derivare dai monaci seguaci di san Basilio che si sarebbero
insediati nelle vicinanze. Nel 988 fu
distrutto dai Saraceni durante le loro azioni in Terra di Bari. Venne subito
ricostruito e, nel 1092, donato all'abbazia
benedettina di Aversa; dal XIII secolo fu posseduto da diversi
feudatari. Nel 1349 fu teatro di uno scontro fra
esercito filoangiono e quello filoungherese, nel quadro degli scontri per la
successione al regno di Napoli.
Nel 1526 venne distrutto durante lo
scontro tra francesi e spagnoli che si contendevano il possesso dell'Italia
meridionale. Dell'antico casale si conserva la struttura perimetrale
realizzata a secco, una costruzione a due livelli con due torri a base
rettangolare, la corte con la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e,
all'esterno, la chiesa di San Felice in Balsignano. |
Modugno La chiesa di Santa
Maria di Costantinopoli risale al XIV secolo ed è formata da due costruzioni
affiancate di base rettangolare, con volta a botte ogivale. Sono presenti
degli affreschi di scuola senese molto deteriorati. La chiesa di San
Felice (erroneamente attribuita in passato a San Pietro) costituisce un
meraviglioso esempio dell'arte romanico-pugliese dell'XI secolo. Fonde elementi architettonici
d'oltralpe, bizantini ed arabi: ha pianta a croce e cupola a tamburo
ottagonale. Nella stessa zona negli anni novanta sono stati rinvenuti
10.000 reperti che mostrano l'esistenza di un insediamento neolitico del VI-V millennio a.C.;
il sito archeologico, che si estende per circa due ettari, è considerato il più antico della
Bassa Murgia. |
La Sala del Sedile dei nobili, situato nella piazza omonima è il palazzo che meglio
rappresenta la città di Modugno. Nel XVIII secolo è stato aggiunto al palazzo
un campanile, dotato di merlatura alla guelfa, che ospita l'orologio e 2
campane. |
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Villa Comunale di Piazza Garibaldi; La Villa comunale di Modugno si trova a ridosso del centro
storico e occupa un’area di circa 12 mila metri quadrati. |
Modugno Il Cisternone è un simbolo della villa: l’antica
cisterna pubblica per l’acqua è racchiusa tra quattro pozzi ottagonali.
Il Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1960, si trova in uno spiazzo
circolare insieme a due pali alzabandiera. |
Il nome Isola di
Sant’Andrea potrebbe trarre in inganno e far pensare che stiamo parlando
di un isolotto. In realtà è il nome che è stato assegnato alla parte più
antica del paese, quella che oggi è considerata il vecchio centro storico.
Qui troviamo tutte le chiese più antiche di Molfetta, compreso il Duomo di
San Corrado. Nei pressi delle antiche mura troviamo la Cattedrale
dell’Assunta e poco più distante la Chiesa del Purgatorio. |
Molfetta (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Il "Calvario", un tempietto gotico in pietra calcarea, costruito nel 1856 su
progetto dell'architetto De Judicibus. Esso si erge a tre livelli su pianta ottagonale,
con ciascun piano coronato da una selva di cuspidi e pinnacoli. Alto 20
metri, possiede una guglia sommitale che desta ammirazione e lo rende unico
per davvero rispetto agli altri tempietti ad analoga destinazione presenti
nei comuni limitrofi, sia per la soluzione scenografica che per la sua
leggiadria strutturale. |
Molfetta Ricordiamo anche una uscita storica dei Cinque Misteri, fuori
dal periodo pasquale, nel Dicembre del 1855, nel clima della missione dei
Padri Redentoristi (Liguorini). In quell'occasione le Statue furono portate
in processione dalla Chiesa di Santo Stefano fino ad un rilievo situato
accanto la Chiesa di S. Bernardino (rilievo dove nel 1956 sarà costruito
l'attuale Calvario) dove furono apposte 5 grandi Croci e grandi pietre portate
lungo il percorso, così come scritto da Giacinto Poli. Da quel momento furono
avviati i lavori di costruzione del tempietto gotico, monumento di Fede,
ovvero il Calvario. Nel 1927 furono piantati degli alberi ornamentali nello spazio
di terreno del Calvario. |
Le strutture religiose
in paese sono davvero tante. Oltre al già citato Duomo di San Corrado ed alla
Cattedrale di Santa Maria Assunta si consiglia di visitare la Chiesa della
Santissima Trinità, la Chiesa di San Domenico, la Chiesa di San Gennaro e la
Chiesa di Sant’Andrea Apostolo. |
Molfetta (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
Per chi ama gli antichi
palazzi, i così detti palazzi storici, consigliamo di visitare il Palazzo
Giovene ed il Palazzo Cavalletti. |
Molfetta |
Museo Diocesano Molfetta
|
Via Entica della Chiesa, Molfetta Telefono: (+39) 348 4113699 (Nella Sezione Musei) |
Museo Civico Archeologico del Pulo |
Via Mayer,
Molfetta Telefono: (+39) 080.8853040 E-Mail: contatto@museocivicoarcheologicodelpulo.it
(Nella Sezione Musei) |
Raccolta
Civica d'Arte Contemporanea |
Piazza
Municipio c/o Palazzo Giovene, Molfetta Telefono: (+39)
340 6275392 (Nella Sezione Musei) |
Secondo alcuni Monopoli deriva
da Minopoli toponimo che rimanda a Minosse, re dei cretesi che avrebbero
fondato la città. La tradizione più certa fa risalire il nome all'etimo greco
MONOS POLIS, città unica, singolare, poichè, tra i centri limitrofi,
Mono-poli fu la prima a convertirsi al cristianesimo. NUMERO TELEFONO COMUNE DI MONOPOLI: Telefono: (+39) 080 4140267 |
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Mure di Cinta. L’abbattimento del castello, durante
la rivolta popolare avvenuta sul finire del ‘400, contribuì ad accentuare la
debolezza delle posizioni difensive di Monopoli. La svolta, però, si ebbe
dopo la conquista della città da parte degli Spagnoli, nel febbraio del 1530.
Infatti venne approntato, nell’Italia Meridionale, un piano strategico
finalizzato alla costruzione di fortezze, promosso direttamente da Carlo V.
Nel 1536 il Vicerè di Napoli, Pedro Alvarez de Toledo (1532 – 53) diede
incarico all’ingegnere Giovanni Maria Buzzocarino di provvedere alle
fortificazioni delle città di “Calabria, Terra d’Otranto et Bari et
Capitanata”. Nell’ambito di questa politica, nell’ottobre del 1544, don Pedro
concesse che la rata del “donativo” di 600.000 ducati, dovuta alla Corona di
Spagna dall’Università di Monopoli, fosse stornata per il restauro delle
fortificazioni cittadine, praticamente distrutte dal lato terra durante
l’assedio del 1529. In un solo anno, pertanto, si procedette all’appalto e al
completamento dei lavori di restauro e ristrutturazione dell’intera cinta
muraria. Il nuovo sistema di fortificazioni apparve ben progettato e
aggiornato sulla base della tecnologie dell’epoca, ma privo, ancora di un
castello. Nel 1547 vi era solo un “baluardo”, costituito da una torre
dell’antica cinta, resti di una torre di epoca romana e del monastero e della
chiesa di s. Nicola in Pinna del X secolo. Agglomerato, questo, che
costituirà il nucleo dell’attuale Castello. |
Monopoli Verso la fine del ‘500, vennero apportate modifiche all’impianto
murario, con l’apertura di una nuova porta (Porta Nuova), e la chiusura
dell’antica Porta Concili. A partire dal 1660, infine, sempre per ciò che
riguarda le strutture difensive, la cortina della Porta Vecchia venne
completamente ristrutturata fino al torrione, eliminando l’ingombrante
terrapieno.
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La piazza principale della città di Monopoli è Piazza Vittorio Emanuele II,
comunemente chiamata “Borgo”, nata nel 1796
grazie all’approvazione del Re di Napoli, fu costruita seguendo il
progetto dell’ architetto De Simone. I suoi circa 18.000 mq ne fanno una delle piazze più belle e
grandi della Puglia. L'area è equivalente a sei isolati dell' impianto urbano
con una geometria che è quella, semplice ed astratta, di un grande rettangolo
tagliato dal prolungamento del "corso" che dà origine a due
rettangoli più piccoli. Durante il ventennio fascista furono costruiti due monumenti.
Una delle due piazze ospita quello ai Caduti, inaugurato il 24 maggio 1928 in
onore dei 300 caduti monopolitani della Prima Guerra Mondiale, realizzato
dall'artista Edgardo Simone da Brindisi. Ai piedi di un colossale legionario
con una spada sguainata in una mano e la vittoria alata nell’altra, vi è una
madre che benedice il figlio che va in guerra e un’altra donna che conforta
una vedova e un orfano di un soldato caduto. La prima versione della
statua del combattente cadde durante la sistemazione e fu ricostruita dallo
scultore Angelo Saponara. Attorno vi è la catena recuperata dall’ancora della
corazzata “Benedetto Brin”. |
Monopoli Dall'altro lato, vi è la fontana, costruita negli anni '30
seguendo uno dei progetti di F. Lacitignola. Nel 2011 venne riedificata per
preservare il verde circostante e migliorare alcuni aspetti, tra cui
l'illuminazione e la pavimentazione. Gli elementi più importanti della piazza sono i lecci, alti 4-5
metri, situati lungo il perimetro di essa e piantati nel 1893. Nella piazza sono presenti dei rifugi antiaerei, resi
recentemente visitabili al pubblico. Le gallerie sotterranee fungevano da
rifugio durante i bombardamenti inglesi nel corso della Seconda Guerra
Mondiale. |
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La storia del Porto di Monopoli si perde nella notte dei tempi, e si può affermare che è la storia della città di Monopoli.
Intorno al porto si insediarono gli abitanti della zona che
abitavano grotte naturali e grotte scavate e che avevano il nome di
Pediculi. Numerosi sono i ritrovamenti di tombe messapiche databili 1500
A. C. Poco più a nord e propriamente nella attuale zona Masseria
Spina/Torre Dorta vi era un altro insediamento
al tempo dei Romani chiamato Dertum ed era una stazione postale sulla via
Appia/Traiana per Brindisi; l'insediamento era prospiciente le Cale dei
Monaci di Susca e Pantano. Con la caduta dell'impero romano
d'occidente gli abitanti dei due insediamenti si riunirono in un'unica città
che chiamarono Monopoli. Successivamente la città si arricchì di
una parte degli abitanti di Egnatia, ormai in rovina. L'esame della costa, da Egnatia a Torre Incina, ci indica che
alcune cale sono state usate fino al secolo XIX come attracchi sicuri,
perfettamente ridossati dai venti, eccezion fatta per il greco ed il
greco-levante. La Cala del porto antico (“il porto scomparso”), era l‘unica
protetta dai venti ed aveva un bacino naturale importante, superiore a quello
artificiale di Egnatia. Sembra fuori di dubbio che questo bacino
protetto fu l'elemento generatore della Monopoli urbana. Nel 1049 iniziò l'insabbiamento del porto per ordine
del normanno Toute-Bone, preoccupato di difendere meglio la città da un
attacco della potente flotta bizantina. Scelta che costrinse la
città ad adattarsi ad uno scalo marittimo limitato e pericoloso: da porto
vero e proprio decadde a rada malamente ridossata, tanto da
meritarsi il nome di "Porto Aspro"' Il porto scomparso era un approdo sicuro e lo
testimonia la splendida chiesa di S. Maria degli
Amalfitani; costruita per devozione di alcuni marinai
amalfitani rìfugiatisì per scampare ad una tempesta. In realtà il
porto era costituito da un primo bacino ampiamente protetto al quale seguiva
un lungo canale navigabile che si addentrava sino all'attuale Palazzo
Vescovile. lo dice anche l'arrivo miracoloso della zattera
con il quadro della Madonna della Madia il 16 dicembre del 1117. Gli abitanti di Monopoli erano marinai ma anche proprietari
delle imbarcazioni. Gli scambi commerciali con tutto il bacino mediterraneo
sono esistiti da sempre. Uno dei marinai dell'impresa della
traslazíone Nicolaiana era un monopolitano. Una nave fu armata per
la battaglia di Lepanto. I commerci riguardavano l'esportazione
via mare dei prodotti del ricco e vasto territorio (grano, mandorle, ciliegie,
olio di oliva) flno agli anni cinquanta. Monopoli e il suo territorio non è
mai appartenuta ad alcun feudo. Ha subito, come tutto il meridione, il
dominio dei vari re e vicere che si sono alternati nel corso dei secoli, ed
anche per un breve periodo fu soggetta a Venezia (primo cinquantennio del
1500). Quando i venti non permettevano altri approdi si usavano le due
cale di S.Stefano, tanto che verso le fine del 1700 il porto di Monopoli
presso il Re di Napoli fu rappresentato dalla Cala a sud del Castello di S.
Stefano. |
Monopoli Il problema di avere un porto sicuro ed adeguato era molto
sentito dai monopolitani e nella prima metà del 1800 tentarono invano di
ottenere la costruzione del porto a spese dello Stato. Non ci fu verso di
ottenere un finanziamento fino a dopo l'unità. Sicchè tutte le
opere portuali realizzate a Monopoli fino alla 2^ guerra mondiale (durante un
secolo intero) furono finanziate dalle casse cittadine. Il progetto del porto
fu dell'Ing. Lauria del Genio Civile del Regno di Napoli, successivamente passato
a quello del Regno d'Italia. I lavori ebbero inizio nel 1836 e furono
completati nel 1864. Il progetto vennne ripreso dall'Ing.Lamberti
succeduto al Lauria deceduto. Nel frattempo la municipalità già da
qualche anno aveva accantonato la somma di 170.000 Lire preventivate per la
realizzazione dell'opera. Nel 1866 venne aggiudicato l'appalto per
Lire 460. 000 alla Ditta Fiocca di Napoli ed il 16 aprile 1867 venne posta la
prima pietra per la costruzione del molo in prosecuzione del Castello e della
banchina della Solfatara. Nella stessa data la Giunta intitolò l'opera alla
Principessa Margherita di Savoia. Contemporaneamente vennero
richiesti 40 "cannoni vecchi di ferraccio da utilizzare come bitte: se
ne ottennnero soltanto 25. Nel maggio del 1869 il Comune di Monopoli, che non sapeva come
reperire i fondi per ultimare i lavori del porto, si trovò improvvisamente a
doversi accollare una spesa di ben Lire 51. 000 quale quota spettante per gli
oneri che la Provincia ed i Comuni dovevano sobbarcarsi per la costruzione
del porto di Bari. Quindì nel 1875 il molo del Castello era ancora da completare. I lavori ripresero con la sostituzione dell'impresa Fiocca con
l'impresa Pinto, che nel frattempo si era dichiarata disponibile ad
anticipare la somma per l'intera opera al tasso annuo dell'8 per
cento. Nello stesso anno l'impresa Pinto cedeva il credito
derivante dai lavori per il Municipio di Monopoli e Cav. Giuseppe Diana di
Bari. Soltanto nel 1877 si potè sapere che per ilporto si era sopportata
una spesa di ben 1.000.000 di Lire! E senza che peraltro fosse
stata completatata la banchina della Solfatara. Sicchè gli esportatori erano
costretti o ad astenersi da fare commerci oppure a spedire le merci a Bari o
a Brindisi, incontrando così non poche spese. I lavori procedettero sempre tra mille difficoltà,
essenzialmente di ordine economico. Nel 1903 fu posta la prima pietra della
diga di Tramontana, che fu completata nel 1922. Nel 1905 fu collaudato il Molo Margherita. Il resto è storia attuale. Nella metà del XIX secolo erano presenti a Monopoli molte navi
da carico i cui proprietari ed armatori furono anche monopolitani. |
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Le mummie di Monopoli
si trovano in una cappella interna
alla Chiesa di S. Maria del Suffragio, a
brevissima distanza dalla Cattedrale della Madonna della Madia. Forse sono
poco note e sicuramente meno conosciute di quelle della non lontana Oria
(BR), tuttavia tra di esse è presente l'unica mummia-bambina della Puglia. La
chiesa è nota anche come quella delle Anime del
Purgatorio, e venne realizzata nel 1687 divenendo nel tempo la sede
della Confraternita di Nostra Signora del Suffragio, già
esistente in città dal 1633 (era stata fondata dai Canonici della
Cattedrale), e tutt’oggi in attività. L’esterno del monumento mostra
una facciata barocca, con elementi che lasciano capire il culto che vi si
praticava all’interno:
quello della morte. Teschi e ossa incrociate occhieggiano tra festoni e
cartigli allusivi, mentre sul portale ligneo del 1736 sono scolpiti due
scheletri trionfanti, attorniati dai simboli delle professioni più
svariate, disposti in ordine gerarchico dal basso verso l’alto. I più bassi
corrispondono ai lavori più umili e mano a mano si sale ci sono corone regali
e papali. Tutti resi uguali, comunque, dalla “sorella morte”, che annulla i
dislivelli sociali. Un monito per ciascun uomo vivente sulla terra. |
Monopoli La cappella delle mummie è visibile da una finestra
anche stando all’esterno, ma è ignorata dalla maggioranza dei passanti, un
po’ per scaramanzia un po’ per timore. E la finestra, sembra fatto apposta,
rimane sempre aperta, almeno così l’abbiamo sempre trovata sia di mattina
presto che di pomeriggio che alla sera. Un alone di mistero e leggenda
avvolge questo luogo: alcuni abitanti sostengono di aver visto ombre sia
dentro che fuori dalla chiesa e la cosa deve aver fatto rabbrividire molti,
al punto che evitavano di passare lungo l’attuale Via Padre Nicodemo Argento,
se non per necessità improrogabili! La storia continua sul sito… https://www.duepassinelmistero2.com/studi-e-ricerche/arte/italia/puglia/le-mummie-di-monopoli-ba/
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Monopoli La masserie
fortificate erano e rimangono la piena espressione della cultura
contadina di Monopoli e della Puglia in generale. La Masseria è un
insediamento rurale tipico del XVI-XVII secolo a carattere agricolo e
pastorale. Queste torri sono la base intorno alla quale sono andate sviluppandosi le Masserie, che erano situate in piena campagna, isolate dai centri urbani, in modo da difendere nel miglior modo possibile gli abitanti della città stessa. Queste strutture pur se costruite a scopo difensivo e, pertanto, funzionale furono edificate da artigiani e muratori di grande maestria, che rispettarono uno stile architettonico ed estetico ben preciso, lavorando la pietra e il tufo in maniera eccellente. L’equilibrio tra funzionalità e gusto, tra uomo e natura è infatti, evidente anche oggi che le Masserie hanno abbandonato il loro ruolo difensivo vestendo, spesso, i panni di strutture ricettive, completamente immerse nel verde e in grado di offrire una vacanza che è una riscoperta non solo dei sapori genuini ma anche del pieno contatto con la natura. (Nella Sezione Masserie) |
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Museo Diocesano di Monopoli |
Via
Cattedrale, 26 Monopoli Telefono: (+39)
080 748002 E-Mail: info@museodiocesanomonopoli.it (Nella Sezione Musei) |
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Via
Cadorna e lungomare Santa Maria Monopoli Telefono: (+39)
0809303014 (Nella Sezione Musei) |
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Museo di San Leonardo |
Via San
Leonardo Monopoli Telefono: (+39)
347 8263696 (+39) 380 1591905 (Nella Sezione Musei) |
Sulle origini di Noci,
per mancanza di documenti e fonti attendibili, non è stata fatta ancora
chiarezza completa. Secondo studi recenti, molto probabilmente l'origine del
paese è da ascriversi ai tempi della dominazione normanna. Allo stato attuale delle ricerche il primo documento riguardante
Noci è dell'arcivescovo Rainaldo di Bari che nel gennaio del 1180 riconosce
la chiesa di Santa Maria delle Noci tra quelle sottoposte alla giurisdizione
del vescovo di Conversano Cafisio. Un altro documento, lo "Statutum de reparatione
castrorum", risulta che nel 1240, per ordine dell'imperatore Federico
II, gli uomini di Noci sono tenuti a contribuire alle spese per la
manutenzione del castello di Ruvo. Dalle Cedole Angioine, registri di
tassazione, si ricava che soltanto dal 1340 il Casale Sancte Marie de Nucibus
inizia ad essere tassato. Nell'aprile del 1407 re Ladislao dichiara i Nocesi liberi dai
vincoli feudali come premio per la loro fedeltà, non avendo seguito la
ribelle contessa di Conversano Margherita del Balzo. Nel 1440 però la Terra
delle Noci è già rivendicata dal principe di Taranto Giovanni Antonio Orsino
che, riavutola, la cede in dote nel 1456 alla figlia Caterina, sposa di
Giulio Antonio Acquaviva. Da allora Noci rimane, fino alla soppressione della
feudalità avvenuta nel 1806, sotto la giurisdizione della Contea di
Conversano. La storia di Noci è costellata di liti per il possesso e l'uso
del territorio. Nel 1512 il barone di Mottola Giovanni Tommaso Galateù
conferma ai nocesi gli "usi civici" del territorio di Mottola, già
da loro goduti da tempo immemorabile, ed esclude la "difesa del frutto
pendente" (la raccolta delle ghiande e pascolo riservato ai maiali dal
29 settembre al 13 dicembre) da parte dei Mottolesi per tre miglia di raggio
dalle mura di Noci. Il cosiddetto territorio delle tre miglia, sebbene
giuridicamente appartenga al demanio mottolese, assume sempre più importanza
per la vita della comunità nocese. Dopo alterne vicende si giunge
all'Istrumento, redatto in Napoli il 30 dicembre 1739 tra il duca di Martina,
il conte di Conversano, l'Università di Noci, quella di Mottola ed altre
popolazioni, con cui Noci acquisisce un'abbondante porzione del vastissimo
territorio di Mottola. NUMERO TELEFONO COMUNE DI NOCI: Telefono: (+39) 080
4948200 |
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Noci Poco fuori dal paese vi è la Chiesa Rupestre di Barsento. Si tratta di una chiesa abbaziale
che, secondo la leggenda, fu costruita per merito di papa Gregorio Magno per
i monaci di sant’Equizio abate. Al suo interno sono presenti diversi elementi
del periodo romanico. Il luogo si trova in collina a 440 metri sul livello
del mare, a pochissimi km dal centro abitato. Chi ama vedere la storia del paese dal punto di vista religioso
ha la possibilità di ammirare, questa volta presso il centro abitato di Noci,
la Chiesa dei Cappuccini e la Chiesa
di Santa Maria della Natività. Ad un km dal centro abitato troviamo un piccolo santuario
dedicato alla Madonna della Croce.
All’interno è presente un bellissimo affresco del XV° secolo dipinto da un
autore rimasto purtroppo ignoto. Spostandoci, ma di poco, a soli 5 km dal centro del paese
troviamo un altro luogo di culto di cui ci si potrebbe innamorare: il Monastero della Madonna della Scala.
Il monastero è in realtà di recente costruzione, parliamo infatti del 1930,
ma al suo interno vi è una chiesa romanica del XII° secolo. (Nella Sezione Luoghi di Culto) |
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Uno dei simboli del paese di Noci è la Torre dell’orologio. I lavori terminarono nei primi anni
dell’Ottocento ed è situata all’interno del vecchio ed affascinante Centro
storico. |
Noci (Nella Sezione Palazzi) |
A Noci, ogni anno arrivano turisti da tutta Italia, e non solo,
per visitare la famosissima sagra chiamata Bacco delle Gnostre. I turisti spesso credono, erroneamente, che
le Gnostre siano un qualcosa che appartenga al genere gastronomico. Non è
così, le Gnostre sono dei chiostri, cioè dei piccoli spazi presenti nel
Centro Storico di Noci, spazi che si alternano tra una piccola via e l’altra.
Si tratta quindi di piccoli spazi chiusi con un unico sbocco sulla via
principale. |
Noci |
Noicattaro Il centro storico del paese sorge in prossimità della
diramazione della Via Traiana che
congiungeva Brindisi e Benevento, proseguendo poi sino a Roma
sul tracciato della Via Appia. Forse
era la Via
Minucia o, secondo l'interpretazione di alcuni autori, la
mulattiera ("mulis vectabilis via") citata nelle opere di Strabone, Orazio e Cicerone;
un'antica via peuceta che in epoca romana finì per coincidere con il tratto
interno della via Traiana, quella diramazione che dopo la biforcazione
di Bitonto si dirigeva verso Egnazia e Brindisi attraversando il territorio
degli attuali centri di Modugno, Ceglie del Campo, Capurso, Noicattaro, Rutigliano e Conversano. Il tratto litoraneo della Via Traiana lambiva altri
insediamenti nei luoghi dove oggi sorge Torre a Mare. Nella fascia costiera del territorio di Noicattaro sono state
rinvenute tracce della presenza umana risalenti in alcuni casi al Neolitico;
invece nell'entroterra, verosimilmente lungo il tracciato dell'antica
viabilità, sono state scoperte necropoli risalenti ad epoca preromana, fra le
quali la sepoltura di un guerriero databile intorno al VI secolo a.C.; il
prezioso corredo funerario scoperto è conservato nel museo archeologico di
Bari. Il paese attuale nasce tra l'XI e il XII secolo come piccolo villaggio
("Locus Noa") cinto da mura e protetto da una torre feudale e da
una chiesa,
attorno alla quale si disponevano le abitazioni. Le prime tracce di "Noa" negli antichi documenti
risalgono al X secolo ed è
difficile pensare che il nuovo villaggio non abbia fornito rifugio agli
abitanti degli insediamenti preesistenti sulla costa ed anche della
vicinissima "Azetium", tutti distrutti dai predoni saraceni dopo la
caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Per quanto Azetium sia ritenuta la
progenitrice dell'attuale comune di Rutigliano, essa sorgeva in prossimità di
Noicattaro, in contrada Castiello, sul ciglio del torrente Lama Giotta, ed era contornata da una
possente cinta muraria circolare le cui tracce si distinguono tuttora nelle
mappe satellitari. È possibile rintracciare testimonianze riguardo al primo Signore
di Noa, Goffredo di
Conversano, un normanno nipote di Roberto il
Guiscardo. Cornelio
de Vulcano è il primo conte di Noa. Nel 1592 il
feudo fu acquistato dai Carafa, ramo della
Stadera, che mantennero il titolo di duchi di Noja fino alle leggi
eversive della feudalità del 1806.
Il titolo nominale di conte di Noja passò alla famiglia spagnola Pérez
Navarrete e alla discendente famiglia Longo de Bellis di Napoli. Nei secoli, forse per un influsso spagnolo, andò consolidandosi
la tradizione della penitenza e della flagellazione quaresimale, elementi
tuttora vivi nei riti della Settimana Santa noiana. Il 23
novembre del 1815 moriva un giardiniere chiamato Liborio Didonna: si trattava
della prima vittima di una devastante epidemia di peste bubbonica che sarebbe passata
alla storia come l'ultimo, grande episodio dell'intera Europa occidentale.
L'intero paese fu isolato dai limitrofi mediante lo scavo di un enorme solco
al di là dei suoi confini. Alla fine del contagio si contarono quasi 800
morti su una popolazione di 5000 abitanti. In segno di rinnovamento dopo l'Unità d'Italia e
per evitare l'omonimia con un comune lucano (che a sua volta mutò il proprio
poleonimo in Noepoli), il paese
cambiò nome (23 ottobre 1862) da Noja (l'antica
Noa) in Noicattaro. In quest'occasione una delibera del Consiglio Comunale,
sulla base della lontana e accreditata tradizione orale, ricorda la terra
primigenia sul mare, la leggendaria Cattaro
pugliese, fondendo nel neologismo i due nomi di Noja e Cattaro. Resta ancora molto vivo nei cittadini il ricordo del vecchio
toponimo del paese: infatti nel vernacolo locale Noicattaro
è "Nào" e gli abitanti si dicono "Nojani". Nel 1934 la fascia
costiera del territorio del comune di Noicattaro, corrispondente
all'attuale Torre a Mare,
venne annessa al comune di Bari. NUMERO TELEFONO COMUNE DI
NOICATTARO: Telefono: (+39) 080 4784111 |
|
Noicattaro Abbracciata dalla lama di San Vincenzo e
dalla lama Paradiso, Noicattaro sorge sul pendio degradante verso la
costa dell’Adriatico, a 16 chilometri da Bari. |
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La sua attuale conformazione è l’esito delle operazioni di
riqualificazione urbana dei primi anni’70 che portarono alla demolizione di un intero isolato abitativo,
modificando in maniera profonda il rapporto tra gli spazi pubblici urbani e
l’edificato e definendo un nuovo limite del centro antico. Le fonti storiche ed iconografiche, testimoniano che l’antica
cittadina di Noja era circondata da una doppia cinta muraria, formata da una
muraglia interna, posta ai margini nucleo antico ed una esterna, distante
circa 22,20 metri dalla precedente. Tra le due muraglie si disponeva il
fossato. Il successivo sviluppo, riportato nel rilievo del primo catasto
urbano del 1875, ha visto la realizzazione di edifici sulle mura e l’innalzamento
della quota nell’area dell’antico fossato per la realizzazione della piazza
del Mercato, luogo che ha acquisito il ruolo centrale di piazza cittadina,
attorno alla quale si disponevano i fronti del nucleo antico in opposizione a
quelli Ottocenteschi con alcuni dei loro edifici più rappresentativi, come ad
esempio la Torre dell’Orologio e la chiesa di Maria SS. Immacolata. Questa configurazione urbana si è conservata fino al 1973, anno
in cui ebbero inizio i lavori di demolizione che hanno cancellato parte del
tessuto urbano che occupava la superficie attualmente libera di piazza
Umberto I. All’interno del
complesso di edifici demoliti vi era anche una chiesa cinquecentesca con
impianto a croce greca intitolata a Santa Maria del Soccorso, il cui portale
di accesso andava presumibilmente a collocarsi in posizione frontale al
Palazzo Ducale. |
Noicattaro Il progetto di rigenerazione urbana, elaborato nell’ambito
dell’Azione 7.1.1 “Piani Integrati di Sviluppo urbano di città medio/grandi”
del P.O.R. 2007-13, si è posto come obiettivo la riconfigurazione generale
dell’ampia area urbana di piazza Umberto I, attraverso la rievocazione
storico-critica degli elementi urbano-architettonici significativiche hanno
caratterizzato le trasformazioni avvenute nel corso del tempo, al fine di
restituire ai cittadini noiani uno spazio urbano fortemente qualificato e
identitario, da vivere nel segno dalla storia. Oggi possiamo leggere la storia della città passeggiando
nell’antico vuoto del fossato, vedere i tracciati delle antiche mura,
percepire il processo di sovrapposizione degli edifici più recenti sui resti
delle mura originarie e comprendere il complesso rapporto di stradine e
edifici storici che esisteva prima che venissero abbattuti nel 1973. Sarà possibile “entrare” nuovamente nell’antica chiesa di Santa
Maria del Soccorso, muoversi all’interno del suo impianto a croce greca e
sedersi ai bordi del piccolo orto della chiesa dove sono stati piantati due
piante di arancio selvatico. Altre piante di arancio selvatico sono state inserite nella
piazza mentre, lungo il tracciato originario del fossato, sono state inseriti
16 alberi di quercia, disposte a doppia fila, che danno ombra a panchine
destinate alla sosta della gente e alla vita di relazione. Il tracciato del fossato si sviluppa dalla chiesa della
Immacolata Concezione fino a via Fossato e si candida a divenire il luogo del
passeggio cittadino. Il monumento ai caduti è stato spostato, ruotato e posto su un
livello superiore rispetto a prima mentre sono stati eliminati il muretto e
il dislivello tra le stradine prospicienti il nucleo antico della città e la
piazza, in tale maniera la piazza diviene uno spazio continuo, aperto e
disponibile ad un utilizzo più consono al suo ruolo urbano e alla sua
importanza nella storia della città. |
Castello Sebbene
l'originaria fisionomia del castello di Noja sia andata perduta con il
frazionamento della proprietà e le pesanti manomissioni succedutesi, di esso
sono visibili soprattutto il portale principale, su piazza Umberto,
sovrastato dallo stemma araldico ducale
quadripartito che riporta le insegne delle famiglie
Castriota-Skanderberg, Carafa, Pappacoda e Mendoza, e quello di accesso al
fossato. Entrando nell'atrio a sinistra sorge l'edificio del corpo di guardia
e a destra l'abitazione del castellano, che conserva alcuni affreschi e
l'imboccatura dei cunicoli che consentivano l'abbandono dell'edificio in caso
di pericolo. |
Noicattaro Il portale di fronte dà accesso a un atrio e allo scalone che
conduce agli originari appartamenti ducali. Da qui si può raggiungere i resti
di un bastione difensivo e un residuo dei giardini pensili. Alle spalle di
questo edificio si trova l'antica torre normanna di Noja, ormai mozzata.
Attorno al perimetro originario del castello sono visibili ampi tratti
dell'imponente fossato di epoca normanna, sul quale si affacciano balconate
dalle colonne scandite dallo stemma della famiglia Carafa. |
Poggiorsini, piccolo borgo della Puglia situato a 70 km da Bari,
sorge tra le alte e calcaree Murge Baresi, all’interno del Parco
nazionale dell’alta Murgia, e le valli dei torrenti Roviniero e Basentello,
situati ai confini tra la Puglia e la Basilicata. Le antiche origini di Poggiorsini risalgono sino
al paleolitico antico come dimostrato dai numerosi reperti
ritrovati sul territorio. Durante il medioevo appartenne alla signoria degli
Altavilla di Andria e, a partire dal 1197, venne donato in parte ai cavalieri
Gerosolimitani di Malta e in parte cadde sotto il controllo
dei cavalieri templari. Dal 1609 al 1910 divenne proprietà privata
della famiglia Orsini che trasformò il borgo da insediamento rurale
a centro urbano. Vennero edificate nuove infrastrutture necessarie per la
comunità come le fondamenta della chiesa parrocchiale di Maria
Santissima dei Sette Dolori (1726-1727), il casale e il palazzo
ducale (1723-1727). Nel 1810 Poggiorsini divenne frazione di Gravina fino al 1957
quando ottenne il titolo di Comune. Gemellato con diversi centri europei
attraverso progetti pilota di sviluppo della cultura e del turismo, oggi
viene considerato Comune d’Europa. NUMERO COMUNE DI POGGIORSINI: Telefono: (+39) 080 323712 |
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Il borgo di Poggiorsini custodisce
nel suo territorio importanti reperti che documentano ancora oggi il suo
passato come luogo strategico per il controllo dei transiti tra la Basilicata
e la Puglia. Nella località “Grottelline”,
a tre chilometri da Poggiorsini, sorge un sito rupestre di notevole
importanza risalente all’età medioevale. La presenza dell’uomo in questo
lembo di terra è confermata dalla presenza di numerose grotte, che hanno dato
il nome all’insediamento, che venivano utilizzate come dimore. Gli scavi
hanno portato alla luce frammenti di ossidiana e resti di strutture che
collocherebbero il sito addirittura nell’età neolitica. |
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Castello Del Garagnone Il nome del sito, infatti, compare per la prima volta in un
documento del 1149: si tratta di un atto notarile nel quale un tal Petro
Guarannioni f. Amati riceve un beneficio da Nicola, figlio di Pietro da
Corato. Nel 1174 l'esistenza del castello è confermata dalla presenza di un
castellano di nome Ionatha. Sin dai primi
decenni del XIII secolo i documenti fanno intendere come il castello
del Garagnone fosse una fortificazione che dominava un vasto territorio nel
quale sorgevano altri tipi di costruzione, una torre detta di Maraldo citata
nel 1192, e come l'intero insediamento venisse considerato già a fine XII
secolo un importante possesso. Infatti sono del 1197 due documenti con i
quali si attesta il passaggio della domus del Garagnone a grangia della casa
barlettana dell'ordine dell'Ospedale di San Giovanni di
Gerusalemme. Sotto Federico II il Garagnone fu oggetto di importanti
interventi dei quali si ha notizia soprattutto nello Statutum de
reparatione castrorum (1241-1246). Qui è attestato come la domus ospitaliera
venisse restaurata o ricostruita con il contributo della stessa comunità
residente e degli uomini di Valenzano ed Auricarro, feudo quest'ultimo
assegnato dall'imperatore svevo all'architetto cipriota Filippo Chinardo. |
E' riportata la presenza di una universitas che attendeva a
lavori di produzione agricola e che si organizzava con un sistema di
abitazioni e ambienti di servizio che sorgevano all'interno di una cinta
muraria, protetti dal castello stesso, come parrebbe confermato dall'elenco
dei dazi ai quali la stessa comunità fu sottoposta in età angioina. |
Il terremoto del Vulture del 1930 devastò il borgo e distrusse
parte o intere strutture del paese come il palazzo Ducale che, seriamente compromesso, venne demolito nel
1934. |
Poggiorsini |
Polignano a Mare (Peghegnéne in dialetto barese), in Puglia, è il paese natale di Domenico
Modugno. Sorge su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare Adriatico. Di
notevole interesse naturalistico sono le sue grotte marine e storicamente
importanti sono il centro storico e i resti della dominazione romana. Tra
questi ultimi il ponte della via Traiana, tuttora percorribile, che
attraversa Lama Monachile, una profonda insenatura immediatamente a ovest del
centro storico, così chiamata perché in passato vi si è attestata la presenza
della foca monaca. Il paese ha una storia molto antica, come in tutta l'area del
sud est barese, sono state rinvenute tracce di presenza umana nella frazione
di Santa Barbara, risalenti al neolitico. Nel II millennio a.C., l'approdo
degli Iapigi spinse gli abitanti dei villaggi a trasferirsi nella zona
dell'attuale centro storico. Fiorente centro di traffici, fu per i Romani
un'importante statio lungo la via che collegava Roma a Brindisi. Nel VI
secolo, Polignano fu sotto la giurisdizione dell'Impero Bizantino di cui fu
adottata la religione ortodossa. Con l'avvento dei Normanni, che dominarono
fino al 1194, il prestigio del paese crebbe, grazie anche all'opera dei
Benedettini, presenti con due monasteri. La dominazione angioina rese ancora
più fitti i rapporti commerciali con altri centri costieri e molti uomini
d'affari e mercanti, anche veneziani, elessero Polignano a loro dimora. Nel
XVI secolo anche Polignano rientrerà sotto il dominio veneziano per
vent'anni. Ancora oggi nel centro storico è presente il palazzo del Doge dove
risiedeva il governatore veneziano. Durante la dominazione aragonese, le
attività commerciali si svilupparono sotto il controllo di espertissimi
mercanti veneziani. Furono erette opere di difesa del paese, ad iniziare dalla
costa. Il paese fu più volte visitato da reali: nel 1797, re Ferdinando I
delle Due Sicilie, accompagnato da sua moglie e da suo figlio, vi si fermò
durante il viaggio per Lecce e, dopo 10 anni anche il re Giuseppe Bonaparte
vi fu ricevuto con grandi feste. Abolita la feudalità, Gioacchino Murat volle
visitare il Regno di Napoli, compresa Polignano, per potenziarne le capacità
militari. Attualmente è un centro agricolo e artigianale. NUMERO TELEFONO COMUNE DI POLIGNANO: Telefono: (+39) 080 4252300 |
Polignano a Mare La zona più interessante di Polignano è indubbiamente il suo
piccolo centro storico, a cui si accede passando sotto un arco marchesale
detto Arco della Porta. Ammetto di aver speso parte della mia giornata a
Polignano girottolando per le viuzze del paese in cui si sente ancora l’eco
di culture diverse come quella araba, bizantina, spagnola e normanna. Un mix
di stili decorativi, colori e profumi che rendono Polignano a Mare un luogo
perfetto in cui perdersi almeno per un paio d’ore. Una tavolozza di un
pittore fatta di stradine, case bianche con balconi fioriti, mura, cortili e
infine una balconata che aggiunge un tocco di azzurro. Nel cuore di Polignano abbiamo un’altra protagonista, la
poesia. I muri del centro storico sono infatti impregnati di poesie
dipinte da qualcuno che ha scelto di firmarsi “Guido, il Flaneur”. Guido è
barese, ma dal 1984 ha scelto di vivere a Polignano. Non posso dargli torto.
Legge moltissimo e scrive altrettanto. È lui che ha portato i versi poetici
di grandi poeti e scrittori, oltre ai suoi, sulle porte e le scale delle case
di Polignano a Mare. In accordo con i proprietari degli edifici, ha regalato
poesia a chiunque passasse ad ammirare il suo bel paese. Un’idea che ritengo
romantica e geniale al tempo stesso. Le parole dipinte da Guido infatti
accompagnano il visitatore e lo invitano costantemente a godere della
meraviglia e della magia di Polignano a Mare. Nel cuore del borgo antico, si trova piazza Vittorio Emanuele II, con il suo orologio ( si da
ancora la corda tirando le funi). In piazza è ubicata anche
l'antica Casa Parricchiale del 1596. Subito dopo c'è
l'antica via Giudea (il ghetto degli ebrei) e la ex
Cattedrale. Di origine medievale, il Palazzo dell'Orologio sorge in Piazza
Vittorio Emanuele II, dove è presente anche la Cattedrale. Per chi ama le testimonianze del passato, specie quelle
archeologiche, una tappa è d'obbligo ai resti delle antiche mura (in cui
possiamo ancora osservare le torri difensive) che circondano Piazza Garibaldi. |
L' Arco Marchesale, conosciuto anche come Porta Grande, deve la sua creazione alle
ristrutturazioni della cinta muraria effettuate intorno all'anno 1530
diventando quindi sino al 1780 unica via di accesso al borgo e crocevia di
rilevanza notevole nella struttura urbanistica di Polignano. La rete
difensiva creata a protezione del paese, aveva proprio nei pressi della Porta,
il suo fulcro principale, mirabile esempio di come un centro medievale
progettava il proprio complesso di fortificazioni. Un ponte levatoio
collocato fuori dalla Porta, i cui fori che azionavano le catene sono ancora
visibili sulla Porta stessa, permetteva di accedere al borgo superando un
fossato in parte naturale quale era la lama. Erano presenti poi due posti di
guardia, due porte di cui sono ancora visibili oggi i gradini e i cardini, e
una grata in ferro di cui rimane traccia attraverso le guide in cui scorreva,
che separava le due porte citate. Nelle volte a botte erano presenti tre
caditoie, oggi murate, attraverso le quali veniva versato olio bollente o
venivano scagliate pietre sugli assalitori. Sulla volta a botte dell' arco
Marchesale è visibile una tela rappresentante la crocifissione di Cristo
risalente alla fine del cinquecento ma di cui non si conosce l'autore. L'arco
Marchesale è sormontato da una chiesetta, costruita verso la metà del ‘500 e
dedicata alla Madonna. In seguito all'ammodernamento settecentesco la chiesa
prese il nome della Confraternita di S. Giuseppe. Oggi l'arco Marchesale
divide il borgo nuovo da quello antico, offrendo al visitatore una porta
aperta al cuore del centro medievale di Polignano con tutte le bellezze ancora
custodite come in una fortezza mai violata. |
Lama Monachile è il luogo più conosciuto in assoluto di Polignano. L’immagine
di questa caletta l’avrete vista moltissime volte nelle bacheche di Facebook
o su Instagram, essendo infatti un gettonatissimo sfondo per selfie da
turista o scatti degni del più fico influencer o fashion blogger. Due
pareti di roccia a strapiombo e una piccola insenatura nel mezzo. Il nome la
dice lunga. Infatti pare che “monachile” derivi dal fatto che in origine qui
si trovassero numerose foche monache. Si trova lungo l’antica via Traiana, costruita dall’imperatore
Traiano per collegare Roma e Brindisi, e fu utilizzata in epoca passata come
porto di approdo per le navi che trasportavano le merci provenienti dall’Oriente,
poi portate in paese attraverso dei carri. Da qui, tra l’altro, tutta una
serie di attraversamenti nascosti e gallerie permettevano un tempo di
collegare il centro storico del paese a delle cavità naturali in cui la merce
veniva messa in salvo durante le mareggiate. Dal ponte borbonico che la sovrasta, alto 15 metri, si può
osservare tutta la cala. Inutile dire che in estate è piena zeppa di gente.
Ammetto però che, quando ci sono stata, la bellezza del posto ha cancellato
il fastidio del trovarsi circondata da persone su ogni lato in uno spazio
circoscritto. |
Chissà se Domenico Modugno pensò a Polignano a
Mare quando scrisse “Nel blu dipinto
di blu”. Forse non si riferiva esattamente alla sua città natale, ma
sicuramente sarà stato ispirato dai colori della Puglia. Proprio a Polignano
a Mare c’è una statua di bronzo
dedicata al cantante, posta sul lungomare a lui sempre intitolato, in modo da
non dare le spalle né al mare né al borgo (c’è stata una sorta
di querelle per la scelta della posizione). Proprio alle spalle della statua di Modugno, c’è una scalinata
al termine della quale si accede a una superficie piatta di roccia che fa da
terrazza; da qui infatti si ha la vista su Cala Monachile, la scogliera e il
centro storico con le sue case bianche che si affaccia sul mare. Un must
per chi vuole realizzare qualche bello scatto del paese. Su Google questo
luogo viene identificato come “pietra piatta”. Se a Modugno avessimo chiesto
di consigliarci cosa vedere a Polignano a Mare, ci avrebbe indicato senza
dubbio questa terrazza. Non c’è posto migliore per cantare a squarciagola
quei versi che recitano “ma guarda intorno a te, che doni ti hanno fatto, ti
hanno inventato il mare“. |
Dal 1088, Putignano
fu data in dono al governo dei Monaci Benedettini dal conte normanno Goffredo
d'Altavilla.Dal 1317 fino ai primi anni dell'Ottocento, la città fu dominio
dei Cavalieri di Malta, detti Gerosolomitani la cui sede era vicino alla
chiesa Matrice di San Pietro, l'attuale Palazzo del Principe anticamente noto
come il Palazzo del Balì. E' questa, piazza Plebiscito, il cuore,
politico ed economico, della città: qui si affaccia anche il Sedile l'antica
sede del governo cittadino. Le poderose mura e le torri circolari che in
parte ancora cingono la città, furono elevate proprio dal Balì Giambattista
Carafa, nel 1472, anno in cui venne aperta anche la Porta Barsento che si
collega alla Porta Grande o Maggiore lungo la strada, detta Chiancata. Le antiche mura e il vecchio castello erano state demolite, nel
1219, da Federico II per la disobbedienza dei putignanesi,
mostratisi troppo fedele al papa per aver negato allo stesso Federico II
l'accesso in città al rientro da una battuta di caccia. Putignano è, e rimase
cattolica, ricca d'arte e cultura: lo dimostrano le numerose chiese e
conventi presenti nella città antica. Cinquecentesca la chiesa e il convento
delle Carmelitane che ospita ben 80 suore. Intima e accogliente la chiesetta
della Madonna di Costantinopoli, con il tetto coperto dalle tipiche
chiancarella. Altrettanto piccola e bella risalente al 1402 è la chiesa di
Santo Stefano, protettore di Putignano, le cui spoglie vennero
successivamente trasferite nella chiesa di Santa Maria la Greca,
riconoscibile dalla santuosa facciata barocca, sicuramente tra le più belle
della città. Altre chiese e altri conventi si contendono questo primato di
bellezza e stupore, come la chiesa di San Domenico, seicentesca e barocca.
Non da meno la Chiesa della Madonna più sobria e con bugnato rustico, e che
guarda sul Corso Umberto I. Il Corso è la strada principale della città, prolungamento
dell'Estramurale che circonda, come un grande cerchio, il borgo antico e che
occupa, dal secolo scorso, il posto dell'antico fossato e delle mura. Nei
secoli gli abitanti di Putignano per il loro piccolo territorio si sono
dedicati oltre che alla agricoltura anche al commercio di prodotti agricoli
ed all'artigianato di qualità, riuscendo a vendere anche al di fuori della
provincia di Bari. Infatti erano molto richiesti i tessuti di lana e di cotone
lavorati a mano compresa una ottima e famosa felpa di cotone che alcune
tintorie coloravano con maestria insieme ai filati. Altrettanto richiesti
erano gli aratri, le, zappe, le forbici da pota, i grossi chiodi per le
scarpe (bullette), coltelli ed utensileria varia. Infine con il fragno
(quercus troiana), con la roverella (quercus pubescens), il leccio (quercus
ilex), il noce, l'olivo ed il castagno abili falegnami realizzavano mobili,
botti carrozze e carri agricoli sempre di buona qualità. Questa indole
operosa ha fatto sorgere in Putignano alla fine del 1800 le prime industrie. Dopo la prima guerra mondiale alle iniziali industrie si
aggiunsero altre, che una Guida commerciale del 1932 elenca e
pubblicizza insieme ad artigiani e commercianti. Le stesse industrie nei
decenni trascorsi sono riusciti a convenire i prodotti fino a raggiungere
dagli anni ottanta una notorietà internazionale con gli abiti da sposa.
Infine dal 26 luglio 2000 la fama di Putignano è diventata
interplanetaria. Infatti, tra le orbite di Marte e di Giove, al pianeta
minore numero 7665, scoperto nell' osservatorio di Colleverde di
Guidonia (Roma) 1' 11 ottobre 1994 dal direttore e nostro
concittadino Vincenzo Silvano Casulli la International Astronomical
Union ha assegnato il nome PUTIGNANO con la seguente citazione: Pittoresca
cittadina italiana nella regione Puglia famosa per il suo carnevale, le
grotte e le tipiche case rurali note come "trulli ". Putignano è
anche il luogo di nascita di Silvano Casulli, direttore dell'osservatorio
presso il quale è avvenuta la scoperta. NUMERO TELEFONO COMUNE DI PUTIGNANO: Telefono: (+39) 080 4056111 |
|
Per gli amanti della religione Putignano mette a disposizione
tantissime Chiese da visitare tra cui la chiesa madre Chiesa di San Pietro
Apostolo, la Chiesa di San Filippo, la Chiesa di San Lorenzo, la Cappella di
San Biagio e l Chiesa dei Cappuccini. Da visitare anche il Monastero di Santa
Chiara, la Chiesa rupestre della Madonna delle Grazie e la Grotta di San
Michele in Monte Laureto. |
Putignano |
Il Carnevale di Putignano è famosissimo ed è tra quelli che
durano di più. Ogni anno, durante i giorni più importanti del periodo
carnevalesco c’è la sfilata dei carri allegorici. Enormi carri con personaggi
costruiti in cartapesta circolano per le vie principali della cittadina e
tutto si riempie di musica, allegria e colori. Un evento da non perdere
dedicato a grandi e piccini. |
Putignano Il Carnevale di Putignano vanta più di 600 edizioni e dal 2006 è
nata anche una versione estiva. La maschera caratteristica del paese si
chiama Farinella. |
Era il 29 maggio 1931, quando durante i lavori di scavo per la
costruzione dell’impianto di depurazione, a pochi metri dal centro abitato di
Putignano, gli operai si trovarono di fronte ad una meraviglia della natura:
una “vasta grotta di stalattiti e
stalagmiti”. Il Cav. Ernesto Losavio, allora Podestà di Putignano, chiese
al Genio Civile di poter al più presto effettuare un sopralluogo in detta
zona per prendere accordi sui provvedimenti da emettere. Il 28 giugno 1931 da parte della Soprintendenza alle opere di
Antichità e d’Arte della Puglia, venne fatta esplicita richiesta al Ministero
dell’Educazione Nazionale di poter porre sotto tutela la Grotta
naturale sita in Putignano in base alla legge n.778 dell’11/06/22 . Dopo
meno di tre mesi le grotte di
Putignano furono dichiarate soggette a speciale protezione, la cui
conservazione presenta un notevole interesse pubblico grazie alla loro
bellezza naturale. Le grotte di Putignano, diventano così il primo sito turistico
in Puglia, dove i visitatori hanno la possibilità di immergersi in un luogo
nascosto, per ammirare quanto la natura ha saputo disegnare nel tempo. Dai
documenti storici, si evince che il flusso turistico sarebbe dovuto essere
abbastanza copioso, tanto che nell’aprile del 1934 si decide di innalzare un
“modesto edificio” nel piazzale presso la scalinata di discesa che porta alle
grotte. Si ritiene indispensabile questa costruzione per dare al visitatore
“un minimo di riposo o ristoro”. Così si dà avvio alla costruzione dei trulli
che ben si sposano con le grotte in quanto entrambi sono simboli della nostra
regione e per la loro presenza si sceglie di chiamare “Grotta del Trullo” il tesoro sotterraneo di Putignano. |
Putignano SS 172 tratto
Putignano-Turi Telefono: +39 080 491 2113 E-Mail:
info@grottadeltrullo.com Web: grottadeltrullo.com9 Giorni e Orario apertura: Dal 1 Ottobre al 31 Maggio: Dal 1 Giugno al 30 Settembre; Dalle ore 09:00 alle ore 12:30; e dalle ore 14:30 alle ore 18:30 Visite Sempre Guidate Anche In
Lingua Senza Prenotazione: Adulti 5€/a persona Bambini (4-14 anni) 2,50€ Bambini (sotto i 4) Gratis Spelotrekking: -Avventura in Grotta Vivi l’emozione di una vera spedizione esplorativa in grotta in
una delle cavità del nostro territorio! Per un’intera mattinata sarai uno
speleologo a tutti gli effetti! 30€ /a Persona -Trullo Segreto Un’escursione alla scoperta dei rami sotterranei della grotta
del trullo. Indossate tuta e casco e lasciatemi condurre alla scoperta dei
suoi segreti! Non serve attrezzatura speciale, non serve esperienza… solo
spirito d’avventura! 15€ /a Persona -Murgia Explorer Un’escursione a piedi nel cuore della murgia più vera e delle
gravine al di fuori di strade e sentieri dove il cielo e la roccia si
uniscono nei grandi spazi della puglia più antica e selvaggia. 7€ /a Persona |
Rutigliano, come molti centri meridionali, nasce, in epoca altomedievale,
da quel fenomeno chiamato sinecismo, per il quale la popolazione
dispersa nelle campagne, o in villaggi insediatisi principalmente lungo
le lame,
si coagula intorno a siti caratterizzati da una qualche forma di autorità,
laica o religiosa. Molti villaggi
come Bigetti, Timine, Casilia, Cabiano, Minerva,
sono abbandonati per dar vita al "loco Rutiliano". Successivamente
i Normanni, con i loro feudatari, daranno vita alla svolta che trasformerà la
città da locus a castellum Rutiliani. Significativa è l'ubicazione degli insediamenti preesistenti:
quello peuceta di Azetium (in
contrada Castiello) e quello di Bigetti (in contrada Purgatorio) su
Lama Giotta e quello di Minerva (contrada Annunziata) su Lama San Giorgio. I due solchi
torrentizi Lama San Giorgio e Lama Giotta attraversano parallelamente il
territorio in direzione nord-sud e in passato assolvevano al ruolo di vie di
comunicazione tra l'entroterra e la costa. Anche il borgo medievale si colloca, non casualmente, su un sito
di altura, lambito da un canale di deflusso secondario denominato "Lama
della Corte". Esso si presentava, alla metà dell'XI secolo, avvolto
attorno ad una primitiva fortificazione di epoca probabilmente bizantina poi
ristrutturata ed ampliata dai Normanni. Il 24 agosto 1059 il papa Niccolò II emanò
una bolla che riconosceva a Rutigliano il particolare status di nullius
diocesis, cioè territorio privo di vescovo e soggetto direttamente a Roma.
Era infatti l'arciprete della chiesa di Santa Maria della Colonna, nominato
direttamente dal Papa, ad esercitare funzioni quasi-vescovili. Tale
privilegio fu abrogato solo nel 1662 quando
Rutigliano fu sottoposta all'autorità del vescovo
di Conversano. Primo conte di Rutigliano fu il Normanno Ugo Bassavilla (intorno
al 1108) che probabilmente fece costruire la
torre normanna e ampliò la chiesa di Santa Maria della Colonna, dove è
conservata una lapide con lo stemma del casato e l'iscrizione UGO FIL.US
ASGOT DINASTA FUNDATUR (Ugo figlio di Asgot fondatore della dinastia). Nel 1194 subentrarono
gli Svevi e in seguito gli Angioini nel 1266. Carlo II d'Angiò nel 1304 donò
metà feudo al Real Capitolo
di San Nicola di Bari e l'altra metà a Giovanna di Anselmo de
Chanbros. Vari feudatari si susseguiranno nei secoli seguenti. Gli Orsini del Balzo, i Filomarino, i
d'Azzia, gli Acquaviva,
la regina Bona Sforza di Polonia, i Brancaccio,
i Pappacoda, i Carafa di Noja e i Lamberti-de Bellis di Bari,
fino all'abolizione della feudalità del 1806. NUMERO TELEFONO COMUNE DI
RUTIGLIANO: Telefono: (+39) 080 4763700 |
|
Il castello normanno
fu fatto demolire nel 1618. Sopravvivono soltanto due delle originarie
quattro maestose torri normanne quadrandolari,di cui una quasi intatta. Rimane ancora integro il portale di accesso alla corte che
invece risulta molto manomessa. La Torre Normanna è formata da più piani sovrapposti fino al
terrazzo sovrastante ed è di proprietà privata della famiglia Antonelli,per
eredità ricevuta dalle estinte famiglie Torres e Ribera. |
Rutigliano
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Rutigliano
Al Periodo
inscritto tra Cinquecento e Ottocento risale una miriade di palazzi
nobiliari, e tra di essi s’impone la menzione di Palazzo de Franceschis, Palazzo Moccia
dell’Erba, Casa de Leone e Palazzo Antonelli, strutture eleganti che si antepongono in parte alle più “grezze”
masserie, costituenti il tratto distintivo più marcato della campagna
pugliese: da vedere la Masseria Fortificata Panicelli, dotata di quattro bastioni e dunque
assimilabile alla caratteristica pianta del maniero.
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Edificio
religioso di apodittico stoicismo, la Chiesa
Matrice di Santa Maria della Colonna e San Nicola permane nell’abitato dal XII secolo e si fa
notare per la presenza fiancheggiante dell’originale campanile romanico
scandito nel suo elevarsi da scenografiche trifore. L’interno è uno
spettacolo, si divide in tre navate e custodisce alcune pregevoli opere come
il leggio marmoreo, la trecentesca Madonna delle Grazie, il coro ligneo del
‘700, il polittico firmato Antonio Vivarini, vari argenti sacri e l’organo a
24 canne. Il Convento delle Clarisse fu innalzato nel Cinquecento e si fregia della
conservazione di un crocifisso in legno datato XV secolo e un dipinto
dell’Immacolata realizzato nel 1708 da Giovan Battista Lama.
Fuori dal centro storico spuntano la Chiesa dei Cappuccini con l’altare maggiore recante il gran
dipinto di Nicolanardi Ferdinandi e il Crocifisso seicentesco attribuito a
Vespasiano Genuino da Gallipoli, la cinquecentesca Chiesa di San Domenico e il Convento di Madonna di Palazzo, il
cui eccezionale chiostro reca affrescante le Scene di vita di San Francesco
d’Assisi. La Chiesa dell’Annunziata
si trova al centro di un villaggio neolitico seguendo l’altalena della Lama
San Giorgio. Da ricordare infine la piccola Chiesa di Sant’Appolinaire, che in contrada Purgatorio ha preso
il posto nell’XI secolo di una villa romana.
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L’apparato
museale è per Rutigliano una valente risorsa messa a disposizione degli
abitanti e di tutti i turisti che desiderano conoscere di più in relazione
alla storia del paese. Quattro i principali musei, ovvero il Museo Civico Archeologico “Grazia e Pietro
Didonna”, il Museo del Fischietto (dedicato al celebre manufatto in
terracotta locale), il Museo delle Arti e Antichi Mestieri (etnografia
e artigianato i punti forti) e il Museo degli Immigrati (i
rutiglianesi partiti all’estero in cerca di fortuna). (Nella Sezione Musei) La Biblioteca
Comunale contiene oltre 15.000 volumi
e libri storici. Complementare
in tal senso risulta l’Archivio Storico Comunale, e in aggiunta ha
notevole peso L’Archivio Capitolare di Santa Maria della Colonna presso
Palazzo Gassi. (Nella Sezione Biblioteche) |
Ruvo
di Puglia La
Preistoria, L’arrivo Dei Greci E L’eta’ Romana: Alcuni reperti di pietra lavorata
fanno risalire i primi insediamenti nell’agro ruvestino al paleolitico medio
mentre alcuni resti di villaggi confermano la presenza dell’uomo fin dal VI
millennio a.C. Tuttavia durante l’età del bronzo il territorio fu abitato dai
morgeti, un popolo ausonico, poi scacciato dagli iapigi con l’avvento
dell’età del ferro. Gli iapigi si stabilirono in terra di Bari dando origine
alla stirpe peuceta e Ruvo fu inizialmente fondata come un villaggio in cima
alla collina attualmente sita tra la pineta comunale e la chiesa di San
Michele Arcangelo. L’agro ruvese in età peuceta era molto vasto ed ebbe anche
un porto, chiamato Respa, presso Molfetta. Tra l’VIII e il V secolo a.C. i
greci colonizzarono pacificamente Ruvo che da quel momento prese il nome di
“Ρυψ”. Intorno al IV secolo a.C. il villaggio visse il momento di maggior
splendore intrattenendo scambi commerciali con gran parte delle popolazioni
italiche, tra cui gli etruschi, coniando moneta propria e vantando una
popolazione e un territorio mai più raggiunto (l’agro ruvestino di età greca
comprendeva Molfetta, Terlizzi, Corato, Trani e Bisceglie). Ruvo si pose come
una fiorente polis della Magna Grecia e la sua ricchezza consisteva nel
commercio di olio di oliva e vino e nella florida produzione di vasellame. La
città greca di Ruvo finì col diventare protetta di Atene, come dimostrano
alcune monete, ma anche alleata di Taranto. La sconfitta della greca Taranto
nella guerra contro Roma segnò la fine dell’età ellenistica in Puglia facendo
così entrare Ruvo nell’orbita di influenza romana col nome di Rubi. In
seguito Ruvo giocò un ruolo fondamentale per la Repubblica romana e per
l’Impero vedendosi prima assegnare la cittadinanza romana, poi il titolo di
municipium e infine diventando stazione della via Traiana. Nel 44, secondo la
leggenda, Ruvo vide sorgere la propria diocesi per volere di San Pietro, il
quale nominò primo vescovo san Cleto che in futuro sarebbe diventato papa.
Tuttavia in età imperiale l’ager rubustinus subì una diminuzione in quanto
sorgono Molfetta, Trani e Bisceglie, facendo perdere così il contatto con il
mare. Ruvo Medievale: Nel V secolo scomparve la fiorente
Ruvo sotto i colpi delle invasioni dei Goti che ridussero per la prima volta
la città a un cumulo di macerie. Ruvo, rifondata sulle pendici della collina
originaria, fu prima conquistata dai Longobardi e poi fu preda dei Saraceni.
Fu in questo periodo che i ruvestini decisero di dotarsi di una cinta muraria
munita di torri e quattro porte: Porta Noè (attuale via Veneto), Porta del
Buccettolo (via Campanella), Porta del Castello (piazza Matteotti) e Porta
Nuova (corso Piave). Nell’XI secolo la fortezza di Ruvo entrò nella contea di
Conversano e subì altre violenze a causa delle lotte intestine per la
gestione del potere, i quali conflitti portarono alla seconda distruzione del
centro abitato. Tuttavia fu sotto Federico II di Svevia che Ruvo finalmente
riconobbe una crescita culturale ed economica, un periodo segnato dalla
costruzione della cattedrale romanica e nel territorio tra Ruvo e Canosa del
Castel del Monte. A questo momento storico però risalgono anche le fondazioni
delle città di Corato e Andria, i cui territori andarono a diminuire
ulteriormente l’agro ruvestino. Dal 1266 Ruvo divenne feudo ed entrò, assieme
alla Puglia intera, tra i domini degli Angioini. Nonostante questo il feudo
ruvestino vide sfumare ancora una volta il periodo di pace e prosperità che
stava attraversando poiché nel 1350 la città fu rasa al suolo e saccheggiata
da Ruggiero Sanseverino. I ruvestini furono così costretti a ricostruire il
centro abitato, le mura e decisero anche la costruzione della torre del
Pilota, alta 33 metri. Al dominio angioino si succedette quello aragonese.
Gli scontri per il dominio sul Regno di Napoli tra Francia e Spagna
sfociarono nella battaglia di Ruvo, che vide vincitori gli spagnoli guidati
da Consalvo di Cordova contro le truppe francesi di Jacques de La Palice
stanziate a Ruvo. Durante questa battaglia la città fu rasa al suolo per la
terza volta. Lo stesso feudo vide inoltre partire dalle proprie mura i
tredici francesi che si scontrarono contro altrettanti italiani nella disfida
di Barletta. I Carafa – Conti Di Ruvo: Nel 1510 Oliviero Carafa acquistò il
feudo di Ruvo e la stessa città conobbe un periodo storico negativo. La
maggior parte delle storiche famiglie patrizie ruvestine si estinsero e solo
nel Seicento sorsero nuove famiglie nobili che conobbero una particolare e
florida condizione economica. Furono inoltre rafforzate ulteriormente le mura
ma nonostante il lungo periodo di pace la popolazione era soffocata dalle
angherie dei Carafa e dal governo tirannico degli stessi che trasformarono la
torre del Pilota da strumento di difesa a prigione per gli oppositori. Tra la
fine del Cinquecento e il Seicento, ovvero nell’epoca della controriforma,
Ruvo vide nascere vari sodalizi e congreghe tuttora operanti specialmente
nella cura dei riti della Settimana Santa ruvestina. Tuttavia in questo
periodo buio della storia di Ruvo si distinsero alcuni uomini illustri tra i
quali il più celebre è senza dubbio il medico Domenico Cotugno. Nel 1806,
sotto il dominio napoleonico il feudalesimo fu abolito, concludendo così il
dominio dei Carafa durato tre secoli. Dall’unita’ D’italia Ai
Giorni Nostri: Dopo il dominio dei
Carafa, i moti liberali toccarono anche Ruvo ma fallirono miseramente come
nel resto del mezzogiorno. Tuttavia nei primi anni dell’Ottocento si distinse
particolarmente Giovanni Jatta, il quale eletto dai ruvestini come avvocato
della città, vinse la causa contro i Carafa ottenendo dei lauti risarcimenti
e fu tra i protagonisti di quegli scavi archeologici che riportarono alla
luce i numerosi reperti di epoca peuceta, greca e romana conservati nel museo
Jatta. Nel periodo antecedente all’unità d’Italia Ruvo fu sede di una vendita
carbonara chiamata “Perfetta Fedeltà” della quale fece parte il patriota e
avvocato Francesco Rubini il quale si occupò di organizzare i moti
risorgimentali anche a Ruvo. Nel periodo post-unitario Ruvo, seppur
lentamente, conobbe i segni del progresso anche per merito del deputato e
agronomo ruvestino Antonio Jatta, il quale evidenziò al governo i numerosi
problemi della Puglia e della provincia di Bari. Tappe fondamentali del
progresso furono segnate nel 1905 dall’arrivo dell’illuminazione elettrica e
nel 1914 con la diffusione dell’acqua pubblica. Durante la prima guerra
mondiale ben 367 ruvestini caddero sui fronti di battaglia mentre nel ventennio
fascista furono realizzate altre opere di pubblico vantaggio quali la
bonifica del pantano e la creazione della fognatura nel 1938. Nel secondo
dopoguerra Ruvo si distinse in ambito culturale, soprattutto grazie alle
opere di Domenico Cantatore, ma anche in ambito economico con i fiorenti
vitigni e oliveti. NUMERO TELEFONO COMUNE DI RUVO DI
PUGLIA: Telefono: (+39) 080 9507111 |
Ruvo di Puglia Una delle
principali attrattive del borgo è la cattedrale romanica dell’Assunta
risalente ai secoli XII e XIII. Questo edificio è situato nel cuore del
centro storico e si distingue dal resto delle strutture che lo circondano
quasi con reverenziale timore. Nel corso dei secoli l’edificio ha subito
diversi rimaneggiamenti, e tuttavia le sue caratteristiche che la lasciano
ascrivere all’epoca romanica sono rimaste spiccate. Particolare il tetto a
spiovente, così come la facciata, grandiosa nella sua presenza, un poderoso
portone centrale con decorazione zoomorfe, antropomorfe e vegetali.
Interessante il rosone a 12 raggi. All’interno
tre navate, tre absidi e un finto matroneo. Da non perder l’ipogeo
sottostante la cattedrale che ha rivelato, durante gli scavi, testimonianze
di epoca peuceta, romanica e medievale. Via Veneto è composta da vicoletti stretti e
contorti che lasciano scoprire, tra uno scorcio e l’altro, meraviglie
architettoniche inaspettate. Belle le mura, con porte e torri, di epoca
medievale poste a difesa del borgo. |
Il Museo, ospitato all’interno del palazzo
rinascimentale Jatta, raccoglie diversi reperti in terracotta, i
celeberrimi vasi di Ruvo, che mostrano uno spaccato della vita del luogo.
Altri palazzi di interesse sono il Palazzo Caputi, sempre di epoca
rinascimentale, così come Palazzo Spada e Palazzo Avitaja. |
Ruvo di Puglia non è solo arte e archeologia, ma offre ai suoi
turisti anche numerosi itinerari
naturalistici. Innanzitutto la città è collegata ad altri comuni pugliesi
tramite una pista ciclabile di 64.5 km. Questo itinerario
attraversa infatti i paesi della bassa Murgia e da Ruvo è possibile giungere
fino a Molfetta e tornare indietro verso Terlizzi, Bitonto e S. Spirito. |
Nel 1608 Michele Vaaz, un mercante ebreo-portoghese, acquistò
dal regio demanio il feudo di Casamassima e la cosiddetta "zona delle
quattro miglia", come era anche conosciuto il territorio su cui sarebbe
sorto il comune di Sammichele di Bari,
trovandosi in posizione baricentrica tra i comuni di Casamassima, Acquaviva
delle Fonti, Gioia del Colle e Turi. Ottenuto il titolo di conte decise di
erigere un paese che tramandasse il suo nome, "Casa Vaaz", e di
popolarlo conducendovi dalle coste della Dalmazia una comunità di slavi
composta da circa 460 persone. Il 6 luglio 1615 una delegazione guidata dal
sacerdote di rito ortodosso Damiano de Damianiis giunse a Napoli per
sottoscrivere l'atto di fondazione di "Casa Vaaz" rogato dal notaio
Vincenzo de Troianis. Il contratto prevedeva tra l'altro l'obbligo da parte
del conte di edificare 87 abitazioni attorno al palazzo appartenuto al
banchiere Centurione; in cambio il Vaaz rivendicava la nomina del sindaco e
di tre consiglieri, sulla base dei nomi dei propri rappresentanti proposti
dai serbi, e obbligava la comunità a convertirsi al rito cattolico. Poiché
quest'ultimo impegno non fu rispettato, nel 1617 l'arciprete di Casamassima,
che esercitava la propria giurisdizione sulla parrocchia di Casa Vaaz,
ottenne l'allontanamento della comunità slava cui subentrò presto un nutrito
gruppo di famiglie provenienti dai territori limitrofi. Nel 1619 i nuovi
abitanti elessero un proprio sindaco: il 14 luglio ad Acquaviva delle Fonti
stipularono un nuovo contratto con il conte, nel quale chiesero e ottennero
di assegnare alla zona il nome di "Casal San Michele". Nel 1667
Antonio de Ponte, consigliere della Regia Camera della Sommaria, acquistò il
casale da Simone Vaaz, nipote e successore del fondatore; nel 1794 esso passò
per successione al casato dei Caracciolo duchi di Vietri. Negli ultimi anni
del XVIII sec. Casal San Michele o Sanmichele, come era anche denominato,
contava 1563 abitanti ed era definito "casale della terra di Casamassima
in Terra di Bari" (L. Giustiniani, "Dizionario geografico-ragionato
del Regno di Napoli" [Napoli, Vincenzo Manfredi, poi Stamperia di
Giovanni de Bonis, 1797-1816], rist. anast. Bologna, Forni, 1969-1971). Con
l'emanazione della legge del Regno di Napoli 2 agosto 1806 n. 130, che abolì
definitivamente la feudalità e tutte le sue attribuzioni, i Caracciolo
persero la maggior parte dei loro territori mantenendo il possesso del solo
palazzo "Centurione", divenuto di proprietà comunale nel 1971. NUMERO TELEFONO COMUNE DI SAMMICHELE
DI BARI: Telefono: (+39) 080 8917368 |
||
Castello Caracciolo Già conosciuto agli inizi del Cinquecento, tra il XVI ed il
XVIII secolo il castello fu al centro di numerose vicende e proprietà di
diversi signori: il banchiere genovese Heronimo Centurione; dal 1606 l'ebreo
portoghese Michele Vaaz, che chiamò il paese San Michele; dal 1675 dal barone
Antonio De Ponte. Nel 1797 passò ai duchi Caracciolo che nella seconda metà
dell'Ottocento ne affidarono il restauro all'architetto Amenduni, e
successivamente lo cedettero al Comune, che negli anni scorsi lo ha destinato
a sede del Museo etnologico della civiltà contadina. La struttura ha impianto quadrato e torri sporgenti, a base
scoscesa e caratterizzate da merli e strette aperture verticali. |
Sammichele Di Bari La presenza di un’iscrizione su lastra calcarea, datata al 1504,
che fa riferimento a un "Palazzo nomine Centurione" e al suo
feudatario Heronimo Centurione, la cui famiglia operava a Bari dalla seconda
metà del XV sec., lascia supporre che già nel 1400 fosse presente una torre
fortificata, ove ora sorge il castello. Tuttavia si può ipotizzare che la
costruzione abbia avuto origine come avamposto di controllo e di difesa, e
che sia stata poi trasformata in casa agricola. Dal 1609 il palazzo
Centurione diviene proprietà di Michele Vaaz, fondatore del Paese, fino al 1667,
anno in cui il nipote Simone vende il feudo al Regio Consigliere Antonio de
Ponte. Da questo momento il Palazzo subisce numerosi rimaneggiamenti.
Restaurato perché cadente nel 1675 dal De Ponte, il castello passa per
acquisizione ereditaria ai Caracciolo di Vietri nel 1779, sotto i quali,
intorno al 1860, viene completamente trasformato in palazzo per villeggiare
dall’architetto di Casamassima Ascanio Amenduni. Egli allarga i portali di
ingresso, realizza le torri merlate, il prospetto rivestito con bugnato in
pietra calcarea, le finestre bifore, la scala interna. I Caracciolo legano il
loro nome alla vetusta costruzione per oltre due secoli: tuttora, infatti,
viene denominato Castello Caracciolo. Tra la prima e la seconda guerra
mondiale subisce ulteriori interventi con il rifacimento del solaio del
secondo piano e con la costruzione di altre due torrette merlate. Dal 1991
fino al 2001 sono stati realizzati altri interventi di restauro a cura degli
architetti Lorenzo Netti e Stefano Bianco che hanno cercato di riportare la
struttura, almeno all’interno, al suo aspetto originario.Nel 1971
l’Amministrazione Comunale acquista il Castello dai Caracciolo e nel 1974 ne
delibera la destinazione a sede del Museo della Civiltà Contadina |
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Sammichele Di Bari Nella piazza spicca l’Arco
dell’Orologio mentre, nelle strade, ci si lascia sorprendere
dalle maschere apotropaiche in pietra. |
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Museo della civiltà contadina “Dino Bianco” |
Piazza
Caracciolo Sammichele Di Bari Telefono: (+39)
080 8917381 (+39) 080
8917297 E-Mail: info@museodinobianco.net (Nella
Sezione Musei) |
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Santeramo in Colle è il comune più alto delle Murge centrali. Il
suo borgo antico è insediato in un territorio brullo solcato da
lame (meno profonde delle gravine) e ricco di fenomeni carsici. Il borgo
antico di Santeramo in Colle, un tempo munito di fossato e mura di cinta,
venne ampliato nel XVI secolo con la costruzione del castello,
oggi Palazzo Marchesale.
(Nella Sezione Palazzi) |
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Tra i luoghi di culto troviamo la chiesa di S.Erasmo nata come
piccola cappella dedicata a S.Erasmo e restrutturata poi, la più vecchia S.Maria del Carmine, la chiesa del
Crocifisso, nella parte alta di Santeramo in colle, del seicento poi
ampliata a metà ottocento ed in un angusto vicolo la piccolissima chiesa di S.Eligio. Intorno a Santeramo in Colle si trovano la “grotta di S.Angelo”, una
caratteristica chiesa ipogea con affreschi bizantini, incisioni e graffiti,
poco lontano un’altra grotta “la
grotta di Cristo” che è naturale ricca di stalattiti. |
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La Grotta di
Sant’Angelo è una grotta naturale di
origine carsica situata nel Parco
nazionale dell'Alta Murgia, nel territorio del comune di Santeramo in Colle,
in Puglia. |
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L’Alta Murgia presenta un territorio
arido, caratterizzato dalla presenza di roccia e terreni calcarei nella parte
sud e da terreni calcarei-argillosi a nord. Difatti, il territorio a sud è
sempre stato prevalentemente selvatico, mentre quello a nord è stato
impiegato per la coltivazione sin dall'epoca preistorica. |
La grotta è nata grazie all'azione di un intenso fenomeno di
carsismo. L’unico intervento strutturale realizzato dall'uomo è
il repositorium: una nicchia a fondo piano chiusa da un arco a
tutto sesto, sostenuto da semicolonne con capitello tronco piramidale e pulvini “a libro”. |
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Le Quite, il cui toponimo è di derivazione dialettale dal termine
“quote”, rappresentano la parcellizzazione di una vasta area a sud-est del
territorio santermano, appartenuta al demanio pubblico. Le quote furono
distribuite ai contadini nullatenenti in seguito alla riforma Murattiana, a
cavallo tra ‘800 e ‘900. La caratteristica principale (oltre al singolare
aspetto di memoria storica…) è individuabile nello stridente contrasto tra la
regolarità geometrica della griglia individuata dagli amministratori
dell’epoca e l’estrema irregolarità della morfologia del suolo. Altro
contrasto in termini è individuabile nel principio più che condivisibile di
garanzia di una minima proprietà diffusa e l’applicazione pratica del
principio stesso: le quote altro non sono se non piccoli appezzamenti murgia
pietrosa ed improduttiva! Tuttavia, questo lembo di territorio testimonia il
tentativo condotto (con entusiasmo e dedizione prima, con rassegnazione in
seguito alla fatica poi) dei contadini neo-proprietari di rendere coltivabile
la roccia. |
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Matine dal latino “madeo”, “madidus” che significa umido, bagnato, infatti i terreni adiacenti il decorso del torrente Viglione, sono molto bassi e naturalmente sono soggetti alle inondazioni che li fanno in permanenza umidi e bagnati. Dopo le bonifiche mediante canalizzazione delle acque. le terre, molto fertili, sono dedicate, in prevalenza, alla coltivazione di cereali. Lungo le rive del Viglione, è ancora possibile vedere un filare di alberi tra cui si distinguono pioppi bianchi, pioppi neri, olmi e frassini, testimonianza della antica presenza di un bosco ripariale.
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La murgia Morsara costituisce l’affaccio a sud del piatto murgiano verso la fossa
bradanica (ed in particolare sulle Matine) e pertanto è segnata da molti
rilevati e lame. In prosecuzione degli Appennini, geologicamente questo lembo
di territorio si forma nel Cretacico ed ospita alcuni dei fenomeni carsici
(grotte, lame, solchi, inghiottitoi ecc.) più significativi di tutto il
territorio santermano. Tra essi spicca la Gravinella: ecosistema delicatissimo,
ricco ed unico, ad oggi in lenta ripresa dopo la ferita inferta dall’uomo
ignorante. Il nome Morsara deriva da “Lama Ursara”, in riferimento proprio
alla lama della Gravinella. Su questi rilievi poco conosciuti è possibile
rintracciare insediamenti antichi e tracce di fauna preistorica. |
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Specchia Del Re Si tratta di un tipo di struttura formata da blocchi megalitici
disposti a formare un cono. Dalla sommità si domina tutta la vallata, intorno
alla Specchia ci sono piccole strutture interpretate come tombe
quadrangolari. Il nome deriva dalla presenza alla sommità della specchia di
un sigillo reale ora non più esistente (forse trafugato). Intorno sono state
rinvenuti materiali ceramici e punte di freccia che ci permettono di avanzare
un ipotesi di datazione neolitica. |
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Sito Neolitico della Gravinella Si tratta di un insediamento situato su di una alta collina, ed
è caratterizzato dalla presenza di rocce calcaree, terreni fertili e risorse
idriche (sulla spalla della lama detta “La Gravinella”). I frammenti ceramici
sono molti e si trovano in superficie, denotando una frequentazione assidua
del sito, probabilmente anche in epoche successive a quella neolitica (come
dimostrano alcuni frammenti ceramici di fattura più articolata, di cui alcuni
anche dipinti). Si registra anche la presenza di una cavità ipogea di media
grandezza. Il sito si trova vicino agli insediamenti di Monte della Parata e
di Pedali di Serra Morsara. |
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Chiesa Rupestre di Sant’Angelo Complesso cenobitico-rupestre con cripta affrescata e chiesa
superiore risalente all’XI sec.. L’ipogeo di natura carsica presenta al suo
interno sia stalattiti che stalagmiti, e custodisce lacerti di affreschi e
migliaia di graffiti. La chiesa superiore è a pianta rettangolare; il
dislivello tra il piano di calpestìo attuale della chiesa e quello della
grotta è di 5m circa ed in antichità si superava per mezzo di una ripida
rampa (di cui non rimane che qualche traccia): secondo la tradizione orale,
sembra avesse andamento ad “L” rovesciata. Il programma decorativo della
grotta dell’Angelo a Santeramo in Colle è articolato come un percorso
devozionale per il fedele. L’insieme della decorazione pittorica è
caratterizzato da uno stato di conservazione molto precario che rende
difficile la lettura degli affreschi. La prima immagine che si presenta a chi
si accinge a scendere nella grotta è dipinta sull’architrave dell’ingresso e
rappresenta un pesce, di cui si può intravedere parte della testa, la pinna
dorsale e la pinna pettorale sinistra. Varcando la porta d’accesso è visibile
in alto la copertura a volta con sopra una grande lunetta su cui troneggia
il Cristo Pantocratore affiancato da sei apostoli seduti sia a
destra che a sinistra, mentre la volta e le pareti sono decorate dalla rappresentazione
della Discesa dello Spirito Santo. Quasi in asse con la porta di
ingresso della grotta, si trova una nicchia a fondo piano che all’interno
conserva tracce dell’icona dell’Arcangelo Michele che trafigge il
drago. A sinistra della nicchia, si trova l’affresco che rappresenta la
Madonna con il Bambino, tra San Michele Arcangelo e San Giovanni Battista. Il
visitatore verrà condotto durante il percorso in prossimità del monumento
dove potrà apprezzare la parte superiore esterna del complesso e i
locali-trullo retrostanti la chiesa: la visita all’interno del monumento
attualmente è interdetta dall’obliterazione degli ingressi per i lavori di
ristrutturazione da tempo avviati. La descrizione dell’iconografia e
dell’interno della chiesa verrà coadiuvata dall’apporto di tavole e piante di
cui le nostre guide saranno fornite. |
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Lo jazzo rappresenta tutto l’ambiente circostante la chiesa
rupestre di Sant’Angelo, caratterizzato da architetture tipiche del paesaggio
pastorale come specchie, trulli e muretti a secco; sono stati inoltre
rinvenuti frammenti di ceramica riferibili al periodo medievale. Tutti gli
elementi che si trovano nell’area dello Jazzo, sono molto importanti per
capire il ruolo del complesso sia in nella fase del pellegrinaggio, sia nelle
epoche successive. |
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Grotta del Pesko-Corte Lupiske Ipogeo semi-naturale situato alla sommità del sito archeologico
della Gravinella. La tradizione locale ha attribuito a questo sito il nome
“grotta del Brigante”, legandolo indissolubilmente a diverse leggende. In
realtà dallo studio della cartografia storica derivante dagli archivi dei Carafa-Caracciolo, nobili del Regno
delle due Sicilie e tenutari di vastissime porzioni dell’agro santeramano, è
emerso il reale nome dato alla grotta. Si tratta di una grande grotta di natura
carsica, lavorata in seguito dall’uomo e adattata a riparo sia per uomini che
per animali. Presenta elementi architettonici tipici dello sfruttamento
antropico delle cavità naturali, come ad esempio il lucernario/camino, le
mangiatoie, gli abbeveratoi e le nicchie ricavate nelle pareti, il doppio
accesso e la divisione dello spazio interno (uomo/animali), la definizione
degli accessi mediante stipiti in muratura. In tutta la zona sono presenti
altre cavità carsiche. |
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Stabilimento de Laurentis Percorrendo la SS 271 da Santeramo in direzione Matera, nel
tratto in cui una serie di curve porta dalla Murgia all’area delle Matine
(375 metri sul livello del mare) si mostra alla vista una poderosa e compatta
costruzione: si tratta dello stabilimento De Laurentis, dal nome di chi, nel
1882 volle edificare uno stabilimento vinicolo dotato di cantine, cisterne e
casa padronale. Nelle immediate vicinanze vi sono ancora i resti di cave di
tufo, tombe ipogee di età romana, cavità erosive e grotte. |
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Tombe a fossa scavate nella pietra
calcarea All’interno dell’area delle Quite si riscontrano anche tracce di
insediamenti di età preistorica e protostorica, sia nelle fortificazioni in
pietra, sia nelle numerose tombe a tumulo e a fossa a pianta ovoidale scavate
nella roccia calcarea. Frequenti anche i ritrovamenti di frammenti ceramici
che testimoniano frequentazioni della zona relative ad epoche successive. |
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Lago Travato Si tratta di una cisterna di raccolta delle acque superficiali,
realizzata rivestendo in pietra il punto più basso di una dolina (depressione
di origine carsica). Conosciuta col nome di lago Travato, attualmente non è
più attiva, ma il sito testimonia l’importanza che aveva la raccolta delle
acque nella zona, come dimostra la presenza di un svariati pozzi e cisterne
nelle vicinanze, anche in connessione con la vicina chiesa rupestre di
Sant’Angelo: infatti, prima che la chiesa fosse dedicata al culto
dell’Arcangelo Michele, si presume che l’ipogeo fosse legato al culto delle
acque di stillicidio. Le fonti di acqua erano da sempre un punto di
riferimento per i pellegrini. Questa zona era un punto di passaggio che
collegava Bari con Matera, le due città più importanti della zona. |
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Bosco della parata Si tratta di una delle poche macchie boschive autoctone di
querceto, quindi di una rarità a livello nazionale per la presenza di sei
specie di quercia (il fragno, la roverella, il cerro, il farnetto, il leccio
e la coccifera). All’interno del bosco vive una fauna molto articolata e
rara, in particolare volatili ma negli ultimi periodi sono rintracciabili
anche tracce di lupi e cinghiali. Rilevante anche per la nidificazione di
specie faunistiche soggette a tutela. I rapaci diurni, in particolare i
migratori come il grillaio, sono specie sensibili alle alterazioni ambientali
e microclimatiche: pertanto la loro presenza/assenza è un valido indicatore
dello stato di salute degli ecosistemi. Come indica il nome stesso, questo
bosco rientrava nel sistema delle “difese” di Santeramo. |
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Bosco denora Pineta di reimpianto, rientra nel sistema delle “nuove difese”
introdotto nel secolo scorso come opera di consolidamento di porzioni del
territorio potenzialmente a rischio frana/ristagno d’acqua, ecc. (basti
pensare alla Foresta di Mercadante…). L’utilizzo di conifere sempreverdi con
prevalenza del pino è di fatto legato alla capacità di attecchimento di
questa essenza in substrati come quello murgiano. In teoria, tali essenze
dovrebbero costituire solo le specie “pioniere” per poi consentire la
sostituzione con le specie autoctone del tipo a quercia. All’interno del
bosco si toccherà uno jazzo in posizione atipica. |
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Bosco lama di lupo Si tratta di un bosco di pino misto a macchie di querce, il
sottobosco è ricco di specie naturali anche commestibili. Rientra anch’esso
nelle pinete di reimpianto, anche se sembra essere un “innesto” su una
preesistenza. |
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Le origini di Terlizzi risalgono al VI secolo d.C., benché
le prime testimonianze concrete della sua esistenza risalgano solo alla
Donazione di Wacco (VIII
secolo), feudatario longobardo che dona al Monastero di Montecassino il casale in Trelicio in quel
tempo circondato da macchia mediterranea e querceti (quercus ilex). Da qui deriva, plausibilmente, il
toponimo Trelicium o
più diffusamente, nelle più antiche pergamene, Terlicium, equivalente a terra ilicium, locus
inter ilicia, "terra di lecci" o "luogo posto fra i
lecci" oppure Terlitium ovvero
"terra contesa", Terlicio
"tre luoghi", Terlizzo,
Terlizo o Terricium ovvero
"terra circondata da torri" . Dopo la dominazione
bizantina, a partire dall'XI, secolo Terlizzi rientra nella sfera d'influenza
di Giovinazzo, sotto il dominio
del normanno conte Amico,
artefice delle fortificazioni in entrambe le città (ed a Terlizzi, del
poderoso castello con tre torri, ripreso nello stemma cittadino), all'epoca
ancora identificata come castellum.
Ma fu nel 1123 che Terlizzi
acquisì il titolo di città (come testimonia una stele affissa alla Torre
Maggiore del Castello Normanno, unica superstite
della struttura, in gran parte crollato tra XVIII e XIX secolo). Nel Duecento fu capoluogo
di contea infeudata alla famiglia Tuzziaco; in seguito fu dominio di Federico Wrunfort. Nel 1230
l'imperatore Federico
II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico vinse
la lotta contro il papa: Gregorio IX. Subito dopo la vittoria Federico
riconobbe tutte le città che lo avevano affiancato negli scontri contro il
pontefice, tra cui Terlizzi. Lui, essendo anche un poeta, per ringraziare
Terlizzi la agevolò nel commercio e le scrisse anche una frase di benevolenza
cioè "Terlitium inter spinas
lilium" ovvero "Terlizzi un giglio fiorito fra rovi
spinosi". Nel 1361 divenne signore di Terlizzi
Guglielmo Sanseverino, per eredità di uno zio. Questa famiglia detenne la
signoria fino al 1407, quando
Ottavio/Ottaviano Sanseverino, che è anche signore di Parabita e di Cellino,
viene privato di tutti i possedimenti per ribellione a re Ladislao di
Durazzo. Subito dopo verrà investito della signoria di Terlizzi (assieme ad
altri feudi) Francesco Orsini, conte e poi duca di Gravina. Nel 1532, però, il suo discendente
Ferdinando Orsini, 5º duca di Gravina, perde definitivamente la signoria di
Terlizzi, che passa ai Grimaldi principi di Monaco marchesi di Campagna che
l'amministrarono fino al 1641[3]. Dal 1607 è amministrata dai
baroni de Gemmis di Castel Foce,
luogotenenti del feudo. Dai Grimaldi passò ai Giudice Caracciolo Duchi
di Giovinazzo e Principi
di Cellamare, fino a quando,
morta Donna Eleonora Giudice Caracciolo senza figli
né eredi diretti nel 1770, tutti i
corpi feudali furono devoluti alla Regia Corte. Messa all'asta nel 1778 dalla Regia Camera della
Sommaria per ordine del Re Francesco I di Borbone, i
cittadini terlizzesi, tra cui il Barone letterato Ferrante
de Gemmis, per non far nuovamente ricadere la città sotto la
servitù feudale del probabile acquirente il Duca Carafa di Andria, promossero il
riscatto feudale versando 90.000 ducati alla regia corte
nel 1779 e Terlizzi divenne
città demaniale. Tale somma però, non essendo nella disponibilità della
Università di Terlizzi, fu prestata dal Barone Gennaro Rossi di Napoli il
quale aveva ipotecato a sé tutti i corpi feudali di Terlizzi compreso il
castello, fu rimborsata nell'arco di oltre un secolo e mezzo con molte
difficoltà e vicissitudini giudiziarie chiusesi addirittura nel 1930. Durante il Fascismo venne edificata
la scuola primaria Don Pietro Pappagallo che inizialmente venne chiamata
scuola primaria "Benito Mussolini". Infatti Mussolini mirava a
potenziare l'apparato istruttivo italiano e comportando la diminuzione del
grado di analfabetizzazione. Ma con la caduta del Fascismo, venne rinominata
"Don Pietro Pappagallo" proprio in ricordo di quel presbiterio e
antifascista italiano e terlizzese che lottò fino alla fine pur di liberare
la sua patria dal Fascismo. Ancora oggi, lungo le pareti esterne della scuola,
sono riconoscibili le cornici di spazi adibiti all'alloggiamento di stemmi,
stemmi che dovevano essere il fascio littorio fascista
e che vennero rimossi sempre subito dopo la caduta del Fascismo. Sempre
durante il Fascismo, inoltre, la torre dell'orologio di Terlizzi, che
ospitava già l'odierno orologio, venne privata delle lancette in oro di cui
disponeva l'orologio, molto probabilmente per fonderle in lingotti d'oro per
poi venderli e investire il ricavato nel sostenimento della guerra (Seconda
Guerra Mondiale). Ancora oggi non manca la presenza di chiusini portanti lo
stemma del comune di Terlizzi affiancato dal fascio littorio fascista. NUMERO TELEFONO COMUNE DI TERLIZZI: Telefono: (+39) 080 3542011 |
Terlizzi Il portale dell'antica
cattedrale romanica, realizzato da Anseramo da Trani intorno alla seconda metà del XIII
secolo, fu posizionato sulla facciata nord della Chiesa del
Rosario dal 1863. E' costruito in pietra locale, monolitica nella
lunetta e nell'architrave sostenuto da mensole figurate. Nella lunetta dell'archivolto è rappresentata l'Ultima
Cena con il Cristo non al centro ma accanto agli Apostoli, tra i quali
si riconoscono Pietro, Giovanni, e Giuda, proteso ad afferrare un pesce.
Nell'architrave sono rappresentate scene della vita di Cristo: un angelo in
volo annuncia alla Vergine la nascita del figlio; i Magi (uno in piedi, gli
altri a cavallo) si avviano verso Betlemme per salutare nella grotta il
Bambino, rappresentato poi in croce con ai piedi Maria e Giovanni. Di
derivazione bizantina sono la doppia cornice e la rappresentazione per
immagini isolate e frontali ma la resa plastica è di matrice schiettamente
romanico. |
Il centro storico di Terlizzi racchiude in sé vicoli e piazze piene di storia e con tanto da raccontare sui secoli trascorsi. Passeggiare tra le sue vie e magari perdervi nell’incrocio tra i vicoli strettissimi non potrà che portarvi alla piacevole scoperta di questo luogo. Nel centro storico di Terlizzi è possibile osservare una tradizione tipica dei piccoli borghi italiani e, una volta, anche delle città, andata oramai persa quasi dappertutto: la gente per strada. Persone, giovani ed anziani, che con le proprie sedie occupano interi vicoli semplicemente per passare il tempo facendo due chiacchiere con i vicini, e bambini che giocano per strada con monopattini e palloni. |
Tra le Chiese troviamo la
Cattedrale. Poi Santa Maria
La Nova, in via Vittorio Emanuele: in questa chiesa, la cui
costruzione iniziale risale al 1500, gli aristocratici un
tempo costruirono il loro pantheon, facendo realizzare cappelle e lastre
commemorative. |
Terlizzi ha la fortuna di aver conservato molti palazzi di
famiglie nobili: quello che mi ha colpito di più è il palazzo del barone De Gemmis, che si trova in via Vittorio
Emanuele nei pressi della chiesa di Santa Maria La Nova di cui
parlavo prima. |
Il rinvenimento di alcune tombe risalenti al V - IV secolo a.C.,
testimonia la presenza sul territorio, dove ora insiste Toritto, di un nucleo abitativo con annessa necropoli già in
epoca peuceta. Nei secoli successivi anche Toritto seguirà le stesse sorti di
Altamura con un progressivo decadimento dovuto al fatto di essere stato
tagliato fuori dalle nuove vie di comunicazione che si andavano affermando. E' in periodo tardo medievale che si documentano nuovamente
testimonianze di una ripresa dell'urbanizzazione del territorio. Feudo
normanno nell'anno mille (a quest'epoca si fa risalire il nucleo primordiale
del castello), con la rinascita della vicina Altamura nel XIII secolo,
entrava nella sua sfera di influenza economica, giuridica ed ecclesiastica. A quest'epoca risale la riedificazione del Castello che si
staglia sulla piazza e che era la dimora del Duca. Fino alla fine del XV
secolo Toritto passa di feudatario in feudatario fino al 1493 quando fu
acquistato dal nobile Stefano Pignatelli e rimase proprietà di questa
famiglia fino al 1592 quando divenne feudo dei della Tolfa. A loro si deve
l'ingrandimento del Castello. Nel XVII secolo ai della Tolfa subentrarono i
Telesio. Tra la fine del '700 a l'inizio dell'800 si edificarono nuovi
palazzi, nacquero nuovi piccoli quartieri, si costruirono nuove strade o si
allargarono quelle già tracciate. La strada dell'oliva dolce, oggi via Ettore D'Urso è uno degli
esempi più belli di sistemazione urbanistica del '700, con gli ampi
marciapiedi sui quali stendere le mandorle al sole, ponendo le premesse per
la definizione del nuovo moderno assetto di Toritto. NUMERO TELEFONO COMUNE DI TORITTO: Telefono: (+39) 080 601414 |
Toritto Vi si trovano due piazze, la "piazza vecchia" (piazza
Vittorio Emanuele II), sulla quale si affaccia il medioevale "Palazzo
marchesale" (o "Castello marchesale", attestato dal 1167),
e la "piazza nuova" (piazza Roma, poi piazza Aldo Moro), alberata e
con al centro una fontana dedicata ai caduti delle guerre mondiali. Presso la "piazza vecchia" si erge la Torre
dell'Orologio con una porticina sulla via di Santa Maria, sul cui frontale è
scolpito in rilievo "1564". |
Toritto Grotta di san Martino La grotta di san Martino è una grotta sotterranea di origine
carsica, quindi simile a quella delle ben più famose grotte di Castellana, ma
più piccola. E' stata visitata da diversi gruppi di studiosi; la prima pianta
della grotta, riportata in foto, è stata rilevata dal Centro Ricerche di
Storia e Arte Bitontina il 4 marzo 1971. |