Sannicandro di Bari dedica molta attenzione all’ “orecchietta” tant’è che, per bocca dei suoi
cittadini, dice di vantare il primato della paternità di questa pasta chiamando
in causa Luigi Sada, storico della cultura pugliese. L’orecchietta di
Sannicandro ha una consistenza maggiore rispetto a quella barese (più sottile)
e risulta meno rugosa in superficie; per ottenere la concavità viene poi
rivoltata col dito dopo averla ricavata trascinando sulla spianatoia il
tocchetto di impasto da cui deriva (le massaie baresi fanno invece a meno di
questa operazione col dito perché la concavità la ottengono in uno con il
trascinamento della spinatoia). C’è, fra l’una e l’altra, una consistenza
diversa dopo la cottura, e una diversa presa del sugo. Ad accompagnare
l’orecchietta è soprattutto il ragù fatto con l’involtino, la “brasciola”, di fette di carne equina o
bovina che vengono arrotolate su se stesse dopo averle condite con un pizzico
di formaggio, un pezzetto d’aglio, qualche foglia di prezzemolo, sale, pepe e
un pezzetto di lordo o ventresca, e tenute strette da qualche giro di filo di
cotone o da qualche stecchino. Prima di servire c’è chi salta le orecchiette in
padella con un po’ di sugo; in ogni caso queste si portano a tavola, saltate o
no, aggiungendovi un mestolo di ragù e una bella spolverata di formaggio.
Quanto al ragù, oltre a quello con la “brasciola” c’è quello
ottenuto dalla lenta cottura dell’agnellone oppure dalle carni miste bovine,
suine ed ovine.
Le cime di rapa,
invece, vengono prevalentemente lessate e unite, facendole cuocere nella stessa
acqua delle cime di rapa, condendole poi con il soffritto d’aglio, peperoncino
e acciughe sminuzzate e disfatte.
Le “taglioline” sono
tagliatelle fatte in casa con impasto di semola con o senza uova e tagliate non
più larghe di un centimetro.
Queste, spezzate o ridotte a quadrucci, oltre che finire in
brodo, si uniscono volentieri ai legumi, in particolare lenticchie, cicerchie (qui chiamate “gnagnàule”) e fagioli
cannellini piccoli e medi, meglio se cotti (dopo una nottata di bagno in
acqua tiepida ed un pizzico di bicarbonato) a fuoco molto lento e in cocci di terracotta magari ai
margini della brace di un camino o di un forno a legna. Ai ceci bianchi si preferisce unire i cavatelli; i fagioli borlotti si uniscono invece alle cime di rape
lessate a parte (si portano poi in tavola fumanti con un abbondante filo d’olio
d’olivo crudo).
I ceci neri sono invece lessati con foglia di alloro,
spicchio d’aglio, un gambo di sedano, un pomodorino e sale), si portano in
tavola uniti non alla pasta ma a qualche pezzetto di pane un po’ raffermo,
naturalmente con un sostanzioso condimento di olio d’oliva extra vergine
versato quando il piatto è ancora fumante.
Con le fave, classica è l’accoppiata con le cicorie o con le
bietole, unite alla favetta sbucciata e ridotta in purè, oppure ancora alle
fave fresche lessate per pochi minuti e condito col solito olio crudo
abbondante; quelle secche con la buccia si preferisce consumarle con le
cicorielle di campo.